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Gambe grosse e doloranti possono indicare la presenza di lipedema

Gambe grosse e doloranti: quando sospettare una patologia?

Alcune donne hanno il problema delle gambe grosse, doloranti e sproporzionate rispetto alla parte alta del corpo. Spesso è un fatto costituzionale, e si “ereditano” le gambe grosse dalla mamma o dalla zia. Altre volte si tratta di gonfiore che compare più o meno improvvisamente.
Stiamo parlando quindi di un problema generico ed è importante capire che patologie possono esserci alla base.

Di solito la presenza di gambe grosse e gonfie fa pensare subito a un problema di circolazione. Anche qui, però, bisogna differenziare le possibili cause. Saranno le vene oppure è ritenzione? Ci sono liquidi in eccesso o si tratta di tessuto adiposo?

Come vedi, non è facile capire quando la situazione è patologica. Molte donne, pensando che il problema sia irrisolvibile, si limitano a nasconderlo cercando idee su come vestirsi per far sembrare le gambe più snelle (Figura 1). Questo è certamente utile, ma capire se c’è una patologia sottostante lo è ancora di più perché consente di iniziare una cura.

Un esempio di gambe grosse

Figura 1. Un esempio di gambe grosse

In questo articolo vorrei concentrami su una malattia molto importante che può provocare un ingrossamento delle gambe: il lipedema.
Non sempre facile da riconoscere, il lipedema è piuttosto frequente ma poco conosciuto anche tra i medici. La conseguenza è una diagnosi spesso tardiva quando il problema è diventato irreversibile.

L’obiettivo che mi sono posto con questo articolo è sensibilizzare il più possibile su questa malattia, dandoti tutte le informazioni necessarie per saperne di più e per risolvere il problema.
Parlando di lipedema dovrò inevitabilmente darti delle informazioni anche sul linfedema, una malattia per certi versi simile ma per altri diversa di cui ti parlerò meglio nel prossimo articolo.

Gambe grosse e doloranti: di cosa si tratta?

Quando parliamo di gambe grosse, doloranti oppure gonfie abbiamo a che fare con alterazioni che interessano tre organi: il tessuto connettivo, il tessuto adiposo e il sistema linfatico.

Cosa sono queste strutture?

Vediamole nello specifico.

Tessuto connettivo

Il tessuto connettivo si trova sotto la cute e ha un ruolo principalmente di sostegno e protezione. Come tutti i tessuti, è composto da cellule e tessuto extracellulare.

Le cellule del tessuto connettivo sono i fibroblasti. Essi hanno il compito di produrre tutte le sostanze strutturali del tessuto stesso, mantenendolo quindi ben funzionante. Naturalmente nel tessuto connettivo ci sono anche altre cellule, come quelle immunitarie.

Il tessuto extracellulare è l’insieme di tutte le sostanze che si trovano tra una cellula e l’altra. La sua definizione corretta è matrice extracellulare, ed è un sistema molto complesso nel quale queste molecole comunicano con le cellule e ne regolano l’attività (Figura 2).

Nel lipedema i liquidi si accumulano nella matrice extracellulare

Figura 2. Le “palle” sono le cellule e la matrice extracellulare è il gel azzurro nel quale “galleggiano”

La matrice extracellulare ha due componenti: la sostanza fondamentale e le fibre.
La sostanza fondamentale è un gel ricco di acqua, all’interno del quale “galleggiano” le grosse molecole strutturali della matrice. I glicosaminoglicani e proteoglicani ne sono un esempio, e grazie alle loro cariche elettriche richiamano proprio il sodio e l’acqua idratando la matrice. Una sostanza molto conosciuta che appartiene al gruppo dei glicosaminoglicani è l’acido ialuronico.

Le fibre possono essere elastiche o collagene. Le fibre elastiche conferiscono elasticità e capacità di attutire i traumi, le fibre collagene invece costituiscono l’impalcatura di sostegno del tessuto connettivo.

Linfedema e lipedema sono caratterizzate proprio da un eccesso di liquidi nella matrice extracellulare. Quando questo accade, le cellule vengono stimolate a produrre più proteoglicani, che aumentano ulteriormente l’accumulo di acqua. A un certo punto, però, questo eccesso di liquidi compromette l’ossigenazione delle cellule, che a loro volta attivano una risposta infiammatoria.
L’infiammazione è alla base dei danni provocati da queste malattie a livello dei tessuti.

Tessuto adiposo

Il tessuto adiposo è presente in tutto il nostro corpo. Si trova più in profondità rispetto al connettivo, vicino al piano muscolare.

Anche il tessuto adiposo è fatto di cellule e matrice extracellulare.
Le cellule si chiamano adipociti, e la loro funzione principale è di accumulare lipidi, cioè grassi, con lo scopo di riserva energetica. In caso di bisogno, alcuni stimoli ormonali inducono la scissione dei lipidi in acidi grassi, che possono essere bruciati per produrre energia.

Un’altra funzione del tessuto adiposo è di tipo meccanico. Infatti, ci protegge dai traumi e isola il corpo dal caldo e dal freddo presenti all’esterno.

Si è capito recentemente che il tessuto adiposo è anche un importante organo endocrino, cioè che produce ormoni. Infatti, comunica con gli altri organi attraverso segnali molecolari e contribuisce al metabolismo dell’organismo.

E la matrice extracellulare come è organizzata?

Le cellule adipose sono ammassate tra di loro formando delle strutture chiamate lobuli. I lobuli sono come le celle di un alveare, e sono separate tra loro da alcuni tralci di tessuto connettivo, chiamati setti (Figura 3).

Il tessuto adiposo è composto da lobuli e setti

Figura 3. Le cellule adipose sono ammassate in lobuli, separati da setti

All’interno dei setti ci sono i vasi sanguigni e linfatici. Mentre i primi portano ossigeno alle cellule adipose, i secondi raccolgono i liquidi di scarto (li vedremo meglio tra poco).
Il tessuto connettivo dei setti, quindi, forma l’impalcatura dell’alveare e divide i lobuli adiposi gli uni dagli altri.

Il sistema linfatico

Ed eccoci arrivati a parlare del sistema linfatico, spesso nominato a sproposito. Si tratta di una complessa rete di vasi, chiamati appunto vasi linfatici, che raccoglie la linfa dai tessuti e la porta verso il sistema venoso.

Ma cos’è la linfa?

La linfa è un liquido fatto di acqua, proteine e cellule di scarto che si accumula nella matrice extracellulare dei tessuti. La sua funzione è di trasportare i liquidi e le sostanze di scarto in modo da mantenere ben pulita la matrice extracellulare, aiutando il sistema venoso a drenare l’acqua.

Le radici del sistema linfatico sono i minuscoli capillari linfatici, piccolissimi tubicini capaci di contrarsi e raccogliere la linfa dai tessuti convogliandola nei vasi linfatici veri e propri.
Grazie alle valvole, questi vasi sono in grado di contrarsi e di spingere la linfa in alto evitando che torni indietro. I movimenti muscolari, la respirazione e la pressione del sangue giocano un ruolo importante nello spingere la linfa verso il cuore, proprio come nella circolazione venosa (Figura 4).

La linfa è veicolata dai vasi linfatici

Figura 4. Un esempio di vaso linfatico con le sue valvole

Anche il sistema nervoso, gli stati psichici, gli ormoni e la temperatura esterna influenzano la contrazione dei vasi linfatici. Si è scoperto da tempo, infatti, che ci sono diverse connessioni tra il cervello e la matrice extracellulare dei tessuti, e che addirittura gli stati emotivi possono influenzare il benessere della circolazione. Il tutto è regolato dal sistema PNEI (Psico-neuro-endocrino-immunitario), una interessantissima scoperta di cui ho parlato anche nel mio libro.

Lungo il tragitto dei vasi linfatici ci sono i linfonodi, le stazioni di servizio che “ispezionano” la linfa verificando che al suo interno non ci siano microrganismi pericolosi. Il sistema linfatico, infatti, ha anche un ruolo nelle difese dell’organismo, perché è costituito da cellule immunitarie come i linfociti.

I vasi linfatici, alla fine del loro decorso, confluiscono nel dotto toracico, che è il più grosso condotto linfatico del corpo. Il dotto toracico confluisce come un fiume nelle grosse vene del torace.

Gambe grosse e doloranti: il lipedema

Il lipedema è una malattia che interessa proprio questi tre organi. Colpisce solo le donne interessando circa il 10% della popolazione, anche se probabilmente i casi sono più numerosi proprio perché è poco conosciuto e non facile da riconoscere.

La caratteristica principale del lipedema è un accumulo di grasso nelle gambe che crea una grossa sproporzione con il tronco. Questo grasso anomalo si accompagna ad aumento dei liquidi nella matrice extracellulare, provocando una risposta infiammatoria simile a quella del linfedema.

Ma quali sono le cause?

Vediamole nel prossimo paragrafo.

Cause del lipedema

Il lipedema è una malattia genetica che si scatena in periodi di cambiamento ormonale. Di solito l’esordio avviene nella pubertà, ma anche dopo una gravidanza o con la menopausa.
In queste situazioni il rimodellamento corporeo provocato dagli ormoni e il cambiamento nella distribuzione dei liquidi rendono evidente la malattia nelle persone predisposte.

Le cause in realtà non sono del tutto note.
C’è sicuramente una familiarità, mentre l’altra causa importante è rappresentata dagli ormoni estrogeni.
Si pensa che nel tessuto adiposo ci sia un’alterazione genetica dei recettori degli estrogeni. I recettori sono le “antenne” che ricevono il segnale dagli ormoni e lo comunicano alla cellula. A causa di queste mutazioni, gli adipociti risponderebbero in maniera anomala al “messaggio” veicolato dagli estrogeni.

Secondo un’altra ipotesi, ci sarebbe inizialmente un’alterazione dei capillari sanguigni e linfatici presenti nel tessuto adiposo. Tutto partirebbe comunque dall’espansione del grasso, che ostacolando l’ossigenazione delle cellule e bloccando i linfatici provocherebbe angiogenesi. Angiogenesi significa che crescono nuovi capillari in risposta alla carenza di ossigeno.
Questa seconda ipotesi di danno ai capillari spiegherebbe un sintomo tipico del lipedema, cioè gli ematomi spontanei(Figura 5).  

Le gambe grosse si associano spesso a ematomi spontanei

Figura 5. Gli ematomi spontanei sono tipici del lipedema

A parte le cause, è importante capire cosa succede quando compare il lipedema e quali possono essere le sue conseguenze.

Come si sviluppa il lipedema

Accumulo di grasso da una parte e maggiore permeabilità dei capillari dall’altra causano una sofferenza delle cellule adipose. Il grasso si accumula, ma non si capisce se gli adipociti aumentino di numero o di dimensione. Sull’altro versante, l’accumulo di liquidi nel connettivo dei setti deforma ulteriormente le cellule adipose, stipate tra di loro.

Le cellule, in risposta a questo stato di “stress”, iniziano ad attivare una risposta infiammatoria. L’infiammazione, nel tentativo di riparare il danno, richiama ulteriormente liquidi e fa accumulare la linfa. Le cellule dell’infiammazione, cioè i globuli bianchi e i monociti-macrofagi, danneggiano ancora di più il tessuto adiposo.
Ciò avviene perché l’infiammazione è una risposta aspecifica che serve a distruggere un presunto agente dannoso, riparando poi la lesione con deposizione di fibre. La fibrosi, cioè l’accumulo di queste cicatrici interne, ostacola ancora di più il drenaggio dei liquidi e il funzionamento delle cellule.

Fortunatamente, per gran parte della durata della malattia, il sistema linfatico riesce a compensare l’accumulo di liquidi incrementando il suo funzionamento. Complici altri fattori, però, la situazione può degenerare quando la capacità del sistema linfatico si esaurisce.

