Articoli

Ci sono tre rimedi efficaci per trattare i capillari rotti sulle gambe

Capillari rotti: come ottenere risultati con i trattamenti?

Capillari rotti sulle gambe: 3 rimedi per eliminarli efficacemente

 

Eliminare i capillari “rotti” sulle gambe è un target molto richiesto perché questi inestetismi provocano notevole disagio nelle donne. I trattamenti per eliminarli sono apparentemente banali, ma in realtà presentano delle criticità. Nella mia esperienza, infatti, ho notato che la maggior parte delle pazienti presenta due caratteristiche comuni.

La prima: molti trattamenti fatti in passato senza ottenere risultati, o addirittura peggiorando la situazione.

La seconda: tante convinzioni errate derivanti da luoghi comuni, come ad esempio: trattare i capillari “rotti” non serve a niente, perché tanto ritornano. Oppure: le vene varicose è meglio non toglierle finché non hai disturbi.
La conclusione generale è che bisogna rassegnarsi al disagio perché i trattamenti non funzionano.

Se stai leggendo questo articolo è probabile che tu abbia avuto un’esperienza simile. Per fortuna, però, le cose non stanno così. I trattamenti hanno una comprovata efficacia, certo con un margine molto basso di complicazioni come ogni terapia medica. Ci sono tuttavia degli aspetti che fanno la differenza e che ho cercato di sintetizzare in questo articolo.

Ecco quindi 3 rimedi efficaci per trattare i capillari “rotti” sulle gambe. Prima, però, una breve introduzione per capire meglio di cosa stiamo parlando.

Capillari rotti sulle gambe: cosa sono e perché si formano

I capillari “rotti” sulle gambe indicano una situazione di insufficienza venosa. Si tratta di una patologia molto diffusa nella quale le vene perdono la capacità di drenare il sangue. Secondo la principale classificazione di questa malattia, la comparsa dei capillari indica il primo stadio.

Ma i capillari sono davvero “rotti”?
In realtà no, sono semplicemente dilatati e per questo diventano visibili. Nel linguaggio comune vengono definiti “rotti” perché spesso si manifestano abbastanza rapidamente (nella stagione calda o dopo una gravidanza) o perché assumono l’aspetto di un livido.

La scleroterapia dei capillari permette di migliorare l'aspetto delle gambe

Un esempio di capillari “rotti” sulla coscia

Le cause che portano alla “rottura” dei capillari sono molteplici.
Le più importanti sono la familiarità e l’azione degli ormoni sessuali femminili, quindi fattori non modificabili. Infatti, è abbastanza tipico che i capillari si “rompano” in situazioni di cambiamento ormonale come la gravidanza e la menopausa. Anche alcune terapie come pillola anticoncezionale e fecondazione assistita possono influire.

Ma perché c’entrano gli ormoni?
Riducendo il tono venoso e capillare, gli ormoni sessuali femminili favoriscono il ristagno del sangue e dei liquidi nei tessuti. Per questo si associano spesso anche a gonfiore e ritenzione.

Ci sono anche dei fattori ambientali e comportamentali che incidono sulla comparsa dei capillari. Ad esempio, pomate al cortisone, massaggi intensi, mesoterapia non corretta, ma anche obesità, immobilità in piedi per molte ore (alcune attività lavorative come bariste, parrucchiere e addette alle pulizie sono particolarmente a rischio), eccesso di calore (saune, lampade), vestiti troppo stretti e cerette troppo traumatiche.
Come vedremo più avanti, è proprio su questi fattori modificabili che puoi intervenire per migliorare l’aspetto delle gambe.

Capillari rotti sulle gambe: perché dovresti trattarli?

Poiché sono una condizione cronica e degenerativa, i capillari tendono col tempo a peggiorare. D’altra parte hanno una forte componente genetica quindi non si possono eliminare alla radice.

Ma allora perché dovresti curarli?
Come abbiamo visto, si sentono tanti luoghi comuni su questa patologia e si potrebbe erroneamente concludere che trattarli sia inutile. Vedremo perché si tratta di una convinzione sbagliata.

Ora però rispondiamo alla domanda.
Essendo una patologia degenerativa, a maggior ragione dovresti tenerla sotto controllo. Non facendo trattamenti periodici, infatti, la situazione peggiorerà sicuramente più di quanto accadrebbe se te ne prendessi cura regolarmente.
E se la situazione peggiora cosa succede? Possono esserci tre tipi di problemi: uno estetico, uno funzionale e uno sintomatologico.

Da un punto di vista estetico questa patologia è molto impattante. Secondo alcuni studi, infatti, la presenza di capillari “rotti” sulle gambe rappresenta per le donne un disagio addirittura superiore a quello provocato dalle rughe del viso.
L’impatto psicologico è rilevante, le donne si sentono in imbarazzo nello scoprire le gambe e ricorrono ai pantaloni lunghi anche d’estate. Le pazienti più giovani possono manifestare addirittura quadri depressivi.

La presenza di capillari rotti provoca disagio nello scoprire le gambe

Ecco un esempio di come i capillari provocano disagio nell’indossare vestiti corti

Da un punto di vista funzionale, più questi capillari si dilatano e aumentano la loro estensione, più il sistema circolatorio superficiale si sovraccarica.
E quindi cosa succede? I capillari si trovano nel derma, subito sotto l’epidermide, e sono collegati con le vene sottocutanee che a loro volta confluiscono nelle safene. Questo significa che la dilatazione dei capillari può favorire un’evoluzione verso forme di insufficienza venosa più gravi.
Inoltre, il sistema venoso contribuisce alla termoregolazione del corpo. Se i capillari si dilatano allora il sangue non scorre come dovrebbe, con conseguenti problemi distrettuali della termoregolazione.