Arrivati a questo punto, gli arti si gonfiano a dismisura e la fibrosi avanza rapidamente. L’infiammazione peggiora e al tessuto si sostituisce una quantità sempre maggiore di fibre. Si arriva così allo stadio finale del lipedema, quando si sovrappone anche il linfedema; si parla in questo caso di lipo-linfedema.
Il lipo-linfedema è caratterizzato da tessuti estremamente duri e fibrosi, gonfiore smisurato e infezioni frequenti della gamba con comparsa anche di ulcere.

Per fortuna, solo una percentuale limitata di casi arriva allo stadio finale. I più a rischio sono i soggetti obesi, perché l’obesità aggrava il lipedema. Per questo la dieta e il controllo del peso sono uno dei capisaldi della terapia, come vedremo più avanti.

Sintomi del lipedema

Le pazienti con lipedema hanno le gambe esageratamente grosse rispetto alla parte alta del corpo. Anche seguendo una dieta ferrea il grasso delle gambe non cala, mentre dimagrisce la parte alta. Questo provoca un notevole disagio psicologico e alcune donne possono manifestare quadri di depressione.

A differenza del linfedema, nel lipedema i piedi e le mani sono sempre sgonfi (tranne nei quadri di lipo-linfedema) e le gambe sono grosse in modo simmetrico (Figura 6). Anche se ci sono casi asintomatici, le gambe di solito fanno male e gli ematomi compaiono senza apparenti traumi. Il dolore viene descritto come senso di tensione o pesantezza alle gambe; durante la giornata i disturbi peggiorano e d’estate diventano insopportabili.

La presenza di gambe grosse può essere dovuta al lipedema

Figura 6. Un esempio di gambe grosse dovute a lipedema

Il grasso del lipedema è soffice, leggermente improntabile (resta un segno dopo aver premuto con un dito a causa dell’accumulo di liquidi), la cute è fredda e ci sono capillari arttorno agli accumuli di grasso. Man mano che il processo di fibrosi va avanti si possono sentire dei noduli al tatto, come nella cellulite.

Il lipedema si può presentare in diverse forme. A seconda di quanto le gambe sono coinvolte, infatti, se ne distinguono cinque tipi.

Facciamo un esempio per capire meglio. Nel lipedema di tipo 1 e 2, l’accumulo abnorme di grasso interessa rispettivamente solo le natiche e le cosce. Come puoi immaginare, non è facile distinguerlo dalla comune cellulite!
Il lipedema di tipo 3, invece, interessa le gambe nella loro totalità ed è quindi intuitivamente più facile da riconoscere. Per concludere, nel tipo 4 c’è un coinvolgimento delle braccia e nel tipo 5 l’ingrossamento colpisce solo le gambe dal ginocchio in giù.

Ci sono altri sintomi?
Spesso il lipedema si associa a eccessiva flessibilità di alcune articolazioni e anomalie della postura a livello di schiena, ginocchia, caviglie e piede. Ci sono problemi di ipotiroidismo nel 30% circa dei casi e anche problemi del sonno.
Infine il lipedema, a causa delle modificazioni corporee che provoca, può portare a stati di ansia e disordini alimentari nelle pazienti affette.

Gambe grosse e doloranti: altre cause

Il lipedema non è l’unica condizione associata a gambe grosse e doloranti. Vediamo le altre cause.

Obesità

Lipedema e obesità spesso coesistono e l’obesità può mascherare il lipedema. Può capitare, infatti, che alcune donne particolarmente obese si sottopongano a interventi per dimagrire scoprendo poi di avere il lipedema.

Cosa distingue l’obesità?

L’esordio non avviene in corrispondenza di cambiamenti ormonali come nel lipedema. Nei soggetti obesi il sistema linfatico non funziona bene e può esserci gonfiore alle gambe, ma non ci sono i sintomi caratteristici del lipedema (dolore, ematomi spontanei, sproporzione gambe-tronco).

Linfedema

Nel linfedema il sistema linfatico smette di funzionare e si manifesta un gonfiore importante di un solo arto. A differenza del lipedema, quindi, c’è sempre asimmetria. Inoltre, il piede è sempre coinvolto dal gonfiore (Figura 7).

Differenza fra lipedema e linfedema

Figura 7. Differenze principali tra linfedema e lipedema

Insufficienza venosa

Questa patologia è molto comune nelle donne e si caratterizza per la dilatazione delle vene delle gambe con comparsa di vari disturbi, tra cui pesantezza, prurito e gonfiore. Inoltre, le vene dilatate diventano sporgenti (vene varicose) e si osservano capillari sulle gambe (Figura 8).

Capillari sulle gambe nell'insufficienza venosa

Figura 8. Insufficienza venosa con capillari sulle gambe

Anche l’insufficienza venosa si manifesta in modo tipicamente asimmetrico. Il gonfiore però è molle, perché il liquido che si accumula è meno denso rispetto alla linfa e l’impronta rimane più facilmente. Tra l’altro nell’insufficienza venosa non c’è accumulo di grasso.

Lipoipertrofia

Questa patologia ha delle caratteristiche simili a quelle del lipedema, come l’aumento di tessuto grasso nelle gambe e la sproporzione con il tronco. Non si osserva però l’edema, quindi premendo non rimangono impronte. Mancano anche il dolore e gli ematomi spontanei, e spesso c’è asimmetria. Il tessuto grasso, infine, non è così soffice come nel lipedema.

Gambe grosse e doloranti: come curarle?

Concentriamoci adesso su come migliorare il problema delle gambe grosse e doloranti e in particolare sulla cura del lipedema.

Poiché una terapia radicale non esiste, l’obiettivo è tenere sotto controllo la malattia. Prima di tutto, quindi, viene la terapia conservativa. In alcuni casi si può ricorrere alla chirurgia.

Terapia conservativa

L’obiettivo della terapia conservativa è controllare i sintomi ed evitare che il lipedema degeneri. In questo modo si aiutano le pazienti a stare meglio e a convivere con il problema.
I punti fondamentali sono il controllo del peso e la gestione dell’edema.

Controllo del peso

Il lipedema favorisce l’obesità, e l’obesità aggrava il lipedema. Per questo è importante controllare il peso corporeo, cosa che tra l’altro migliora anche i sintomi. Per controllare il peso sono necessari una dieta adeguata e uno stile di vita corretto.

Dieta

Non c’è una dieta specifica per il lipedema. Se la paziente è obesa, bisogna ridurre il peso con una dieta ipocalorica, povera di carboidrati e che riduca il picco di insulina dopo i pasti. Un esempio è la dieta chetogenica.

Data la natura infiammatoria della malattia, è molto importante assumere cibi anti-infiammatori, anti-ossidanti e alcalinizzanti. Alcuni esempi sono i flavonoidi contenuti nei frutti rossi, che si possono assumere anche come integratori (un esempio è la diosmina).

Bisogna anche ricordare che il lipedema può associarsi a disordini alimentari, quindi a volte è necessario l’aiuto di uno psicologo.

Stile di vita

Deve essere incentrato su un costante esercizio fisico. L’attività fisica serve non solo per il controllo del peso ma anche per la gestione dell’edema.
L’obiettivo, infatti, è soprattutto ridurre l’accumulo di liquidi nelle gambe. Ciò si ottiene attivando il più possibile la pompa muscolare del polpaccio (Figura 9).

Pompa muscolare del polpaccio

Figura 9. Camminare regolarmente aiuta la circolazione perché attiva la pompa muscolare del polpaccio

Di cosa si tratta?

I muscoli del polpaccio spingono il sangue verso l’alto mentre camminiamo, favorendo in questo modo il drenaggio dei tessuti. Far funzionare bene questi muscoli aiuta quindi a ridurre l’accumulo di liquidi nella matrice extracellulare.

Il modo migliore per attivare la pompa muscolare è camminare con uno schema del passo corretto, focalizzandosi cioè sulla contrazione dei polpacci mentre si solleva il tallone da terra. Bisogna stare attenti a non traumatizzare i tessuti, quindi da evitare sollevamento di pesi e corsa.
Per camminare bene, poi, il piede deve appoggiare correttamente a terra. Ecco perché sono importanti gli esercizi posturali.

Vanno molto bene anche gli esercizi in acqua, sia perché riducono il carico nelle pazienti obese sia perché la pressione dell’acqua aiuta a ridurre l’edema.

Molto utile risulta anche la respirazione diaframmatica, perché favorisce il movimento della linfa verso l’alto. La respirazione diaframmatica si effettua gonfiando la pancia mentre inspiriamo, in modo da creare una pressione negativa che “aspira” verso l’alto il sangue.

Lo stile di vita corretto nel lipedema comprende anche dormire bene e avere una vita sociale e relazionale soddisfacente, per scongiurare i quadri depressivi. Bisogna evitare farmaci che inducano edema o aumento del peso corporeo, ma evitare anche i diuretici perché disidratano ulteriormente la matrice extracellulare.

Gestione dell’edema

Un punto fondamentale della terapia conservativa è sgonfiare le gambe dal liquido in eccesso. Le gambe rimarranno grosse, ma molto meno dolenti e con un migliore controllo dell’evoluzione della malattia.

Come si rimuove l’edema?

Come per il linfedema, il modo corretto di sgonfiare le gambe dai liquidi in eccesso non è la calza elastica ma il bendaggio decongestivo associato alle terapie manuali.

Bendaggio

Il bendaggio decongestivo consiste nell’applicare diversi strati di bende attorno alla gamba. Funzionando come un tutore rigido, il bendaggio consente di creare una differenza di pressione all’interno della gamba tra la condizione di riposo e la deambulazione. Grazie a questa differenza, l’attività muscolare in presenza del bendaggio riesce a rimuovere i liquidi in eccesso dai tessuti (Figura 10).

Il lipedema si cura con il bendaggio decongestivo

Figura 10. Bendaggio decongestivo per il lipedema

E la calza elastica?

Andrà applicata nella seconda fase, quando la gamba è sgonfia. La calza, infatti, non sgonfia la gamba ma mantiene il risultato nel tempo perché esercita una pressione anche quando stiamo fermi. Nel caso del lipedema dovrà essere una calza a trama piatta, quindi particolarmente rigida, per impedire alla gamba di espandersi  quando i liquidi tenderanno inevitabilmente ad accumularsi di nuovo.

Terapie manuali

Per quanto riguarda le terapie manuali, si tratta di tecniche di massaggio che mobilizzano i tessuti molli per ridurre dolore e infiammazione e spingono la linfa verso l’alto (linfodrenaggio).
Naturalmente vanno fatte da personale esperto, perché non devono danneggiare il sistema linfatico e non indurre ulteriore infiammazione e fibrosi.

Chirurgia

La liposuzione è l’unico trattamento in grado di rimuovere il grasso del lipedema e rallentare l’evoluzione della malattia. È stato dimostrato che questo intervento migliora i sintomi, la camminata, la postura e la qualità di vita in generale delle pazienti affette da lipedema.
Se fatta correttamente, la liposuzione migliora anche il drenaggio linfatico e riduce la necessità di utilizzare bendaggi e calze. I suoi effetti terapeutici a lungo termine, però, sono ancora oggetto di studio.

Quando va fatta?
Il primo step è sempre la terapia conservativa. La liposuzione andrebbe effettuata dopo la terapia conservativa se questa non ha dato risultati, e comunque prima che si sviluppino complicazioni e disabilità gravi (lipo-linfedema).

Come va fatta e da chi?
Bisogna rivolgersi a un chirurgo plastico con esperienza specifica nel lipedema. L’intervento di liposuzione, infatti, non è quello standard. Dovrebbe essere fatta una idro-liposuzione per non danneggiare i vasi linfatici, altrimenti il rischio è di avere addirittura un peggioramento della situazione. Anche la tumescenza, cioè l’iniezione di anestetico, deve essere abbondante, così da ridurre dolore e sanguinamento.
Inoltre, a differenza della normale liposuzione, i volumi aspirati sono maggiori e possono essere necessari più interventi intervallati da un certo periodo di tempo.

Se la paziente è pbesa, prima di fare la liposuzione deve perdere peso. Particolare attenzione va fatta anche sotto l’aspetto vascolare, perchè le pazienti con lipedema hanno un maggior rischio di trombosi venosa profonda dopo l’intervento.

Conclusioni

Se hai gambe grosse, doloranti e gonfie potresti essere affetta da lipedema. Non stupirti se non hai mai sentito parlare di questa malattia, perché come hai potuto constatare leggendo l’articolo anche i medici non la conoscono.

Per concludere, vorrei sintetizzare dei consigli pratici che possano aiutarti a migliorare la situazione, riportandoti la mia esperienza.

Molte delle mie pazienti sono affette da lipedema, e qualcuna ha intrapreso un percorso terapeutico specifico presso centri dedicati alla cura di questa malattia.

Ho potuto constatare, però, che tutte hanno avuto un beneficio immediato con la carbossiterapia.
Si tratta di una terapia molto efficace per il microcircolo che consiste in piccole iniezioni di gas medicale, l’anidride carbonica. Lo scopo è quello di ossigenare il tessuto adiposo e il risultato è un immediato senso di benessere e leggerezza alle gambe(Figura 11).

La carbossietrapia aiuta a migliorare i sintomi del lipedema

Figura 11. La carbossiterapia consiste in piccole iniezioni sottocutanee di gas medicale ed è molto utile nel ridurre il dolore alle gambe

Naturalmente la carbossiterapia non è una cura del lipedema, e vanno tenuti presente i concetti base della terapia di cui ti ho parlato. Non essendoci studi in merito, sarebbe interessante verificare questo riscontro empirico ed è quello che mi piacerebbe fare.

Ti voglio dare anche degli altri consigli che riguardano ciò di cui mi occupo, cioè i problemi di circolazione alle gambe.

Nelle donne affette da lipedema è molto importante controllare come funzionano le vene delle gambe, perché molte hanno una sottostante insufficienza venosa. Inoltre, negli stadi avanzati della malattia e in presenza di obesità, aumenta il rischio di trombosi venosa profonda, altro problema vascolare da non sottovalutare.

Cosa fare quindi se hai problemi di vene e lipedema?
Qualora dovessi sottoporti a un intervento per le vene, va fatta molta attenzione a non danneggiare i vasi linfatici. Se possibile, quindi, meglio intervenire con la scleroterapia piuttosto che con incisioni sulla cute o metodiche laser.

Naturalmente, se le varici sono grosse e la vena safena è molto dilatata il laser è necessario. In quel caso bisogna fare particolare attenzione e abbondare con l’anestesia, cercando di lesionare il meno possibile i tessuti.

Come dico sempre, ecco un motivo in più per rivolgersi a uno specialista. Solo chi offre trattamenti a 360 gradi, infatti, può dare la soluzione migliore per ognui paziente.

Se sei affetta da lipedema e ti interessa imparare ad allenarti correttamente, ti suggerisco di dare un’occhiata al sito di Marzia Guerzoni, una personal trainer preparatissima e specializzata nel lipedema!

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8652358/pdf/10.1177_02683555211015887.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7465366/pdf/Dtsch_Arztebl_Int-117_0396.pdf

D. Corda: Linfedema e Lipedema, conoscerli, riconoscerli, curarli.
Hoepli 2017, Edizioni Minerva Medica

 

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Leggi anche Ematomi spontanei su gambe e braccia: tutto quello che devi sapere e Intervento alla safena: perchè scegliere la tecnica laser?

 

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Una calza elastica correttamente prescritta può dare molto sollievo

Come scegliere, indossare e utilizzare la calza elastica in modo efficace

La calza elastica è un dispositivo medico che si utilizza per migliorare stati di cattiva circolazione e ristagno di liquidi nelle gambe, oltre che per alleviare sintomi come dolore e pesantezza.

Spesso è difficile orientarsi nella scelta della calza elastica più corretta, sia per le tante e diverse tipologie di prodotto che si trovano in commercio sia per la scarsa cultura presente su questo tema tra i sanitari.

Infatti, la calza elastica rappresenta un insieme di prodotti molto diversi tra loro, che si usano per problematiche differenti.
Spesso prescritta erroneamente, la calza elastica provoca alle volte più fastidio che beneficio, contribuendo così alla sua scarsa diffusione tra le persone che avrebbero bisogno di usarla.

In questo articolo ti spiegherò le differenze tra i vari tipi di calza elastica e ti aiuterò ad orientarti nella scelta del prodotto più adatto al tuo problema.

Cos’è la calza elastica

La calza elastica è un tutore dalla forma variabile che si applica sugli arti inferiori per supportare il sistema venoso e linfatico.
La sua funzione è di esercitare una pressione esterna sulle gambe, con lo scopo di migliorare il flusso del sangue e il drenaggio dei liquidi.

Come si ottiene questa pressione?
La calza elastica deve questa proprietà alla sua particolare fabbricazione, nella quale il tessuto viene costruito intrecciando due fili diversi.
La maglia, che costituisce l’intelaiatura principale, fornisce spessore e rigidità alla calza, mentre il filo di trama determina la pressione che il tutore eserciterà sull’arto compresso.
La calza elastica, quindi, avrà caratteristiche diverse in base ai materiali che la compongono e alla tecnica di tessitura.

La calza elastica è fabbricata con maglia e filo di trama

Una volta indossata, la calza elastica si adatta all’arto grazie all’allungamento dei suoi filati. Questo allungamento crea sul tessuto una tensione, che per mantenersi costante determinerà pressioni diverse nei vari segmenti della gamba e della coscia (questo avviene in relazione ad un importante principio fisico).
Cosa significa? A parità di tensione, dove il diametro è minore, come ad esempio alla caviglia, la pressione sarà maggiore, mentre dove il diametro è maggiore, come alla coscia, la pressione diminuirà.

Come funziona la calza elastica

Il funzionamento della calza elastica si spiega in base a due parametri importanti, cioè il dosaggio e la rigidità (meglio conosciuta con il termine inglese “stiffness”).
Queste grandezze differenziano le calze tra loro e indicano qual è il prodotto più adatto per lo specifico problema che vogliamo risolvere.

Dosaggio

Il dosaggio indica quanta pressione la calza produce sull’arto in cui viene indossata.
Per convenzione, il dosaggio di una calza elastica si riferisce alla pressione esercitata alla caviglia, e si misura in millimetri di mercurio (mmHg, la stessa unità di misura della pressione del sangue).

Il dosaggio della calza deve mantenersi costante durante la giornata, soprattutto non calare verso sera quando le gambe tendono gonfiarsi o manifestano sintomi come dolore e pesantezza.
Inoltre, se l’uso della calza è continuativo, dopo circa sei mesi il dosaggio viene meno ed è opportuno sostituire il prodotto.
Come dobbiamo regolarci? Di solito è ora di cambiare la calza se iniziamo ad indossarla con troppa facilità, proprio perché l’azione compressiva dei filati si è esaurita.

Stiffness

La “stiffness” rappresenta la capacità della calza di resistere all’espansione della gamba, cioè a quella forza che agisce in direzione opposta a quella della calza stessa.

L’arto in cui indossiamo la calza elastica, infatti, si espande durante la giornata per il fisiologico aumento del gonfiore. Questo avviene per lo più a causa della contrazione muscolare, che si verifica con i cambi di postura oppure mentre camminiamo o facciamo esercizio fisico.

A cosa serve quindi la “stiffness”? Questa domanda ci permette di spiegare meglio come funziona la pressione della calza e cosa bisogna fare per trattare una gamba gonfia.

gamba gonfia

A riposo, una calza poco elastica e molto rigida esercita meno pressione (stiamo parlando di “stiffness e non di dosaggio), ma quando iniziamo a camminare e i muscoli della gamba si contraggono, la circonferenza diventa maggiore e la pressione verso l’esterno aumenta.
La calza, essendo rigida, oppone resistenza a questa forza espansiva, e si crea una differenza di pressione tra la situazione di riposo e quella di esercizio che si trasferisce alle vene profonde del polpaccio, aiutando il flusso del sangue.
Questa importante differenza di pressione aiuta la gamba a sgonfiarsi dai liquidi in eccesso.

Viceversa, se la calza è molto elastica e poco rigida, eserciterà più o meno la stessa pressione a riposo e in movimento, proprio per le caratteristiche dei materiali che la compongono.
Non venendosi a creare la differenza di pressione necessaria, una calza poco rigida non permetterà quindi di sgonfiare la gamba (ribadiamo che questo avviene indipendentemente da quanto la calza comprime, cioè dal dosaggio).

Ma cosa determina la rigidità di una calza elastica? La “stiffness” dipende dal tessuto che compone la calza e dal tipo di tessitura utilizzata per fabbricarla; vedremo meglio questi aspetti nei prossimi paragrafi.

A cosa serve la calza elastica

Lo scopo della calza elastica è di ridurre il diametro delle vene delle gambe producendo una pressione contraria a quella del sangue.
A cosa serve questa azione? Quando avvertiamo sintomi come dolore o pesantezza alle gambe, o quando le vene si sfiancano a causa dell’insufficienza venosa, il sangue tende a ristagnare e il sistema circolatorio ha bisogno di una spinta esterna.

Secondo un principio fisico, infatti, se il diametro di una vena si riduce, il sangue al suo interno scorrerà più velocemente e i problemi legati all’insufficienza venosa diminuiranno.

Quanto bisogna ridurre il diametro delle vene per avere un miglioramento?
L’effettiva azione della calza elastica dipende dalla posizione che assumiamo, perché la pressione del sangue cambia di molto tra la posizione distesa e quella eretta.

Se siamo sdraiati, ad esempio, serve una pressione di almeno 20 mmHg per restringere in maniera significativa le vene profonde della gamba; se siamo seduti il valore sale a 50 mmHg circa e se siamo in piedi addirittura a 70-80 mm Hg.
Queste pressioni sono decisamente troppo elevate per essere trasferite in una calza elastica, che risulterebbe impossibile da indossare.
Per avere una azione terapeutica sono sufficienti pressioni minori (da 18 a 24 mmHg circa); il risultato è che le valvole venose funzionano meglio e impediscono al sangue di tornare indietro verso la caviglia.

Per lo stesso motivo, la calza elastica previene l’insorgenza della trombosi venosa, una complicanza da tenere sempre presente in presenza di vene varicose.

Un’altra azione della calza elastica è quella di ottimizzare la funzione di pompa dei muscoli del polpaccio, che aiutano il sistema venoso e linfatico a drenare l’acqua proveniente dai tessuti delle gambe.
Per questo chi soffre di gonfiore, dolore o pesantezza alle gambe potrà trarre beneficio dall’uso di una calza, purché prescritta correttamente.

Come è fatta la calza elastica

La tecnica di fabbricazione della calza elastica, e in particolare il tipo di maglia con cui viene creata, conferisce al prodotto proprietà diverse.

Maglia circolare

I macchinari che producono questo tipo di calza elastica sono costituiti da tamburi di forma circolare con pile di aghi molto sottili.
Per questo i filati che si prestano a questa tessitura sono molto fini, e le calze elastiche prodotte sono di solito esteticamente gradevoli ed eleganti.

La maglia determina sulla calza il livello di flessibilità, traspirazione e nitidezza oppure opacità, mentre il filo di trama è responsabile della pressione esercitata.

Maglia circolare rigida

La tecnica di fabbricazione è la stessa della maglia circolare, ma la distribuzione del dosaggio lungo la calza è più uniforme.

Inoltre, la calza elastica fabbricata in questo modo ha una “stiffness” leggermente maggiore.
Questo effetto si ottiene grazie ad un pattern di intreccio diverso, nel quale c’è una maggiore densità di loop (asole) ad incastro, che danno alla calza più resistenza all’espansione.

Si tratta di una calza ibrida tra la trama circolare e la trama piatta, che spesso non raggiunge livelli di compressione certificabili come terapeutici (vedremo tra poco cosa significa).

Maglia piatta

Questo tipo di calza viene prodotta con macchine a base piatta in cui gli aghi hanno una disposizione lineare, sono più grossi e per questo possono tessere fili di trama più spessi.

Di conseguenza, i filati che si prestano a questa tessitura sono più grossolani rispetto a quelli lavorati a maglia circolare. La calza prodotta è maggiormente spessa e ha una “stiffness” massima.