Trattare i capillari è utile anche perché possono provocare disturbi. Alcune pazienti, infatti, lamentano prurito, senso di calore o bruciore, formicolii e altri fastidi proprio nelle aree dove si “rompono” i capillari. Questo succede soprattutto in alcune fasi del ciclo mestruale a causa dei picchi ormonali. In questi casi il trattamento elimina solitamente i disturbi.

Capillari rotti sulle gambe: rimedi per eliminarli efficacemente

Quasi tutte le donne in età adulta hanno effettuato qualche trattamento per eliminare i capillari. Come abbiamo detto, però, spesso non si ottengono i risultati sperati e ci si demoralizza. Atre volte per la disperazione si ricorre a creme “miracolose” che purtroppo si rivelano un bluff.

Ma perché accade questo?
Non certo perché i trattamenti non funzionano. Se correttamente indicati, laser e scleroterapia sono infatti molto efficaci e non servono poi tante sedute per vedere un buon risultato.
Il problema, nella mia esperienza, è un altro. Poiché diversi medici effettuano questi trattamenti pur non essendo del settore, l’approccio è generalmente molto variabile o in qualche caso addirittura improvvisato. Questo può portare a risultati non buoni.

C’è bisogno, quindi, di fare chiarezza su cosa realmente funziona. Ecco quindi tre punti e rimedi secondo me utili che fanno la differenza.

1 Prevenzione

La prevenzione consente di agire sui fattori modificabili, cioè i fattori ambientali e lo stile di vita. Si tratta dell’unica arma che hai a disposizione per ridurre la possibilità che compaiano i capillari. Vediamone gli aspetti più importanti.

Dieta e controllo del peso

L’obesità è un fattore che aggrava l’insufficienza venosa. Se il tessuto adiposo delle gambe aumenta, il sistema venoso e linfatico faranno più fatica a drenare il sangue e i liquidi. Oltre a una aumentata comparsa di capillari, è facile che le gambe si gonfino e facciano male.

Oltretutto, una persona obesa si muove con più difficoltà ed è meno propensa a camminare. Come vedremo dopo, camminare è la base per far circolare bene il sangue. Per questo in presenza di obesità si crea un circolo vizioso che aggrava la situazione.

Per i motivi che abbiamo visto è molto importante controllare il peso e mantenerlo nel range di normalità per la propria costituzione. Ma che cosa puoi fare?
Ci sarebbe molto da scrivere su un argomento vasto come la nutrizione, quindi vediamo le cose più importanti.

Un primo consiglio apparentemente banale ma utile è di evitare l’assunzione di zuccheri raffinati e cibi iper-calorici. Gli zuccheri, infatti, si attaccano alle cellule adipose provocando un fenomeno chiamato lipodistrofia.
Cosa significa? Si tratta di una degenerazione delle cellule adipose caratterizzata da infiammazione e richiamo di liquidi, quindi sofferenza circolatoria.

Il fenomeno della lipodistrofia si collega anche a quello che accade nella cellulite, altra condizione che si associa spesso ai capillari “rotti”.
La cellulite è una malattia infiammatoria e degenerativa dei tessuti che provoca, tra l’altro, inestetismi cutanei sotto forma di “buchi” e “avvallamenti”. Essa può contribuire alla “rottura” dei capillari in zone abbastanza tipiche, come la parte esterna della coscia e l’interno del ginocchio.

Perché i capillari si “rompono” dove c’è la cellulite?
Se osserviamo da vicino queste zone, vedremo che i capillari tendono ad assumere l’aspetto di una raggiera o di un semicerchio, con al centro una piccola vena bluastra che scende. Questa forma indica che la dilatazione dei capillari avviene perché il sangue fa fatica a defluire.
La cellulite, infatti, provoca asfissia nelle cellule adipose, che andando in sofferenza si deformano e provocano un impedimento alla circolazione. I capillari a quel punto si dilatano e diventano visibili.

 

Sulla coscia i capillari assumono spesso l'aspetto di un albero

All’altezza della coscia i capillari formano spesso un semicerchio con una vena bluastra che scende, assumendo la forma di un albero

In queste zone è molto importante che i capillari vengano trattati in maniera delicata e graduale, senza utilizzare terapie troppo aggressive. Poiché la circolazione è ostacolata, bisogna dare il tempo al sistema di adattarsi e trovare altre vie di scarico, altrimenti si formeranno immediatamente nuovi capillari particolarmente rossi e sottili che prendono il nome di matting.

Esercizio fisico

L’esercizio fisico è un altro fattore importante per la circolazione e rappresenta un’ottima abitudine preventiva per contrastare i capillari.

Perché l’esercizio aiuta la circolazione?
Le vene che raccolgono il sangue dalle gambe devono spingerlo contro gravità verso il cuore, quindi hanno bisogno di un motore. Questa spinta è prodotta dalle pompe muscolari, strutture muscolari e tendinee delle gambe che funzionano come propulsori proprio perché, con la loro contrazione, spremono le vene favorendo il flusso del sangue.

Le pompe muscolari si trovano a livello del polpaccio e sulla pianta del piede, oltre che nel torace (in questa sede, grazie alla respirazione, ci crea una pressione negativa che “aspira” il sangue verso l’alto).

Ma che tipo di esercizio è meglio fare per evitare la comparsa dei capillari?
Sicuramente camminare è la cosa più utile, perché attiva tutte e tre le pompe (pianta del piede, polpaccio e torace). Bisogna al contempo respirare profondamente e concentrarsi nel sollevare bene i talloni, in modo che la spremitura delle vene sia ottimale.

Un altro esercizio molto utile è il nuoto, così come tutti gli sport acquatici (acquagym, idrobike, ecc). In acqua, infatti, l’azione della forza di gravità sul sangue è attutita e le vene fanno meno fatica a lavorare. Allo stesso tempo si può effettuare un esercizio muscolare, aiutando ancora di più il sistema. Avendo l’acqua una temperatura più bassa, infine, c’è un ulteriore aiuto alla circolazione.