Tipologie di calza elastica

La calza elastica può essere classificata in base al tipo di compressione esercitata oppure in base alla sua funzione, in particolare in base a quale problema intende prevenire o risolvere.

Tipo di compressione

Esistono la calza a compressione graduata e la calza a compressione progressiva.

Calza elastica a compressione graduata

Questo tipo di calza elastica è il più utilizzato, e come vedremo più avanti appartengono a questa categoria le calze certificate come terapeutiche.

In questa calza la pressione esercitata è massima alla caviglia e decresce man mano che si sale verso la coscia. Lo scopo, infatti, è di contrastare in modo equilibrato la pressione del sangue nelle vene, che in posizione eretta è maggiore in posizione declive a causa della forza di gravità.

La calza elastica a compressione graduata si realizza solitamente con una trama piatta, creando un maggiore “stretch” nel tessuto a livello della caviglia e riducendolo via via che si sale verso la coscia (sempre per il principio fisico che abbiamo visto prima).

Calza elastica a compressione progressiva

Questa calza elastica esercita una pressione maggiore al polpaccio rispetto alla caviglia.
Come mai? Lo scopo è quello di massimizzare l’efficienza della pompa muscolare, per favorire il flusso di sangue verso il cuore.

Secondo alcuni studi, infatti, questo tipo di calza è risultato più efficace nel migliorare il flusso di sangue a livello dalle gambe, con lo svantaggio però di provocare più facilmente gonfiore alla caviglia.

La compressione progressiva sembra anche migliore nel ridurre sintomi come dolore e pesantezza alle gambe, almeno nei soggetti con insufficienza venosa. Inoltre, questa calza è tendenzialmente più facile da indossare.
Ricordiamo tuttavia che, proprio per le sue caratteristiche di compressione, la calza a compressione progressiva non appartiene alla categoria delle calze terapeutiche (le vedremo tra poco).

Funzione della calza

In base alla sua funzione, la calza elastica può essere definita preventiva o terapeutica.

Calza elastica preventiva

La calza elastica preventiva è costituita solitamente dalla sola maglia, senza il filo di trama; per questo motivo non può esercitare pressioni tali da poterla definire terapeutica.

Se ne distinguono due tipi diversi, a seconda che lo scopo sia quello di prevenire l’insufficienza venosa oppure la trombosi.

Prevenzione dell’insufficienza venosa

Questa calza elastica esercita una pressione non terapeutica per alleviare sintomi come dolore o pesantezza alle gambe, soprattutto in individui che per abitudini lavorative passano molto tempo in piedi o seduti.

La calza elastica preventiva si misura di solito in denari, una grandezza che non ha nulla a che fare con la compressione esercitata ma che indica solamente il peso del filato della calza.
Una calza da 70 denari, ad esempio, può alleviare alcuni sintomi grazie al suo effetto compressivo, ma la pressione effettiva che esercita sarà diversa a seconda del materiale di cui è fatta (paradossalmente potrebbe comprimere di più rispetto ad una calza da 140 denari fatta di un materiale più leggero).

In generale, comunque, la pressione esercitata da una calza elastica di questo tipo non supera i 18 mmHg.

Prevenzione della trombosi

La trombosi venosa è una complicazione grave che avviene quando il sangue all’interno di una vena coagula improvvisamente. Il pericolo principale, in questi casi, è che si stacchi un frammento solido che, seguendo il flusso del sangue, provochi una embolia ai polmoni.
Per questo è importante prevenire la trombosi in situazioni a rischio come interventi chirurgici, gravidanza, fratture delle ossa oppure immobilizzazione prolungata a letto.

La calza elastica preventiva per la trombosi è tipicamente di colore bianco e si fa indossare in ospedale subito dopo un’operazione o dopo il parto.
Mentre siamo sdraiati a letto, essa esercita una blanda compressione che aiuta a far scorrere meglio il sangue, evitando che si coaguli.

La calza elastica preventiva per la trombosi funziona quando stiamo distesi

Bisogna tuttavia ricordare che questa azione terapeutica scompare completamente appena ci alziamo in piedi, proprio perché la pressione del sangue alla caviglia aumenta di molto. Di conseguenza, questa calza non serve a nulla se la indossiamo in posizione eretta, magari mentre camminiamo per il corridoio come spesso si vede fare nei reparti ospedalieri.

Calza elastica terapeutica

La calza elastica terapeutica possiede determinati standard qualitativi che la certificano come dispositivo medico terapeutico e non preventivo.
Le sue peculiarità sono la pressione ben definita che esercita nei vari punti della gamba e la precisa decrescita di questa stessa pressione dalla caviglia alla coscia.

La calza elastica migliora il risultato della scleroterapia dei capillari

Le caratteristiche che definiscono la calza elastica terapeutica fanno riferimento alle normative tedesca (RAL-GZ 387), francese (NFG 30-102B) e più recentemente europea.
Inoltre, i valori in mmHg che troviamo nella confezione della calza si riferiscono alla pressione esercitata alla caviglia, in particolare nel punto al di sopra dei malleoli.
Sulla base di questo valore, si distinguono calze di prima, seconda o terza classe, che vanno prescritte a seconda della gravità della patologia da trattare.

Prima classe

Secondo la normativa tedesca, questa calza elastica esercita pressioni alla caviglia comprese tra 18 e 21 mmHg.
Si utilizza in caso di pesantezza o dolore alle gambe, oppure per ottimizzare il risultato in corso di scleroterapia dei capillari o per il trattamento delle vene visibili sulle gambe.

Seconda classe

Questa calza è ideale per le persone che soffrono di insufficienza venosa; la pressione alla caviglia è compresa tra 22 e 32 mmHg.
Si utilizza in presenza di vene varicose, come terapia dopo una trombosi oppure dopo un intervento chirurgico di asportazione delle varici.

Terza classe

Si tratta di una calza particolare che esercita pressioni molto alte (34-46 mmHg) da prescrivere solo in caso di gravi linfedemi alla gamba, dopo una adeguata terapia decongestiva.

Come scegliere il prodotto più adatto

La calza elastica andrebbe sempre prescritta da un medico specialista in ambito flebologico. Tuttavia, è comunque utile avere alcune nozioni basilari nel caso non disponessimo di una prescrizione, se non altro per evitare di acquistare un prodotto che poi si riveli inutile.
I fattori da considerare riguardano in particolare il tipo di filato e la forma della calza.

Filato

La scelta del filato determina le diverse caratteristiche del filo di trama, e quindi le differenti proprietà compressive della calza.
Parliamo in questo caso di calza elastica terapeutica, proprio per la presenza del filo di trama.

Microfibra

La microfibra è un materiale molto sottile, addirittura più della seta.
PRO: Molto leggera e traspirabile, ben tollerata, è adatta a persone giovani che non vogliono rinunciare all’eleganza e al comfort pur indossando un presidio terapeutico.
CONTRO: Si tratta di un tessuto fragile e dal costo elevato, che mal si adatta alle variazioni di circonferenza degli arti; va evitata quindi nei soggetti obesi.

Materiale sintetico

Il materiale sintetico può essere di diverso tipo e i vari materiali si possono utilizzare anche in combinazione tra loro. I più usati sono il Nylon (derivato dalle poliammidi), e le fibre di poliuretano come l’Elastam.
PRO: Questa calza è più spessa della microfibra, ma è comunque sufficientemente leggera, elegante e vestibile. Inoltre, resiste maggiormente all’usura e si asciuga in fretta dopo il lavaggio. In assoluto è la calza più versatile e che personalmente prescrivo più spesso.
CONTRO: I materiali sintetici possono essere allergizzanti.

Cotone

Si tratta di un altro materiale molto usato; la calza in cotone può avere spessori variabili.
PRO: Molto traspirante, è l’ideale per le persone che soffrono di dermatiti o allergie cutanee.
CONTRO: Questa calza risulta un po’ meno estetica, a seconda comunque dello spessore del cotone. Ricordiamoci inoltre che può essere un po’ più difficile da indossare.

Caucciù

Il caucciù viene estratto dal lattice di alcune piante che producono gomme naturali; lo si trova per lo più in Asia e in Amazzonia.
PRO: Si tratta di un materiale molto elastico, che attutisce bene il gonfiore degli arti e mantiene un’ottima compressione durante la giornata, nonostante la grande estensibilità.
Ha anche una elevata “stiffness”, quindi è la calza ideale per ottenere compressioni importanti e pressioni più alte durante l’esercizio muscolare.
Per questo la calza in caucciù è ottima per mantenere la gamba sgonfia dopo un ciclo di bendaggi.
CONTRO: Essendo molto rigida, non è una calza versatile e va prescritta solo in casi specifici.

Forma del tutore

La forma del tutore dipende molto dalle abitudini personali. L’importante, tuttavia, è che la calza comprima almeno a livello del polpaccio, dove agisce la pompa muscolare.

Gambaletto

Il gambaletto è un tipo di calza molto diffusa; è comodo ed è del tutto simile ad un calzino lungo che arriva fino al ginocchio.
PRO: Ovviamente è l’ideale per l’uomo, ed è la tipologia di calza elastica più facile da indossare in assoluto.
Va molto bene come calza preventiva per chi soffre di pesantezza alle gambe, ma per lo stesso problema può tranquillamente essere usata una prima classe, se vogliamo avere un effetto un po’ più forte.

Il gambaletto è una tipologia di calza elastica ideale per l'uomo
CONTRO: Si limita a comprimere sul polpaccio quindi svolge la sua funzione fondamentale, ma può non essere sufficiente se sono presenti vene varicose sulla coscia o se c’è un reflusso lungo la vena safena.
In questi casi, una compressione completa previene l’insorgenza di trombosi e riduce il reflusso di sangue.
Ovviamente non è l’ideale per la donna, che preferisce indubbiamente prodotti più “femminili”.

Autoreggente

Si tratta di una calza adatta ovviamente alla donna.
PRO: Generalmente è più comoda rispetto al collant perché non stringe sulla pancia, ed è ideale da usare in corso di scleroterapia dei capillari.

La calza elastica autoreggente è ideale per la donna
CONTRO: Potrebbe scivolare verso il basso se la coscia è troppo sottile; si può evitare questo inconveniente bagnando la parte in silicone che assicura la tenuta.
Ricoriamoci che la stessa parte reggente in silicone può causare allergie.

Monocollant

Si tratta di una calza che comprime interamente un solo arto, e di solito ha una cinghia che permette di avvolgerla in vita.
PRO: Ideale per chi ha problemi di vene varicose su un solo arto, oppure da usare dopo un intervento alla safena.
Può essere usata all’occorrenza anche per l’altro arto, semplicemente rovesciandola.

Il monocollant è la calza elastica ideale dopo un intervento
CONTRO: Sicuramente meno apprezzata dalle donne, che preferiscono una calza che copra entrambi gli arti.

Collant

PRO: Ideale per la donna e sicuramente molto estetica e versatile, quelle in microfibra o materiale sintetico sembrano a tutti gli effetti delle calze normali.
Effettuano una compressione totale e ottimale su entrambi gli arti.
CONTRO: Possono risultare fastidiose soprattutto in chi è sovrappeso, perché stringono fino alla pancia; molto dipende comunque dalle preferenze personali.
Ovviamente sono più difficili da portare per l’uomo.

Punta chiusa o punta aperta?

Un ultimo aspetto su cui soffermarsi riguarda il tipo di copertura sul piede.

La punta chiusa è sicuramente più elegante, e per tale motivo si adatta meglio al gambaletto e al collant. Lo svantaggio della punta chiusa è che risulta un po’ più difficile da indossare.

La punta aperta è più facile da indossare e si adatta bene soprattutto al monocollant. Tuttavia, può dare fastidio perché lascia scoperta la parte anteriore del piede, soprattutto per un motivo legato alla sudorazione.

La calza elastica può essere a punta aperta

Come usare la calza elastica

Il corretto uso della calza elastica consente di evitare molti dei problemi comunemente riferiti dai pazienti che la indossando.
Questo aumenta l’efficacia del trattamento compressivo e il comfort per il paziente stesso.