Calza elastica

Nonostante sia odiata da molte donne, la calza elastica è un ottimo strumento per prevenire la “rottura” dei capillari. Si tratta di un presidio terapeutico che esercita una pressione esterna sulle gambe, aiutando in questo modo la circolazione.

Molti studi mostrano che la calza elastica riduce i sintomi e migliora la qualità di vita delle donne con insufficienza venosa. Anche dopo la scleroterapia dei capillari, indossare una calza di almeno 18 mmHg determina un migliore risultato a distanza, se portata per 3 settimane.
La calza elastica andrebbe indossata soprattutto dalle persone più a rischio di sviluppare capillari e vene varicose, cioè chi lavora molte ore in piedi oppure vicino a fonti di calore.

Ma perché risulta così fastidiosa?
In alcune donne il senso di compressione o costrizione e la sudorazione eccessiva rendono la calza difficile da indossare. Altre pensano che le autoreggenti o i gambaletti blocchino la circolazione, quindi non li mettono. In estate, poi, quando sarebbe maggiormente necessaria, nessuna la indossa perché non risulterebbe adeguata all’abbigliamento (sandali e vestiti corti).

Tutto comprensibile e giustificato, ma devi cercare di dare spazio anche alla prevenzione! Ad esempio, se lavori in ambiente fresco o con una divisa, puoi tranquillamente indossare un gambaletto o una autoreggente. In questo modo aiuterai la circolazione nei momenti critici e sentirai alla sera un senso di sollievo. Se hai bisogno di un outfit per stare all’esterno, potrai stare senza calza per il tempo che ti serve.

Spesso i fastidi della calza elastica derivano anche da una prescrizione non corretta. Sono pochi, infatti, i medici che prescrivono la calza prendendo le misure e scegliendo i materiali più adatti. Se questa prassi non viene seguita, la sanitaria vende ciò che ha ma che magari non va bene.

2 Rivolgiti a uno specialista

Spesso non si ottengono buoni risultati nel trattamento dei capillari “rotti” perché manca una valutazione specialistica. Un cattivo risultato, infatti, deriva in molti casi da una diagnosi non corretta.

Ma come si fa a fare una diagnosi corretta? Bisogna prima di tutto fare un ecodoppler venoso, e bisogna saperlo fare bene (cosa non scontata). L’ecodoppler consente di studiare come funziona la circolazione e capire se i capillari sono alimentati da vasi più profondi.
Ma quindi i capillari non sono tutti uguali? No. I capillari della coscia (sopra il ginocchio) sono solitamente diversi da quelli della gamba (sotto il ginocchio).

Nella coscia abbiamo già visto che i capillari “rotti” si formano per un ostacolo alla circolazione.
Sotto il ginocchio, invece, molto spesso ci sono una o più vene non funzionanti che ne provocano la comparsa. Identificare queste vene con l’ecodoppler è fondamentale, perché se non le trattiamo per prime i capillari si riformeranno o addirittura peggioreranno a seguito dei trattamenti.

I capillari sotto il ginocchio assumono spesso l'aspetto di un albero rovesciato

Sotto il ginocchio i capillari “rotti” assumono spesso l’aspetto di un albero rovesciato

Per fare un esempio, non ha alcun senso trattare quelle macchie di capillari che ci sono sulla caviglia se sotto c’è una grossa vena che non funziona. In queste situazioni il sangue presenta un reflusso, cioè scende verso il basso e ristagna anziché andare verso l’alto. Proprio perché scende in basso per gravità, il sangue deve trovare delle vie di scarico e i capillari compaiono per questo.
Bisogna quindi trattare prima di tutto la grossa vena che non funziona e poi rifinire con il trattamento dei capillari. Eppure, mi è capitato spesso di vedere trattare le caviglie in pazienti con questo problema, ovviamente senza fare l’ecodoppler.

Un altro fattore importante è che un medico non specialista difficilmente potrà padroneggiare tutte le tecniche che ci sono a disposizione, scegliendo quindi la più adatta. Ad esempio, ci sono tanti medici estetici o addirittura medici di base che fanno solo la scleroterapia, oppure comprano il laser e lo fanno a tutti indistintamente.

Questo approccio non va bene perché ogni trattamento ha una specifica indicazione. A volte, poi, per ottenere un buon risultato è necessario un piccolo intervento. Si capisce quindi che una puntura non può sostituire un’altra tecnica che sarebbe in quel caso maggiormente indicata, e il risultato di conseguenza non sarà buono.

Lo specialista, invece, è in grado di riconoscere per primo il problema più importante e di trattarlo nel miglior modo (chirurgia, laser, colla o scleroterapia).

3 Trattamenti efficaci

Il terzo rimedio che ti suggerisco per eliminare i capillari “rotti” è di effettuare terapie di comprovata efficacia.
Sappiamo che i trattamenti principali sono la scleroterapia e il laser. Ce ne sono anche altri come ossigeno-ozono, carbossiterapia e diatermo-coagulazione, ma si usano meno frequentemente.

Quello che fa la differenza, però, è come vengono fatti.
Vediamoli un po’ più nel dettaglio.

Scleroterapia

La scleroterapia consiste nell’iniettare all’interno dei capillari “rotti” una sostanza che li chiude e li fa scomparire gradualmente.
I farmaci da utilizzare dovrebbero essere tra quelli approvati per la scleroterapia dalla farmacopea italiana. Eppure, capita di sentir parlare di scleroterapia con prodotti omeopatici oppure rinforzanti. Un esempio è la terapia TRAP, che da alcuni anni si propone come alternativa alla scleroterapia tradizionale.

Ma che cos’è la TRAP e come funziona realmente?
La TRAP non è altro che una scleroterapia a bassissime concentrazioni di farmaco, nella quale si utilizza una sostanza non annoverata come sclerosante nella farmacopea italiana. Viene proposta come terapia “rigenerativa” (il messaggio è che le altre terapie distruggono i capillari, la TRAP invece li rinforza) e per questo sembra molto accattivante.

Tuttavia, non c’è alcuno studio che dimostri questo effetto.
Essendo come una scleroterapia, l’iniezione della TRAP provoca una blanda infiammazione nel capillare e di conseguenza un modesto accartocciamento della sua parete. Questo può certamente determinare una minore visibilità dei capillari, mentre nelle vene più grosse l’effetto è molto più leggero e comunque non duraturo.

In ogni caso, non si tratta di “rinforzo” (il termine è fuorviante) ma di leggera infiammazione. Il principio di fondo della TRAP rimane dunque non corretto, perché si basa sul trattare indistintamente vene e capillari senza studiare da dove parte il reflusso.

Laser

Il laser non dovrebbe essere considerato un’alternativa alla scleroterapia (e viceversa). Spesso, però, c’è la convinzione che i due trattamenti siano intercambiabili e le pazienti vogliono “provare” il laser perché la scleroterapia non è andata bene.

Si tratta di un approccio sbagliato perché laser e scleroterapia hanno indicazioni specifiche. Se la scleroterapia non è andata bene, i motivi possono essere tanti (non è stato identificato un reflusso, concentrazione del farmaco non corretta, oppure la puntura ha interrotto una via di scarico).

E allora quando va usato il laser?
In linea generale, se i capillari sono molto piccoli (diametro inferiore a 0,5 mm) il laser è la soluzione migliore. Naturalmente bisogna essere sicuri che non ci siano vene sottostanti più grosse che li alimentano.

Se la dimensione è compresa tra 0,5 e 1 mm, sia la scleroterapia che il laser possono andare bene, in base all’esperienza e alla preferenza del medico. Naturalmente sarà più opportuno ricorrere al laser nelle pazienti allergiche allo sclerosante o fortemente spaventate dagli aghi. La scleroterapia, d’altra parte, sarebbe da preferire in zone particolarmente delicate come la parte esterna della coscia.

Anche il tipo di laser va considerato, a seconda di alcuni parametri del capillare come profondità, dimensione e colore.
Il NeodimioYAG è un laser che va molto bene per i capillari più grossi che hanno un colore blu-violaceo. Il motivo è che questi capillari sono un po’ più profondi e il laser a Neodimio ha la caratteristica di penetrare maggiormente. Anche il Diodo può andare bene, sebbene abbia una penetrazione leggermente inferiore.

Se i capillari “rotti” sono rossi e sottili, allora significa che sono più superficiali. In questi casi il laser più adatto è il KTP 532. Questo laser penetra di meno rispetto agli altri e ha un’alta affinità per i capillari, quindi va molto bene. Bisogna stare attenti però alla pelle, perché avendo affinità anche per la melanina potrebbe provocare perdita di pigmentazione.

Quando i capillari sono superiori al millimetro allora si parla di vene reticolari. La prima scelta in questo caso è la scleroterapia, ma il loro trattamento viene molto bene anche con il laser endo-perivenoso.
Questa particolare tecnica laser prevede l’introduzione di una sottile fibra sotto la cute, in anestesia locale, con il vantaggio di ovviare il problema della penetrazione. Poiché la fibra si avvicina di più alla vena, infatti, il laser potrà colpire il bersaglio molto efficacemente e senza danneggiare la pelle.

Conclusioni

Purtroppo non esiste un rimedio che faccia sparire i capillari in modo rapido, definitivo e senza possibili complicazioni. Come hai potuto leggere, le terapie sono efficaci ma sono piene di insidie.

Spesso le pazienti mi chiedono se qualcosa è cambiato rispetto al passato e se ci sono cure più efficaci. Quello che è cambiato è certamente l’approccio, che è diventato (o almeno dovrebbe esserlo) meno aggressivo e più confortevole per il paziente. Purtroppo però la cura innovativa che renda tutto più facile non esiste. Per questo credo che sia importante soffermarsi sui concetti che hai letto in questo articolo.

Penso anche che ci sia bisogno di maggiore cultura e consapevolezza su queste patologie. Noi medici per primi dobbiamo abbandonare la vecchia mentalità fatta di luoghi comuni, prepararci di più e specializzarci in queste problematiche con un approccio il più scientifico possibile.

Anche tu come paziente puoi consapevolizzarti di più ed essere cosi più preparata nella scelta del medico e nell’affrontare i trattamenti.
I rimedi più efficaci che ho voluto spiegarti non riguardano quindi una tecnica di trattamento speciale, ma piuttosto un insieme di fattori che sono utilissimi alleati per ottenere un buon risultato.

Fonti

Pier Antonio Bacci, Celluliti 2012-diagnosi e terapia della FEF, Officina editoriale oltrarno, FI

Ovidio Marangoni, Leonardo Longo, Lasers in Phlebology, Edizioni Goliardiche

Alessandro Frullini, Manuale di flebologia ambulatoriale, Officina editoriale Oltrarno, FI

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5846867/pdf/10.1177_0268355516689631.pdf

 

Ti è piaciuto questo articolo?

Leggi anche Vene visibili sulle gambe: cosa sono e come si eliminano efficacemente e Capillari sulle gambe: scleroterapia o laser?

 

Vuoi altre informazioni?

Dai un’occhiata al mio blog, puoi trovare risorse utili e gratuite! Se invece ti interessa approfondire ulteriormente, considera di acquistare una copia del mio libro, troverai tantissimi consigli utili e soprattutto pratici per prenderti cura delle tue gambe!

 

Usi i social?

Seguimi su Facebook o chiedimi il collegamento su Linkedin!

 

 

Gambe grosse e doloranti possono indicare la presenza di lipedema

Gambe grosse e doloranti: quando sospettare una patologia?

Alcune donne hanno il problema delle gambe grosse, doloranti e sproporzionate rispetto alla parte alta del corpo. Spesso è un fatto costituzionale, e si “ereditano” le gambe grosse dalla mamma o dalla zia. Altre volte si tratta di gonfiore che compare più o meno improvvisamente.
Stiamo parlando quindi di un problema generico ed è importante capire che patologie possono esserci alla base.