Come abbiamo detto, la calza elastica andrebbe sempre prescritta da un medico competente in materia. La prescrizione dovrebbe comprendere la presa  misure e la scelta di materiale e tipologia del prodotto.
Ciò purtroppo non avviene di frequente, con il risultato che il paziente si reca nella sanitaria di riferimento senza una precisa indicazione; a volte è la sanitaria stessa a non suggerire il prodotto più idoneo.

Le misure andrebbero prese da distesi e non in piedi, preferibilmente al mattino, per essere più veritiere possibile (evitando quindi la presenza di contrazione muscolare o gonfiore).
I punti da misurare sono le circonferenze alla caviglia sopra i malleoli, al polpaccio e alla coscia, e le lunghezze di gamba e coscia.
Se le misure non rientrano tra quelle standard, come in caso di statura particolarmente alta, si procede con la prescrizione di una calza su misura.

Una volta acquistata, la calza elastica va indossata al mattino e tolta la sera, evitando di usarla di notte salvo particolari indicazioni (ad esempio dopo un intervento alle vene).
Essendo la calza elastica percepita come “stretta”, indossarla può risultare difficile soprattutto se ha una compressione elevata.

Come risolvere questo problema?
– se la punta è aperta, nel kit di solito è presente una ciabattina di tessuto sottile che, indossata prima della calza, ne agevola lo scorrimento per poi essere rimossa;
– se la punta è chiusa si indossa la calza rovesciandola fino al tallone, si fa passare prima il piede fino al tallone stesso, quindi si tira gradualmente verso l’alto il versante interno della calza, più stretto, intervallandolo con trazioni del versante esterno, più morbido;
– se si è in difficoltà ci si può aiutare con dei guanti da cucina; non bisogna tirare troppo per evitare di danneggiare il tessuto, soprattutto se la calza è fatta di microfibra.

Dopo aver indossato la calza per la prima volta, si controlla la correttezza delle misure provando a pinzare la calza con le dita a livello del tendine d’Achille (a questo livello non si dovrebbe riuscire a sollevare il tessuto), e a livello del polpaccio appena sotto il ginocchio (si dovrebbe riuscire minimamante a sollevarla).

Quando non usarla

In generale, in presenza di una gamba gonfia la calza elastica non ha alcuna utilità nel risolvere il problema, e se troppo stretta può addirittura fare dei danni creando un “effetto laccio”.
Questo avviene perché, come abbiamo visto, per sgonfiare una gamba con problemi venosi o linfatici bisogna applicare dei bendaggi più rigidi che creino una differenza di pressione tra il riposo e l‘esercizio.
Quando la gamba sarà sgonfia, una calza elastica correttamente prescritta potrà mantenere il risultato.

Ci sono delle eccezioni a questa regola, come la presenza di lieve edema che si osserva alla sera nelle persone anziane oppure ulcere venose poco secernenti con gamba sgonfia.
In assenza di gonfiore e infiammazione possiamo applicare una calza elastica, purché abbia caratteristiche di dosaggio e “stiffness” compatibili con il problema che vogliamo trattare.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5846867/pdf/10.1177_0268355516689631.pdf

https://www.magonlinelibrary.com/doi/pdfplus/10.12968/jowc.2019.28.Sup6a.S1

 

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Leggi anche Scleroterapia dei capillari: come migliorare l’aspetto delle gambe e Vene visibili sulle gambe: cosa sono e come si eliminano efficacemente

 

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La trombosi in aereo è una complicanza non infrequente dei voli a lungo raggio

Trombosi in aereo: chi è a rischio e come si può prevenire

La comparsa di una trombosi in aereo è una evenienza non infrequente e probabilmente sottostimata, che può verificarsi quando si effettuano viaggi aerei a lungo raggio.

La causa prevalente della trombosi in aereo è la presenza di fattori di rischio individuali, che aumentano la possibilità di trombosi e di conseguenti embolie.
Bisogna considerare, però, che durante il viaggio si creano particolari condizioni fisiche e climatiche all’interno dell’aereo, le quali aumentano ulteriormente il rischio e possono tuttavia essere contrastate.

In genere, capita spesso di avvertire gonfiore e pesantezza alle gambe durante il volo; questi sintomi regrediscono di solito abbastanza rapidamente, dopo l’atterraggio o al massimo nel giro di qualche giorno.
Alle volte, però, un gonfiore o un dolore acuto possono comparire a distanza di giorni dal volo; in questo caso è bene insospettirsi e recarsi quanto prima ad effettuare un ecodoppler, per escludere la presenza di una trombosi.

Conoscere il problema della trombosi in aereo è molto importante, così come è importante sapere se si è a rischio di svilupparla.
In questo modo si potranno adottare delle misure preventive o effettuare una profilassi con farmaci, quando necessario.

In questo articolo vedremo quando un volo si definisce a lungo raggio, in che modo aumenta il rischio di trombosi e cosa fare per evitarla.

Che cos’è la trombosi in aereo

La trombosi in aereo è un evento caratterizzato dalla coagulazione improvvisa del sangue all’interno di una vena, tipicamente degli arti inferiori, che si verifica in relazione ad un volo di lunga durata.
Le vene interessate possono essere quelle superficiali, localizzate nel tessuto sottocutaneo, oppure quelle profonde, che si trovano nel contesto delle masse muscolari vicino alle rispettive arterie.

Se la trombosi è superficiale i sintomi sono generalmente il dolore e l’arrossamento lungo il decorso della vena, ed il rischio di complicazioni gravi è basso.
Quando sono interessate le vene profonde, al dolore si accompagna spesso un gonfiore improvviso; in questi casi la sede più colpita è il polpaccio ed il rischio di embolie è elevato.

ecodoppler venoso

I meccanismi attraverso i quali si sviluppa una trombosi in aereo si verificano tipicamente durante il volo, mentre la trombosi vera e propria si manifesta di solito a distanza di qualche giorno dall’atterraggio, generalmente entro le prime due settimane.
Il rischio di trombosi rimane comunque presente per circa quattro settimane.

Per quanto riguarda le dimensioni del problema, gli studi più vasti che sono stati effettuati (LONFIT) mostrano che nei i soggetti sani il rischio è relativamente basso (circa l’1,6% dei casi), mentre nella popolazione con fattori di rischio la percentuale aumenta nettamente, arrivando al 5%.

Questi dati rappresentano però la punta di un iceberg, in quanto la maggior parte delle ricerche effettuate non comprende i casi asintomatici e parte di quelli che si manifestano a distanza di tempo dal viaggio aereo.
Questo spiega il perché la trombosi in aereo sia un problema facilmente sottostimato.

Conseguenze della trombosi in aereo

Il pericolo principale legato ad una trombosi in aereo è l’embolia polmonare.
Si tratta di una complicanza più spesso conseguente alle trombosi venose profonde, quando frammenti di sangue coagulato si staccano dalla sede di trombosi e, trasportati dal flusso del sangue, raggiungono i polmoni dove bloccano la circolazione.

Un’embolia polmonare si manifesta di solito con dolore al torace e difficoltà a respirare, ma può assumere quadri clinici gravi che mettono a rischio anche la vita, e richiedono quindi un trattamento immediato.

La seconda conseguenza della trombosi in aereo è rappresentata dalla comparsa di un gonfiore ingravescente alla gamba, che inizia nella fase acuta e persiste poi nel tempo.
Questo gonfiore è dovuto inizialmente al blocco del flusso sanguigno conseguente alla trombosi, e successivamente agli esiti che la trombosi lascia sulla vena colpita.

Infatti, dopo che la trombosi si è risolta, le valvole venose possono rimanere danneggiate e non riescono più a svolgere la loro funzione di diga, tramite la quale sono in grado di bloccare la caduta del sangue verso il basso.
Di conseguenza, il sangue stesso refluisce verso le caviglie e lì tende a ristagnare, facendo peggiorare il gonfiore e causando addirittura la comparsa di ulcere.
Si tratta della cosiddetta “sindrome post trombotica”, che va trattata con l’applicazione di bendaggi decongestivi e successivamente con una calza elastica adeguata.

Cause della trombosi in aereo

Le cause della trombosi in aereo si dividono in fattori ambientali, che si sviluppano all’interno del velivolo, e in fattori intrinseci del soggetto. Questi ultimi, come abbiamo detto, sono quelli che hanno un peso maggiore.

I meccanismi attraverso i quali le varie cause portano al verificarsi di una trombosi sono principalmente tre: il ristagno di sangue, il danneggiamento della parete venosa e lo stato di aumentata coagulabilità del sangue.

Di seguito vedremo i vari fattori causali e i meccanismi attraverso i quali aumentano il rischio di trombosi in aereo.

Fattori ambientali

Si tratta di alcune condizioni climatiche e fisiche che si vengono a creare all’interno del velivolo durante il volo.

Ipossia

L’ipossia è la diminuzione della quantità di ossigeno nell’aria.
All’interno dell’aereo, per ragioni di risparmio sul carburante, viene mantenuta una pressione atmosferica di ossigeno simile a quella che si trova in alta montagna, precisamente ad una altitudine compresa tra 1800 e 2400 metri.

Questa improvvisa minore concentrazione di ossigeno che si viene a creare al momento della chiusura degli sportelli, chiamata ipossia ipobarica acuta, può favorire la trombosi in aereo perché attiva direttamente la coagulazione del sangue.
La stessa coagulazione, peraltro, tende a normalizzarsi dopo una prolungata acclimatazione.

L’aria nella cabina, avendo una pressione più bassa, esercita anche una minore pressione esterna sulle gambe, rendendo più difficile il ritorno del sangue venoso al cuore.
Le vene, infatti, pompando il sangue contro gravità, si giovano del supporto della pressione atmosferica esterna, che in aereo viene a mancare.

Disidratazione

Durante il volo l’umidità dell’aria tende a diminuire rapidamente all’interno dell’aereo, raggiungendo un valore compreso tra il 3% e il 15%. Questo provoca una forte disidratazione delle mucose del corpo e in generale un calo dei liquidi dell’organismo.

La disidratazione è responsabile di una progressiva concentrazione del sangue, dovuta proprio al calo della sua componente liquida, situazione che favorisce la coagulazione perché aumenta la facilità di contatto tra le piastrine e di conseguenza la loro attivazione.
In questo modo, una trombosi venosa può innescarsi più facilmente.

In aggiunta, l’assunzione spesso frequente di bevande alcoliche, di tè o caffè peggiora ulteriormente la disidratazione, perché queste sostanze sono notoriamente diuretiche e andrebbero quindi evitate.

Posizione durante il volo

Si tratta probabilmente del fattore ambientale più importante.
In condizioni normali, il sangue proveniente dalle gambe viene pompato contro gravità verso il cuore grazie all’azione dei muscoli del polpaccio, che si azionano in sinergia con le valvole venose quando camminiamo.

Mantenere una posizione seduta prolungata durante il volo aereo causa un persistente ristagno di sangue nelle gambe, perché gli angoli tra le articolazioni bloccano il flusso venoso e i muscoli del polpaccio non lavorano.
Inoltre, la pressione esercitata dal bordo del sedile sul lato posteriore delle cosce, incrementata dalla tipica posizione con le gambe accavallate che si assume nelle classi economiche, può provocare un danno diretto alle cellule della parete venosa.

A questo proposito, per molto tempo si è ipotizzata l’esistenza di una “trombosi della classe economica”, proprio in relazione ai posti a sedere particolarmente stretti di questa classe di viaggio, che favorirebbero maggiormente la trombosi rispetto a quelli delle classi più privilegiate.

la trombosi in aereo può essere favorita dalla posizione assunta durante il volo

In realtà, alcuni studi hanno mostrato che c’è una differenza minima in termini di rischio tra i passeggeri della classe economica rispetto a quelli della businness o della prima classe.
Il caso del presidente americano R. Nixon è emblematico, in quanto fu vittima di una trombosi profonda nel 1974 mentre viaggiava dagli Stati Uniti all’Europa e all’Unione Sovietica; trovandosi a bordo dell’aereo presidenziale, possiamo facilmente dedurre che si trovasse in una posizione di viaggio tutt’altro che scomoda.