Di solito la presenza di gambe grosse e gonfie fa pensare subito a un problema di circolazione. Anche qui, però, bisogna differenziare le possibili cause. Saranno le vene oppure è ritenzione? Ci sono liquidi in eccesso o si tratta di tessuto adiposo?

Come vedi, non è facile capire quando la situazione è patologica. Molte donne, pensando che il problema sia irrisolvibile, si limitano a nasconderlo cercando idee su come vestirsi per far sembrare le gambe più snelle (Figura 1). Questo è certamente utile, ma capire se c’è una patologia sottostante lo è ancora di più perché consente di iniziare una cura.

Un esempio di gambe grosse

Figura 1. Un esempio di gambe grosse

In questo articolo vorrei concentrami su una malattia molto importante che può provocare un ingrossamento delle gambe: il lipedema.
Non sempre facile da riconoscere, il lipedema è piuttosto frequente ma poco conosciuto anche tra i medici. La conseguenza è una diagnosi spesso tardiva quando il problema è diventato irreversibile.

L’obiettivo che mi sono posto con questo articolo è sensibilizzare il più possibile su questa malattia, dandoti tutte le informazioni necessarie per saperne di più e per risolvere il problema.
Parlando di lipedema dovrò inevitabilmente darti delle informazioni anche sul linfedema, una malattia per certi versi simile ma per altri diversa di cui ti parlerò meglio nel prossimo articolo.

Gambe grosse e doloranti: di cosa si tratta?

Quando parliamo di gambe grosse, doloranti oppure gonfie abbiamo a che fare con alterazioni che interessano tre organi: il tessuto connettivo, il tessuto adiposo e il sistema linfatico.

Cosa sono queste strutture?

Vediamole nello specifico.

Tessuto connettivo

Il tessuto connettivo si trova sotto la cute e ha un ruolo principalmente di sostegno e protezione. Come tutti i tessuti, è composto da cellule e tessuto extracellulare.

Le cellule del tessuto connettivo sono i fibroblasti. Essi hanno il compito di produrre tutte le sostanze strutturali del tessuto stesso, mantenendolo quindi ben funzionante. Naturalmente nel tessuto connettivo ci sono anche altre cellule, come quelle immunitarie.

Il tessuto extracellulare è l’insieme di tutte le sostanze che si trovano tra una cellula e l’altra. La sua definizione corretta è matrice extracellulare, ed è un sistema molto complesso nel quale queste molecole comunicano con le cellule e ne regolano l’attività (Figura 2).

Nel lipedema i liquidi si accumulano nella matrice extracellulare

Figura 2. Le “palle” sono le cellule e la matrice extracellulare è il gel azzurro nel quale “galleggiano”

La matrice extracellulare ha due componenti: la sostanza fondamentale e le fibre.
La sostanza fondamentale è un gel ricco di acqua, all’interno del quale “galleggiano” le grosse molecole strutturali della matrice. I glicosaminoglicani e proteoglicani ne sono un esempio, e grazie alle loro cariche elettriche richiamano proprio il sodio e l’acqua idratando la matrice. Una sostanza molto conosciuta che appartiene al gruppo dei glicosaminoglicani è l’acido ialuronico.

Le fibre possono essere elastiche o collagene. Le fibre elastiche conferiscono elasticità e capacità di attutire i traumi, le fibre collagene invece costituiscono l’impalcatura di sostegno del tessuto connettivo.

Linfedema e lipedema sono caratterizzate proprio da un eccesso di liquidi nella matrice extracellulare. Quando questo accade, le cellule vengono stimolate a produrre più proteoglicani, che aumentano ulteriormente l’accumulo di acqua. A un certo punto, però, questo eccesso di liquidi compromette l’ossigenazione delle cellule, che a loro volta attivano una risposta infiammatoria.
L’infiammazione è alla base dei danni provocati da queste malattie a livello dei tessuti.

Tessuto adiposo

Il tessuto adiposo è presente in tutto il nostro corpo. Si trova più in profondità rispetto al connettivo, vicino al piano muscolare.

Anche il tessuto adiposo è fatto di cellule e matrice extracellulare.
Le cellule si chiamano adipociti, e la loro funzione principale è di accumulare lipidi, cioè grassi, con lo scopo di riserva energetica. In caso di bisogno, alcuni stimoli ormonali inducono la scissione dei lipidi in acidi grassi, che possono essere bruciati per produrre energia.

Un’altra funzione del tessuto adiposo è di tipo meccanico. Infatti, ci protegge dai traumi e isola il corpo dal caldo e dal freddo presenti all’esterno.

Si è capito recentemente che il tessuto adiposo è anche un importante organo endocrino, cioè che produce ormoni. Infatti, comunica con gli altri organi attraverso segnali molecolari e contribuisce al metabolismo dell’organismo.

E la matrice extracellulare come è organizzata?

Le cellule adipose sono ammassate tra di loro formando delle strutture chiamate lobuli. I lobuli sono come le celle di un alveare, e sono separate tra loro da alcuni tralci di tessuto connettivo, chiamati setti (Figura 3).

Il tessuto adiposo è composto da lobuli e setti

Figura 3. Le cellule adipose sono ammassate in lobuli, separati da setti

All’interno dei setti ci sono i vasi sanguigni e linfatici. Mentre i primi portano ossigeno alle cellule adipose, i secondi raccolgono i liquidi di scarto (li vedremo meglio tra poco).
Il tessuto connettivo dei setti, quindi, forma l’impalcatura dell’alveare e divide i lobuli adiposi gli uni dagli altri.

Il sistema linfatico

Ed eccoci arrivati a parlare del sistema linfatico, spesso nominato a sproposito. Si tratta di una complessa rete di vasi, chiamati appunto vasi linfatici, che raccoglie la linfa dai tessuti e la porta verso il sistema venoso.

Ma cos’è la linfa?

La linfa è un liquido fatto di acqua, proteine e cellule di scarto che si accumula nella matrice extracellulare dei tessuti. La sua funzione è di trasportare i liquidi e le sostanze di scarto in modo da mantenere ben pulita la matrice extracellulare, aiutando il sistema venoso a drenare l’acqua.

Le radici del sistema linfatico sono i minuscoli capillari linfatici, piccolissimi tubicini capaci di contrarsi e raccogliere la linfa dai tessuti convogliandola nei vasi linfatici veri e propri.
Grazie alle valvole, questi vasi sono in grado di contrarsi e di spingere la linfa in alto evitando che torni indietro. I movimenti muscolari, la respirazione e la pressione del sangue giocano un ruolo importante nello spingere la linfa verso il cuore, proprio come nella circolazione venosa (Figura 4).

La linfa è veicolata dai vasi linfatici

Figura 4. Un esempio di vaso linfatico con le sue valvole

Anche il sistema nervoso, gli stati psichici, gli ormoni e la temperatura esterna influenzano la contrazione dei vasi linfatici. Si è scoperto da tempo, infatti, che ci sono diverse connessioni tra il cervello e la matrice extracellulare dei tessuti, e che addirittura gli stati emotivi possono influenzare il benessere della circolazione. Il tutto è regolato dal sistema PNEI (Psico-neuro-endocrino-immunitario), una interessantissima scoperta di cui ho parlato anche nel mio libro.

Lungo il tragitto dei vasi linfatici ci sono i linfonodi, le stazioni di servizio che “ispezionano” la linfa verificando che al suo interno non ci siano microrganismi pericolosi. Il sistema linfatico, infatti, ha anche un ruolo nelle difese dell’organismo, perché è costituito da cellule immunitarie come i linfociti.

I vasi linfatici, alla fine del loro decorso, confluiscono nel dotto toracico, che è il più grosso condotto linfatico del corpo. Il dotto toracico confluisce come un fiume nelle grosse vene del torace.

Gambe grosse e doloranti: il lipedema

Il lipedema è una malattia che interessa proprio questi tre organi. Colpisce solo le donne interessando circa il 10% della popolazione, anche se probabilmente i casi sono più numerosi proprio perché è poco conosciuto e non facile da riconoscere.

La caratteristica principale del lipedema è un accumulo di grasso nelle gambe che crea una grossa sproporzione con il tronco. Questo grasso anomalo si accompagna ad aumento dei liquidi nella matrice extracellulare, provocando una risposta infiammatoria simile a quella del linfedema.

Ma quali sono le cause?

Vediamole nel prossimo paragrafo.

Cause del lipedema

Il lipedema è una malattia genetica che si scatena in periodi di cambiamento ormonale. Di solito l’esordio avviene nella pubertà, ma anche dopo una gravidanza o con la menopausa.
In queste situazioni il rimodellamento corporeo provocato dagli ormoni e il cambiamento nella distribuzione dei liquidi rendono evidente la malattia nelle persone predisposte.

Le cause in realtà non sono del tutto note.
C’è sicuramente una familiarità, mentre l’altra causa importante è rappresentata dagli ormoni estrogeni.
Si pensa che nel tessuto adiposo ci sia un’alterazione genetica dei recettori degli estrogeni. I recettori sono le “antenne” che ricevono il segnale dagli ormoni e lo comunicano alla cellula. A causa di queste mutazioni, gli adipociti risponderebbero in maniera anomala al “messaggio” veicolato dagli estrogeni.

Secondo un’altra ipotesi, ci sarebbe inizialmente un’alterazione dei capillari sanguigni e linfatici presenti nel tessuto adiposo. Tutto partirebbe comunque dall’espansione del grasso, che ostacolando l’ossigenazione delle cellule e bloccando i linfatici provocherebbe angiogenesi. Angiogenesi significa che crescono nuovi capillari in risposta alla carenza di ossigeno.
Questa seconda ipotesi di danno ai capillari spiegherebbe un sintomo tipico del lipedema, cioè gli ematomi spontanei(Figura 5).  

Le gambe grosse si associano spesso a ematomi spontanei

Figura 5. Gli ematomi spontanei sono tipici del lipedema

A parte le cause, è importante capire cosa succede quando compare il lipedema e quali possono essere le sue conseguenze.

Come si sviluppa il lipedema

Accumulo di grasso da una parte e maggiore permeabilità dei capillari dall’altra causano una sofferenza delle cellule adipose. Il grasso si accumula, ma non si capisce se gli adipociti aumentino di numero o di dimensione. Sull’altro versante, l’accumulo di liquidi nel connettivo dei setti deforma ulteriormente le cellule adipose, stipate tra di loro.

Le cellule, in risposta a questo stato di “stress”, iniziano ad attivare una risposta infiammatoria. L’infiammazione, nel tentativo di riparare il danno, richiama ulteriormente liquidi e fa accumulare la linfa. Le cellule dell’infiammazione, cioè i globuli bianchi e i monociti-macrofagi, danneggiano ancora di più il tessuto adiposo.
Ciò avviene perché l’infiammazione è una risposta aspecifica che serve a distruggere un presunto agente dannoso, riparando poi la lesione con deposizione di fibre. La fibrosi, cioè l’accumulo di queste cicatrici interne, ostacola ancora di più il drenaggio dei liquidi e il funzionamento delle cellule.

Fortunatamente, per gran parte della durata della malattia, il sistema linfatico riesce a compensare l’accumulo di liquidi incrementando il suo funzionamento. Complici altri fattori, però, la situazione può degenerare quando la capacità del sistema linfatico si esaurisce.