D’altra parte, altri studi rivelano che i passeggeri seduti vicino al finestrino hanno un rischio due volte maggiore di sviluppare una trombosi rispetto a quelli sul lato corridoio, sempre in relazione alle posizioni assunte durante il viaggio e alla possibilità di camminare frequentemente durante il volo.
Questo vale soprattutto per i soggetti obesi.

Ritenzione idrica

Anche se provoca una progressiva disidratazione corporea, un volo a lungo raggio determina una significativa ritenzione idrica nelle gambe, che possono gonfiarsi o risentire di pesantezza e indolenzimento.
Questo accumulo di liquidi, se importante, potrebbe comprimere le vene muscolari delle gambe e favorire la trombosi.

La causa di questi disturbi è sempre legata al ristagno di sangue, dovuto a sua volta a posizione scorretta e poco movimento muscolare durante il viaggio.

Durata del volo

Sebbene non ci sia un consenso unanime che definisca quando un volo può essere considerato a lungo raggio, ci sono chiare evidenze di correlazione tra voli aerei di durata superiore alle sei ore e sviluppo di trombosi.
L’intervallo considerato riguarda solo il tempo passato in aereo, e non quello di attesa in aeroporto o nelle zone di transito.

Il rischio di trombosi in aereo aumenta se il volo supera le sei ore

Inoltre, i dati scientifici ci dicono che il rischio di trombosi in aereo è di oltre due volte più alto nei voli lunghi rispetto ai voli brevi, e aumenta del 23% circa per ogni due ore aggiuntive di volo.

Fattori relativi al passeggero

Alcune patologie o predisposizioni genetiche aumentano il rischio di trombosi in aereo, e tutti i soggetti con fattori di rischio addizionali si sono mostrati a maggior rischio di sviluppare il problema.

Sesso femminile, gravidanza e terapia ormonale

Il sesso femminile sembra essere un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di embolie polmonari nei voli a lungo raggio, e le donne in gravidanza sono colpite da trombosi in aereo in un volo ogni 100 circa.
Un grosso studio effettuato in Olanda ha mostrato che l’assunzione di contraccettivi orali determina un rischio 40 volte maggiore di sviluppare una trombosi in aereo nei voli a lungo raggio. Le donne che assumono terapia ormonale sostitutiva, invece, hanno un rischio di sviluppare trombosi in uno ogni 400 voli circa.

Altri fattori

I soggetti sovrappeso ma soprattutto i soggetti obesi, cioè con indice di massa corporea (BMI) superiore a 30, sono a maggior rischio di trombosi nei voli a lungo raggio, soprattutto se sono seduti vicino al finestrino.

Il rischio di trombosi in aereo è maggiore nei soggetti obesi spesie se seduti vicino al finestrinoo

Inoltre, essere stati sottoposti ad interventi chirurgici poco prima del volo aumenta di 20 volte circa il rischio di trombosi in aereo.
Anche la presenza di una neoplasia, che già di per sé aumenta il rischio di trombosi, incrementa il rischio, che arriva ad essere di 18 volte più alto rispetto agli individui sani, sempre nei voli a lungo raggio.

Per quanto riguarda la predisposizione genetica, ci sono diverse mutazioni di geni coinvolti nella coagulazione del sangue che determinano un aumento generale del rischio di trombosi.
Per quanto riguarda i voli a lungo raggio, i dati sono controversi; sembra, però, che le persone con mutazione della quinta proteina della coagulazione (il cosiddetto fattore di Leiden) abbiano un rischio 8 volte maggiore di sviluppare una trombosi in aereo rispetto ai soggetti normali.

Altri fattori che favoriscono la trombosi nei voli a lungo raggio sono la statura molto alta, l’età avanzata, i traumi recenti con immobilizzazione prolungata, aver avuto precedenti trombosi venose, la presenza di insufficienza venosa cronica di grado severo, lo scompenso cardiaco, la storia familiare di trombosi, il diabete e l’ipertensione.

Come prevenire la trombosi in aereo

Per prevenire la trombosi in aereo si possono adottare alcune misure preventive per contrastare i cambiamenti ambientali che si verificano all’interno dell’aereo.
In casi particolari, invece, questo non è sufficiente, e bisogna effettuare una profilassi con l’utilizzo di calze elastiche o farmaci.

Misure preventive

Si tratta di comportamenti che possiamo adottare durante il viaggio e che contrastano i fattori causali ambientali di trombosi.

Idratazione

Idratarsi adeguatamente prima e durante il volo aiuta a mantenere la giusta quantità di liquidi nell’organismo e permette di evitare una eccessiva concentrazione del sangue. Bisogna bere acqua o bevande analcoliche evitando gli alcolici, il tè e il caffè, perché stimolano la diuresi e quindi la perdita di liquidi.

Una idratazione adeguata, inoltre, contrasta gli effetti della scarsa umidificazione dell’aria, che oltre a contribuire alla disidratazione secca le mucose favorendo raffreddore e mal di gola.

Il consiglio riportato negli studi che ho esaminato è di bere almeno un bicchiere d’acqua ogni 2 ore di volo; credo però che si possa tranquillamente bere una quantità maggiore di acqua.

Attivazione muscolare

Per prevenire il ristagno eccessivo di sangue nelle gambe e il conseguente rischio di trombosi, è opportuno effettuare durante il volo esercizi di dorsi-flessione della caviglia; in questo modo si attiva la pompa muscolare del polpaccio e si favorisce il movimento del sangue stesso.

Per lo stesso motivo, le linee guida americane dell’ACCP (American College of Chest Physician) raccomandano a chi è a rischio di trombosi di sedersi vicino al corridoio e di effettuare brevi e frequenti passeggiate quando l’aereo è in quota.

Posizione di viaggio

Oltre agli esercizi muscolari, è importante prestare molta attenzione alla posizione assunta durante il viaggio.
Il sedile va reclinato il più possibile, mantenendo un angolo maggiore di 90 gradi, e le gambe vanno stese sotto il sedile di fronte per evitare l’eccessiva flessione tra le articolazioni, che ostacolerebbe il flusso del sangue.

Per lo stesso motivo, bisognerebbe evitare di posizionare bagagli tra le gambe e il sedile di fronte e non si dovrebbero accavallare le gambe, in quanto questa posizione è molto pericolosa per la circolazione venosa.
Consiglio anche di non abusare di sonniferi durante il volo, perchè più facilmente portano ad assumere posizioni scorrette durante il sonno.

Le gambe andrebbero mosse e allungate con semplici esercizi per 2 minuti circa ogni ora, e bisognerebbe camminare per 3 minuti circa ogni ora di volo.

Indumenti

Un altro accorgimento importante, soprattutto per le donne, è quello di non indossare pantaloni troppo attillati o comunque stringenti a livello dell’inguine o della vita, mentre negli uomini vanno evitati i calzini troppo stretti perché potrebbero causare un effetto laccio sotto il ginocchio.

In queste situazioni il flusso di sangue venoso, già ostacolato dalla posizione seduta, risulterebbe infatti ancora di più bloccato.

Profilassi

Consistono nell’utilizzo di dispositivi di tipo medico come le calze elastocompressive, oppure nella somministrazione di terapia farmacologica per rendere il sangue più fluido.

Calza elastica

La calza elastocompressiva esercita una pressione esterna su tutto l’arto inferiore o su una sua parte, a seconda della tipologia, facilitando il flusso di sangue venoso verso il cuore e riducendo il rischio di trombosi.
Per questo motivo, oltre a limitare il gonfiore delle gambe, l’utilizzo di una calza aiuta a prevenire la trombosi in aereo.

 

Si può prevenire una trombosi in aereo utilizzando una calza elastica

Una recente revisione della letteratura ha mostrato che l’utilizzo di una calza a compressione graduata (GECS in inglese) ha una alta evidenza di efficacia nel prevenire la trombosi in aereo, soprattutto nella sua forma asintomatica.
D’altra parte, sembra esserci minore evidenza nella riduzione del gonfiore e moderata evidenza nella prevenzione delle trombosi superficiali.

Secondo recenti linee guida, in caso di volo a lungo raggio le persone a rischio di trombosi in aereo dovrebbero indossare una calza elastocompressiva con pressione alla caviglia da 15 a 30 mmHg, sia sotto forma di gambaletto che di calza estesa alla coscia.
La calza elastica, quindi, deve essere di tipo terapeutico, cioè deve avere determinati requisiti strutturali e una particolare certificazione che garantisca le sue proprietà di compressione.

La calza non va acquistata di propria iniziativa ma va prescritta dal medico specialista dopo aver preso le misure del paziente e aver scelto il materiale più adatto, oltre che il grado di compressione.
In generale, possiamo affermare che l’utilizzo di una calza di seconda classe, nei soggetti a rischio, potrà consentire una prevenzione efficace della trombosi in aereo.

Sempre in base a queste raccomandazioni, i soggetti non a rischio non necessitano di questo presidio.

Profilassi farmacologica

In caso di rischio particolarmente elevato, per prevenire la trombosi in aereo è necessario ricorrere ai farmaci.

Gli antiaggreganti piastrinici non si sono dimostrati efficaci nella prevenzione della trombosi nei voli a lungo raggio. In un recente studio, infatti, l’assunzione di 400 mg al giorno di aspirina non si è associata a significativa riduzione del tasso di trombosi in aereo, causando invece frequenti disturbi gastro-intestinali.

L’eparina a basso peso molecolare, sotto forma di punture sottocutanee, ha mostrato invece risultati a tratti controversi.
Se è vero che l’assunzione di Enoxaparina, sotto forma di punture sottocutanee al dosaggio di 1 mg per ogni Kg di peso corporeo, è efficace nel prevenire la trombosi in aereo se somministrata da 2 a 4 ore prima della partenza, questo protocollo non può essere esteso a tutti i soggetti e ogni caso va valutato in funzione del rapporto rischio/beneficio.

Infatti, l’assunzione di questo farmaco può provocare anche problemi di sanguinamento, ed il rischio di emorragia va valutato scrupolosamente anche perché aumenta in relazione ad altri fattori clinici.

Quando è indicata, la profilassi con eparina può essere fatta al momento della partenza per l’aeroporto; il suo effetto durerà circa 24 ore e quindi sarà sufficiente per coprire l’intera durata del viaggio.

Conclusioni

In attesa di riprendere a viaggiare, conoscere il problema della trombosi in aereo potrà essere d’aiuto ai soggetti con fattori di rischio e anche alla popolazione generale, perchè con semplici accorgimenti si potrà prevenire una complicazione piuttosto seria e più frequente di ciò che si pensa.