Arrivati a questo punto, gli arti si gonfiano a dismisura e la fibrosi avanza rapidamente. L’infiammazione peggiora e al tessuto si sostituisce una quantità sempre maggiore di fibre. Si arriva così allo stadio finale del lipedema, quando si sovrappone anche il linfedema; si parla in questo caso di lipo-linfedema.
Il lipo-linfedema è caratterizzato da tessuti estremamente duri e fibrosi, gonfiore smisurato e infezioni frequenti della gamba con comparsa anche di ulcere.

Per fortuna, solo una percentuale limitata di casi arriva allo stadio finale. I più a rischio sono i soggetti obesi, perché l’obesità aggrava il lipedema. Per questo la dieta e il controllo del peso sono uno dei capisaldi della terapia, come vedremo più avanti.

Sintomi del lipedema

Le pazienti con lipedema hanno le gambe esageratamente grosse rispetto alla parte alta del corpo. Anche seguendo una dieta ferrea il grasso delle gambe non cala, mentre dimagrisce la parte alta. Questo provoca un notevole disagio psicologico e alcune donne possono manifestare quadri di depressione.

A differenza del linfedema, nel lipedema i piedi e le mani sono sempre sgonfi (tranne nei quadri di lipo-linfedema) e le gambe sono grosse in modo simmetrico (Figura 6). Anche se ci sono casi asintomatici, le gambe di solito fanno male e gli ematomi compaiono senza apparenti traumi. Il dolore viene descritto come senso di tensione o pesantezza alle gambe; durante la giornata i disturbi peggiorano e d’estate diventano insopportabili.

La presenza di gambe grosse può essere dovuta al lipedema

Figura 6. Un esempio di gambe grosse dovute a lipedema

Il grasso del lipedema è soffice, leggermente improntabile (resta un segno dopo aver premuto con un dito a causa dell’accumulo di liquidi), la cute è fredda e ci sono capillari arttorno agli accumuli di grasso. Man mano che il processo di fibrosi va avanti si possono sentire dei noduli al tatto, come nella cellulite.

Il lipedema si può presentare in diverse forme. A seconda di quanto le gambe sono coinvolte, infatti, se ne distinguono cinque tipi.

Facciamo un esempio per capire meglio. Nel lipedema di tipo 1 e 2, l’accumulo abnorme di grasso interessa rispettivamente solo le natiche e le cosce. Come puoi immaginare, non è facile distinguerlo dalla comune cellulite!
Il lipedema di tipo 3, invece, interessa le gambe nella loro totalità ed è quindi intuitivamente più facile da riconoscere. Per concludere, nel tipo 4 c’è un coinvolgimento delle braccia e nel tipo 5 l’ingrossamento colpisce solo le gambe dal ginocchio in giù.

Ci sono altri sintomi?
Spesso il lipedema si associa a eccessiva flessibilità di alcune articolazioni e anomalie della postura a livello di schiena, ginocchia, caviglie e piede. Ci sono problemi di ipotiroidismo nel 30% circa dei casi e anche problemi del sonno.
Infine il lipedema, a causa delle modificazioni corporee che provoca, può portare a stati di ansia e disordini alimentari nelle pazienti affette.

Gambe grosse e doloranti: altre cause

Il lipedema non è l’unica condizione associata a gambe grosse e doloranti. Vediamo le altre cause.

Obesità

Lipedema e obesità spesso coesistono e l’obesità può mascherare il lipedema. Può capitare, infatti, che alcune donne particolarmente obese si sottopongano a interventi per dimagrire scoprendo poi di avere il lipedema.

Cosa distingue l’obesità?

L’esordio non avviene in corrispondenza di cambiamenti ormonali come nel lipedema. Nei soggetti obesi il sistema linfatico non funziona bene e può esserci gonfiore alle gambe, ma non ci sono i sintomi caratteristici del lipedema (dolore, ematomi spontanei, sproporzione gambe-tronco).

Linfedema

Nel linfedema il sistema linfatico smette di funzionare e si manifesta un gonfiore importante di un solo arto. A differenza del lipedema, quindi, c’è sempre asimmetria. Inoltre, il piede è sempre coinvolto dal gonfiore (Figura 7).

Differenza fra lipedema e linfedema

Figura 7. Differenze principali tra linfedema e lipedema

Insufficienza venosa

Questa patologia è molto comune nelle donne e si caratterizza per la dilatazione delle vene delle gambe con comparsa di vari disturbi, tra cui pesantezza, prurito e gonfiore. Inoltre, le vene dilatate diventano sporgenti (vene varicose) e si osservano capillari sulle gambe (Figura 8).

Capillari sulle gambe nell'insufficienza venosa

Figura 8. Insufficienza venosa con capillari sulle gambe

Anche l’insufficienza venosa si manifesta in modo tipicamente asimmetrico. Il gonfiore però è molle, perché il liquido che si accumula è meno denso rispetto alla linfa e l’impronta rimane più facilmente. Tra l’altro nell’insufficienza venosa non c’è accumulo di grasso.

Lipoipertrofia

Questa patologia ha delle caratteristiche simili a quelle del lipedema, come l’aumento di tessuto grasso nelle gambe e la sproporzione con il tronco. Non si osserva però l’edema, quindi premendo non rimangono impronte. Mancano anche il dolore e gli ematomi spontanei, e spesso c’è asimmetria. Il tessuto grasso, infine, non è così soffice come nel lipedema.

Gambe grosse e doloranti: come curarle?

Concentriamoci adesso su come migliorare il problema delle gambe grosse e doloranti e in particolare sulla cura del lipedema.

Poiché una terapia radicale non esiste, l’obiettivo è tenere sotto controllo la malattia. Prima di tutto, quindi, viene la terapia conservativa. In alcuni casi si può ricorrere alla chirurgia.

Terapia conservativa

L’obiettivo della terapia conservativa è controllare i sintomi ed evitare che il lipedema degeneri. In questo modo si aiutano le pazienti a stare meglio e a convivere con il problema.
I punti fondamentali sono il controllo del peso e la gestione dell’edema.