Fonti

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https://www.ejves.com/action/showPdf?pii=S1078-5884%2805%2900541-1

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6457834/pdf/CD004002.pdf

https://watermark.silverchair.com/jtm10-0334.pdf?token=AQECAHi208BE49Ooan9kkhW_Ercy7Dm3ZL_9Cf3qfKAc485ysgAAAqkwggKlBgkqhkiG9w0BBwagggKWMIICkgIBADCCAosGCSqGSIb3DQEHATAeBglghkgBZQMEAS4wEQQMdVXDv0y0YE1VlPooAgEQgIICXJc3KnQSkyCddIOiRFmV1-i__NkGRTzeeLmLZeqXPOfUKF0uljVE_CuRDw20DMBmfyhv7NVJXqI3qJZK3cJSCuoHIQowtz99vS1FoHLDj8lRVqUvkS4alNF_Vkj1wN_m1t35hMw4fxSxcGSzhAH_Ow_6HclCwWrkNuzFoo6Vg_cu5j8PUgmW652BEFjbCY4wtMUJ54lge0RYZs-yRJKfok-lg0kyYT2UHmZmGx1-Hmj0b69nNPzvYquTVlpBo7Zc8KLRWsm4k4j3BaR647NHglchZIR1K3xYZb_rQH_0LUYCIXiKMXPFWGmhSPnHV_i_OcIogfVH7U09YCXfwl2cOm58kbhGI6Oa4Jvxs-I3uk_gcEjps19XWGL0EP5tXn3OuczS8gzmRCwYNbqV13GQ1ed4VgJRWdri6CKauhwdE4P95sfFfhLMr9kwtlamrd7Amfx2o-UCxvo63-ZsWR_gelJbRGcVZhGcLuW2s3a_LlXMDIf9vhDcAtCJ05j-h-AYryRHFOBmtNxjFlCbK6pMf_W_XAkh2lP4W6X2dg-MVq0QAuphj9CHLhxye8T8BioYjqXVIxPQaLfoMTC8Vd9IIyEwwDacSs_0OSEFAkK9P43PdgZ4HsMlWZoOtWSGnWh2HRNGX_Bd_jVVm0-peG6jWf1hsCZvGFOnkAG5YqsDx_JxVHmLOIasvtmRLA8NjblSVyP4we1DBQGKTXoeEco8NIbibqClGHkHevJzQ98BSe0zekqs-4yW634ovIqaQrRYYajmnL4rySnwAMgJwUiWVn0hw0PmtrcWP9seh9o

La ritenzione idrica può essere contrastata con una corretta integrazione

Ritenzione idrica nelle gambe: quali rimedi?

La presenza di ritenzione idrica nelle gambe viene lamentata da molte donne, soprattutto nel periodo primaverile ed estivo, è fonte di disagio ed è difficile da contrastare.
Si tratta sostanzialmente della percezione o sensazione di gonfiore localizzata alle caviglie, ai piedi, alle gambe o a volte alle cosce; naturalmente il gonfiore è frequentemente anche oggettivo.

Questo problema può accompagnarsi a dolori crampiformi o senso di pesantezza alle gambe, oppure a bruciore e indolenzimento.
Le cause di questa condizione sono difficilmente riconducibili ad un unico fattore, in quanto si tratta per lo più di forme miste dovute a predisposizione genetica e azione degli ormoni estrogeni.

Cause della ritenzione idrica

Con il termine ritenzione idrica si intende una generica tendenza a trattenere liquidi all’interno dell’organismo.
La ritenzione idrica propriamente detta dovrebbe accompagnarsi ad un aumento del peso corporeo o del volume degli arti, oppure presentarsi sotto forma di edema alla gamba, quando la pressione delle dita lascia un’impronta (il cosiddetto segno della “fovea”).

Il problema a cui ci riferiamo nello specifico, invece, a che fare con ristagno di acqua e linfa nella rete di tessuto connettivo che si trova nel contesto del grasso sottocutaneo degli arti inferiori.

La ritenzione idrica spesso si accompagna a dolore e pesantezza alle gambe

Perché succede questo?
Acqua e molecole filtrano regolarmente dai capillari sanguigni ai tessuti dove portano ossigeno e nutrimento, per poi essere raccolte dai capillari linfatici.
In alcune condizioni come la cellulite, oppure negli stadi iniziali del lipedema, c’è invece una tendenza intrinseca dei capillari ad essere più permeabili del normale, il che risulta in un accumulo di liquidi nei setti di connettivo che accolgono gli stessi capillari.
Questo processo a sua volta causa la ritenzione idrica.

Inoltre, quando la temperatura esterna aumenta, e le vene diminuiscono la loro attività per disperdere calore, questo meccanismo vizioso può essere indirettamente favorito.
Il ristagno di sangue dovuto ad ipotonia venosa e reflusso è alla base dell’edema che si forma nell’insufficienza venosa, ed è noto che la cellulite e la stessa insufficienza venosa vanno frequentemente di pari passo, sotto l’azione degli ormoni femminili.

Quali sostanze possono contrastare la ritenzione idrica?

Per combattere la ritenzione idrica nelle gambe servono delle sostanze che regolino la permeabilità dei capillari, possibilmente migliorino il tono venoso, cioè l’attività propulsiva delle vene, e “aggiustino” il funzionamento dei capillari linfatici.
Queste sostanze dovrebbero anche contrastare l’infiammazione e il danno ossidativo, perché quando i capillari filtrano di più attivano anche la risposta infiammatoria, tanto è vero che insufficienza venosa e cellulite si associano nel lungo termine ad infiammazione nella matrice extracellulare e fibrosi.

Premesso che è fondamentale idratarsi abbondantemente, non esiste un rimedio che cambi la situazione in modo fulmineo, anche perché la problematica è subdola e i meccanismi che la regolano rappresentano un bersaglio eterogeneo, difficile da colpire.
Abbiamo però a disposizione delle molecole, per lo più naturali, che hanno una azione flebotonica, cioè supportano la microcircolazione ed il funzionamento il sistema veno-linfatico, aiutandoci a contrastare il problema.

Conoscerle fornisce degli strumenti in più che si possono sfruttare.

Ruscus

Il Ruscus Aculeatus è una pianta cespugliosa sempreverde che produce delle grosse bacche rosse e forma delle foglie pungenti, per questo si chiama anche “pungitopo”.
L’estratto delle sue radici contiene delle sostanze chiamate saponine; esse hanno una nota funzione di supporto del sistema venoso, sono antiossidanti, cioè proteggono le cellule dai danni chimici, e hanno una azione diuretica.

La ritenzione idrica può essere contrastata con il Ruscus

Il meccanismo di azione dell’estratto di Ruscus sulla ritenzione idrica è legato all’azione dell’adrenalina e della noradrenalina sulle pareti delle vene.
Queste molecole stimolano le cellule muscolari dei vasi a contrarsi per far progredire il sangue, ed il Ruscus ne potenzia l’azione a livello recoettoriale, favorendo anche il rilascio in quantità maggiore della sostanza.
In questo modo, l’aumento del flusso capillare andrà di pari passo con una minore permeabilità, e quindi contrasterà la ritenzione idrica.

Negli studi sugli animali, il Ruscus ha mostrato un effetto dose-dipendente di aumento della contrazione delle vene e dei vasi linfatici, aumento della resistenza dei capillari e diminuzione della loro permeabilità, oltre che di contrasto all’azione infiammatoria dei globuli bianchi.
Nell’uomo, vari studi hanno analizzato questa sostanza in persone con insufficienza venosa, sia in forme lievi con presenza di soli capillari, sia in forme gravi con gonfiori importanti, ulcere ed esiti di trombosi.

Il Ruscus mostra un’alta efficacia sia nella riduzione dei sintomi come pesantezza, dolore, crampi, fatica e formicolio, sia nel contrasto alla ritenzione idrica, misurata quantitativamente come diminuzione della circonferenza alla caviglia e diminuzione del volume dell’arto.
Un fatto interessante è che nella popolazione studiata c’erano soggetti con capillari visibili sulle gambe e sintomi come pesantezza e gonfiore, cioè persone, per lo più di sesso femminile, molto rappresentative del problema di cui parliamo.

Negli studi analizzati, il Ruscus è stato somministrato per tre mesi in associazione con Esperidina, una sostanza flavonoide naturale, e in alcuni casi con Vitamina C.
L’associazione di 150 mg di Ruscus + 1 g di Vitamina C al giorno è un valido rimedio per contrastare la ritenzione idrica.

Escina

L’escina è un’altra sostanza appartenente alla categoria delle saponine; la troviamo nell’estratto dei semi di ippocastano.
Questa molecola contrasta l’infiammazione e riduce la permeabilità dei capillari, agendo quindi in opposizione ai meccanismi che determinano la ritenzione idrica. Inoltre, ha una azione protettiva proprio sulle cellule dei capillari sanguigni.

La ritenzione idrica può essere contrastata con l'escina

L’escina aumenta direttamente anche il tono venoso. Uno studio effettuato su vene safene prelevate chirurgicamente, tuttavia, ha mostrato che funziona poco o nulla se il vaso è molto tortuoso, quindi si può ipotizzare una sua maggiore efficacia negli stadi inziali dell’insufficienza venosa, quando ancora non si sono sviluppate vene varicose.

Per quanto riguarda la letteratura scientifica disponibile, la gran parte degli studi è stata effettuata in soggetti con insufficienza venosa.
L’escina si è mostrata efficace miglioramento di sintomi come il senso di gonfiore, mentre nella sindrome post trombotica non vi è ancora evidenza di una sua azione positiva in termini di prevenzione e trattamento.
La dose somministrata è stata di 40 mg per bocca per 21-25 giorni. Il dosaggio generalmente consigliato, tuttavia, è di 100 mg al giorno; va prestata attenzione se si soffre di patologie al fegato o di insufficienza renale.

Infine, anche sotto forma di gel l’escina si è mostrata efficace, questa volta nel migliorare gli edemi post traumatici (distorsioni, contusioni) ma anche il gonfiore legato all’insufficienza venosa.
Il dosaggio testato è stato di due applicazioni al giorno per tre settimane.

Rutina

La rutina è una sostanza appartenente alla categoria dei flavonoli, la troviamo nella pianta denominata Ruta Glaveolens ma soprattutto in alcuni alimenti come il grano saraceno, il , la passiflora e la mela.

Il primo aspetto interessante della rutina è legato ad un suo componente, la quercetina, che peraltro è presente nelle foglie di ibisco o karkadè, oltre che nello stesso ippocastano, nella calendula, nel biancospino, nella camomilla e nel Gingko Biloba.

La ritenzione idrica può essere contrastata con la quercetina
Tra gli alimenti, quelli particolarmente ricchi di quercetina sono il cappero, il levistico, l’uva rossa e il vino rosso, la cipolla rossa, il tè verde, il mirtillo, la mela, la propoli e il sedano.

Questa molecola determina una vasodilatazione a livello renale, che a sua volta aumenta la filtrazione di liquidi in questo organo favorendo una azione diuretica.
La quercetina, quindi, è un ottimo integratore per contrastare la ritenzione idrica, e si mostra efficace anche nel ridurre il senso di affaticamento che spesso si percepisce nel periodo primaverile ed estivo.
Il dosaggio non dovrebbe essere superiore a 300 mg al giorno.

Tornando alla rutina, ricordo che ha una potente azione antinfiammatoria e anti-proliferativa, e per questo è stata ampiamente studiata nei tumori e nelle malattie neuro-degenerative.

Centella asiatica

La Centella Asiatica è una pianta tipicamente presente in India e in altri paesi dell’Asia, la si trova ad altitudini montane e per secoli è stata usata come erba medicinale, per migliorare la memoria e il tono dell’umore.
Inoltre, è antiossidante e contribuisce a migliorare il controllo della pressione arteriosa.

La ritenzione idrica può essere contrastata con la centella asiatica

Le sostanze attive contenute nella Centella Asiatica sono anche in questo caso appartenenti alla categoria delle saponine.
Esse agiscono specificamente sul tessuto connettivo che costituisce le pareti delle vene, regolando la produzione delle molecole strutturali che lo compongono.
In particolare, l’azione si focalizza sulla sintesi di collagene, una delle sostanze cardine del tessuto connettivo stesso e che, tra l’altro, serve per la cicatrizzazione delle lesioni cutanee.
Studi su modelli animali, infatti, hanno mostrato che la Centella Asiatica velocizza la guarigione delle ferite.

In termini di ritenzione idrica, studi “in vivo” hanno mostrato un’azione protettiva della Centella Asiatica sui vasi capillari, una regolazione della loro permeabilità e un effetto antiossidante.
Nell’uomo si è osservata una riduzione della circonferenza alla caviglia, del gonfiore e del tasso di filtrazione capillare in soggetti che hanno assunto gli estratti di Centella Asiatica per 4-8 settimane. Il miglioramento è stato ottenuto anche nei sintomi soggettivi come gonfiore e pesantezza.

In queste ricerche, però, i parametri usati per definire la ritenzione idrica sono stati eterogenei, in alcuni casi quantitativi, in altri qualitativi. Oltretutto, si analizzavano soggetti con vari livelli di gravità di insufficienza venosa insieme a soggetti sani.
Queste distorsioni statistiche hanno portato a definire non ancora comprovato l’effetto della Centella Asiatica, almeno dal punto di vista strettamente scientifico.

Basandoci sull’esperienza clinica, possiamo tuttavia sfruttare le proprietà, comunque esistenti, di questa sostanza, nella dose di 60 mg da una a tre volte al giorno, per 4-6 settimane.
Bisognerebbe evitare di assumere contestualmente farmaci sedativi, perché sommerebbero la loro azione a quella della Centella, già di per sé tranquillante.

Conclusioni e consigli

Il problema della ritenzione idrica è complesso. Essa può essere ricondotta ad insufficienza venosa di tipo funzionale o a stasi linfatica, presente in alcuni stadi della cellulite e del lipedema.
Il comune denominatore sembra essere rappresentato dagli ormoni estrogeni, che agiscono sulla redistribuzione del grasso corporeo e sull’attività propulsiva delle vene e dei vasi linfatici.

Ci sono diverse sostanze che contrastano la ritenzione idrica, molte delle quali con una azione notoriamente efficace nella pratica clinica.
Secondo la letteratura più recente, mancano delle evidenze soprattutto per quanto riguarda la Centella Asiatica, a causa di fattori statistici che rendono necessarie delle ricerche più ampie e con parametri più rigidi.
Per il resto, una corretta integrazione può giocare il suo ruolo nel combattere questo problema.

Va ricordato che è importante limitare il consumo di sale e bere molto, per idratare adeguatamente la matrice extracellulare. In caso di ritenzione idrica questo tessuto è, in apparenza paradossalmente, disidratato, perchè il ristagno di liquidi si accompagna anche ad accumulo di molecole e cellule nello spazio extracellulare, rendendo questo fluido linfatico più denso del normale.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6776292/pdf/dddt-13-3425.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5355559/pdf/main.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3116297/?report=printable

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3594936/pdf/ECAM2013-627182.pdf

https://www.minervamedica.it/it/riviste/international-angiology/articolo.php?cod=R34Y2017N02A0093

http://www.sicve.it/wp-content/uploads/2016/10/Flebologia-LG-SICVE-SIF.pdf

gamba gonfia

Come e quando usare la calza elastica come rimedio per la gamba gonfia

Nel 99% dei casi il rimedio per la gamba gonfia NON è la calza elastica; vediamo come e quando usarla correttamente

La comparsa di una gamba gonfia, o edema alla gamba, rappresenta un problema frequente nella popolazione spesso in assenza di altri sintomi; in alcuni casi, tuttavia, può trattarsi del segno di una patologia grave che per questo va riconosciuta e trattata correttamente.

In presenza di questo problema molti medici si limitano a prescrivere alcuni integratori assieme all’utilizzo di una calza elastica, magari senza specificarne la tipologia.
Applicare una calza elastica in una gamba gonfia, tuttavia, non solo non è efficace ma può provocare anche dei danni per un effetto di strangolamento sui tessuti.

Qual è allora la soluzione corretta? Come si riabilita una gamba gonfia?
Di seguito vedremo in cosa consiste l’edema alla gamba, quali sono le cause e i meccanismi attraverso i quali si sviluppa e quali sono i trattamenti adeguati. Seguimi nella lettura!

Le cause della gamba gonfia

Il gonfiore delle gambe si riscontra spesso nel sesso femminile a causa di fattori ormonali legati a gravidanza, menopausa o assunzione della pillola anticoncezionale, ma può colpire anche i maschi ed essere legato a traumi o infiammazioni.

L’edema alla gamba vero e proprio, invece, può essere la manifestazione di una patologia la trombosi venosa profonda, l’insufficienza venosa o l’insufficienza linfatica.
Queste patologie, se non trattate, si cronicizzano fino a causare danni anche irreversibili, oppure portano a complicazioni come ulcere e linfedema.

La comparsa di una gamba gonfia è causata da un accumulo acuto o cronico di liquidi nello spazio situato fuori dalle cellule sottocutanee, chiamato matrice extracellulare, e i meccanismi attraverso i quali si sviluppa sono fondamentalmente tre; vediamoli uno per uno.

Il primo è rappresentato da un danneggiamento delle cellule dei capillari del microcircolo, cioè quella struttura costituita dai piccoli vasi che portano sostanze nutrienti e ossigeno ai tessuti. Questo danneggiamento altera la permeabilità dei capillari facendone perdere la funzione di filtro, e provocando di conseguenza il passaggio di liquidi nei tessuti.
Alcune situazioni di questo tipo sono rappresentate da ustioni o traumi, o ancora da ciò che succede ai pazienti che vengono sottoposti a bypass della gamba per cattiva circolazione.

Il secondo meccanismo è legato ad un aumento della pressione del sangue all’interno dei capillari, come accade nella insufficienza venosa o nello scompenso del cuore.
Il sangue, a causa dell’ostacolo al flusso, tende a ristagnare nelle gambe esercitando quindi una maggiore pressione sulle pareti dei capillari e causando la fuoriuscita di liquidi nei tessuti.

Il terzo meccanismo dipende dalla perdita patologica di proteine attraverso i reni, che causa un edema diffuso per un meccanismo “oncotico” (il sangue perde ciooè la capacità di trattenere liquidi nei vasi).

Le conseguenze della gamba gonfia

Quando una gamba si gonfia progressivamente per il ristagno di liquidi si verifica uno squilibrio nelle strutture che stanno fuori dalle cellule e che compongono la cosiddetta matrice extracellulare; si tratta di un vero e proprio organo che compone i nostri tessuti sottocutanei, fatto di acqua e molecole strutturali che ne mantengono le proprietà fisiche e che interagiscono con le cellule modulandone la funzione.
Le cause di edema alla gamba, come abbiamo visto, sono diverse, ma tutte portano ad una situazione di sofferenza della matrice extracellulare.

Con il tempo e senza un adeguato trattamento la matrice si ammala a causa di un circolo vizioso in cui la linfa, che è fatta di acqua e cellule, ristagna eccessivamente anziché essere drenata dai vasi linfatici, causando in questo modo infiammazione e acidificazione.
Il sistema dei vasi linfatici, a sua volta, si affatica sempre di più a causa del super lavoro che gli viene richiesto, le sostanze tossiche ristagnano ulteriormente e il gonfiore peggiora diventando sempre più duro, perché l’accumulo di acqua stimola anche la fibrosi in maniera patologica.
Con il tempo la situazione può peggiorare ancora perché possono comparire infezioni dei tessuti sottocutanei e lesioni cutanee; questa situazione è difficilmente reversibile.

Tutte le forme di edema cronico, se non trattate, portano quindi con il tempo ad un sovraccarico del sistema linfatico e, se ci sono altri fattori concomitanti, ad un linfedema.
Nel linfedema la gamba presenta un gonfiore duro e ingravescente perché il sistema linfatico, questa complessa rete di vasi che raccoglie acqua e cellule dai tessuti, non riesce più a svolgere il suo compito proprio perché sovraccaricato per tanto tempo e costretto ad un super lavoro che ne ha abbassato progressivamente la capacità di funzionamento massimale, non riuscendo più a fronteggiare situazioni anche transitorie che provochino l’aumento di liquidi nella gamba.

In queste situazioni un trattamento tempestivo è fondamentale!

Qual è il trattamento corretto?

Molto spesso accade che i pazienti con una gamba gonfia non sappiano a chi rivolgersi e si trovino a vagare da uno specialista all’altro senza ottenere il miglioramento sperato.
Molti medici, inoltre, non conoscono adeguatamente il problema dell’edema alla gamba e prescrivono terapie non adeguate.
Un esempio sono i farmaci diuretici, che spesso vedo prescritti nei pazienti con linfedema con lo scopo di sgonfiare gli arti.

Questi farmaci servono per stimolare l’espulsione di liquidi in alcune malattie cardiache e renali ma non vanno bene nel linfedema in quanto provocano una ulteriore disidratazione in una matrice extracellulare già privata di acqua.
Infatti, al contrario di quanto può sembrare, in questa malattia i tessuti sono gonfi ma sono anche disidratati, perché “intasati” da detriti cellulari, globuli bianchi e batteri che la matrice extracellulare non riesce più a smaltire a causa dell’insufficiente funzione del sistema linfatico.
Per questo motivo è importante che i pazienti affetti si idratino adeguatamente, e seguano naturalmente le altre indicazioni terapeutiche.

Un altro problema è rappresentato dalla errata terapia compressiva.
La cosa più dannosa che si può fare su una gamba gonfia, infatti, è applicare subito una calza elastica senza una precedente terapia decongestiva; vediamo il perché.

Le vene profonde della gamba si trovano avvolte dai muscoli del polpaccio che rappresentano il motore che spreme il sangue verso il cuore contro la forza di gravità.
Quando siamo fermi in piedi la colonna di sangue all’interno delle vene esercita una pressione alla caviglia causata dalla forza di gravità stessa, e il sangue non riesce a essere drenato efficacemente. Quando camminiamo, invece, si innesca una pompa muscolare che, assieme all’alternanza di chiusura e apertura delle valvole venose, permette alla colonna di sangue di “frazionarsi” e di essere drenata.

La calza elastica è un dispositivo terapeutico che esercita una compressione esterna che supporta la funzione dei sistemi venoso e linfatico.
In questo modo, la calza aiuta i vasi malati a drenare i liquidi, migliora il funzionamento delle valvole venose e, nei casi di trombosi, favorisce il recupero della vena interessata.

La calza può essere fatta di diversi materiali e può avere una “forza” compressiva variabile a seconda della necessità e del caso specifico; inoltre le forme sono svariate, in quanto esistono gambaletti che arrivano al ginocchio, autoreggenti fino a metà coscia o collant fino alla vita.
Tutte le calze hanno in comune la caratteristica di esercitare una pressione a riposo e una pressione mentre camminiamo, che si chiama pressione di lavoro. Nel caso delle calze elastiche sappiamo che la differenza tra queste due pressioni è di scarsa entità.

Se la gamba è gonfia, l’applicazione di una calza elastica determinerebbe una pressione a riposo insopportabile per il paziente, e non riuscirebbe a far riassorbire i liquidi in quanto la differenza pressoria tra la situazione di riposo e quella di lavoro è poca.
Inoltre, la sua applicazione potrebbe causare un effetto di strangolamento sui tessuti gonfi con “effetto laccio”, in particolare a livello del piede o alla caviglia dove possono svilupparsi lesioni gravi.

La soluzione per sgonfiare la gamba consiste nell’utilizzo di bendaggi anelastici che abbiano una pressione a riposo nulla o quasi e una pressione di lavoro elevata.
Si tratta del bendaggio flebo/linfologico multistrato con funzione anelastica, che viene effettuato con tecniche particolari e mantenuto giorno e notte per essere rinnovato di solito dopo alcuni giorni, fino a decongestione completa.

In questo caso, essendo la differenza tra le due pressioni elevata, faremo in modo che durante la deambulazione la pompa dei muscoli del polpaccio aumenti la pressione del compartimento e, grazie alla presenza del tutore anelastico che è poco o nulla estensibile, permetta alla gamba di sgonfiarsi progressivamente.

I bendaggi anelastici sono creati in diversi modi e sono fatti di materiali differenti, come ad esempio bende anelastiche o bende allo zinco, e vanno effettuati da un medico competente.
Inoltre, possono essere associati ad una terapia farmacologica che agisce detossificando la matrice extracellulare e favorendo il riassorbimento dei liquidi in eccesso.

Camminare è fondamentale in questa fase della terapia, perché sono proprio i muscoli del polpaccio il motore da sfruttare per svuotare la gamba dai liquidi in eccesso, con la contenzione della benda.
In un secondo momento, quando la gamba sarà ridotta di volume, sarà possibile scegliere un tutore elastico su misura, di materiale diverso a seconda delle esigenze del paziente.

Ricordiamo che per trattare correttamente una gamba gonfia è importante una diagnosi precoce e corretta, finalizzata ad avviare un percorso terapeutico specifico che si potrà ottenere solo rivolgendosi ad un medico specializzato.