Controllo del peso

Il lipedema favorisce l’obesità, e l’obesità aggrava il lipedema. Per questo è importante controllare il peso corporeo, cosa che tra l’altro migliora anche i sintomi. Per controllare il peso sono necessari una dieta adeguata e uno stile di vita corretto.

Dieta

Non c’è una dieta specifica per il lipedema. Se la paziente è obesa, bisogna ridurre il peso con una dieta ipocalorica, povera di carboidrati e che riduca il picco di insulina dopo i pasti. Un esempio è la dieta chetogenica.

Data la natura infiammatoria della malattia, è molto importante assumere cibi anti-infiammatori, anti-ossidanti e alcalinizzanti. Alcuni esempi sono i flavonoidi contenuti nei frutti rossi, che si possono assumere anche come integratori (un esempio è la diosmina).

Bisogna anche ricordare che il lipedema può associarsi a disordini alimentari, quindi a volte è necessario l’aiuto di uno psicologo.

Stile di vita

Deve essere incentrato su un costante esercizio fisico. L’attività fisica serve non solo per il controllo del peso ma anche per la gestione dell’edema.
L’obiettivo, infatti, è soprattutto ridurre l’accumulo di liquidi nelle gambe. Ciò si ottiene attivando il più possibile la pompa muscolare del polpaccio (Figura 9).

Pompa muscolare del polpaccio

Figura 9. Camminare regolarmente aiuta la circolazione perché attiva la pompa muscolare del polpaccio

Di cosa si tratta?

I muscoli del polpaccio spingono il sangue verso l’alto mentre camminiamo, favorendo in questo modo il drenaggio dei tessuti. Far funzionare bene questi muscoli aiuta quindi a ridurre l’accumulo di liquidi nella matrice extracellulare.

Il modo migliore per attivare la pompa muscolare è camminare con uno schema del passo corretto, focalizzandosi cioè sulla contrazione dei polpacci mentre si solleva il tallone da terra. Bisogna stare attenti a non traumatizzare i tessuti, quindi da evitare sollevamento di pesi e corsa.
Per camminare bene, poi, il piede deve appoggiare correttamente a terra. Ecco perché sono importanti gli esercizi posturali.

Vanno molto bene anche gli esercizi in acqua, sia perché riducono il carico nelle pazienti obese sia perché la pressione dell’acqua aiuta a ridurre l’edema.

Molto utile risulta anche la respirazione diaframmatica, perché favorisce il movimento della linfa verso l’alto. La respirazione diaframmatica si effettua gonfiando la pancia mentre inspiriamo, in modo da creare una pressione negativa che “aspira” verso l’alto il sangue.

Lo stile di vita corretto nel lipedema comprende anche dormire bene e avere una vita sociale e relazionale soddisfacente, per scongiurare i quadri depressivi. Bisogna evitare farmaci che inducano edema o aumento del peso corporeo, ma evitare anche i diuretici perché disidratano ulteriormente la matrice extracellulare.

Gestione dell’edema

Un punto fondamentale della terapia conservativa è sgonfiare le gambe dal liquido in eccesso. Le gambe rimarranno grosse, ma molto meno dolenti e con un migliore controllo dell’evoluzione della malattia.

Come si rimuove l’edema?

Come per il linfedema, il modo corretto di sgonfiare le gambe dai liquidi in eccesso non è la calza elastica ma il bendaggio decongestivo associato alle terapie manuali.

Bendaggio

Il bendaggio decongestivo consiste nell’applicare diversi strati di bende attorno alla gamba. Funzionando come un tutore rigido, il bendaggio consente di creare una differenza di pressione all’interno della gamba tra la condizione di riposo e la deambulazione. Grazie a questa differenza, l’attività muscolare in presenza del bendaggio riesce a rimuovere i liquidi in eccesso dai tessuti (Figura 10).

Il lipedema si cura con il bendaggio decongestivo

Figura 10. Bendaggio decongestivo per il lipedema

E la calza elastica?

Andrà applicata nella seconda fase, quando la gamba è sgonfia. La calza, infatti, non sgonfia la gamba ma mantiene il risultato nel tempo perché esercita una pressione anche quando stiamo fermi. Nel caso del lipedema dovrà essere una calza a trama piatta, quindi particolarmente rigida, per impedire alla gamba di espandersi  quando i liquidi tenderanno inevitabilmente ad accumularsi di nuovo.

Terapie manuali

Per quanto riguarda le terapie manuali, si tratta di tecniche di massaggio che mobilizzano i tessuti molli per ridurre dolore e infiammazione e spingono la linfa verso l’alto (linfodrenaggio).
Naturalmente vanno fatte da personale esperto, perché non devono danneggiare il sistema linfatico e non indurre ulteriore infiammazione e fibrosi.

Chirurgia

La liposuzione è l’unico trattamento in grado di rimuovere il grasso del lipedema e rallentare l’evoluzione della malattia. È stato dimostrato che questo intervento migliora i sintomi, la camminata, la postura e la qualità di vita in generale delle pazienti affette da lipedema.
Se fatta correttamente, la liposuzione migliora anche il drenaggio linfatico e riduce la necessità di utilizzare bendaggi e calze. I suoi effetti terapeutici a lungo termine, però, sono ancora oggetto di studio.

Quando va fatta?
Il primo step è sempre la terapia conservativa. La liposuzione andrebbe effettuata dopo la terapia conservativa se questa non ha dato risultati, e comunque prima che si sviluppino complicazioni e disabilità gravi (lipo-linfedema).

Come va fatta e da chi?
Bisogna rivolgersi a un chirurgo plastico con esperienza specifica nel lipedema. L’intervento di liposuzione, infatti, non è quello standard. Dovrebbe essere fatta una idro-liposuzione per non danneggiare i vasi linfatici, altrimenti il rischio è di avere addirittura un peggioramento della situazione. Anche la tumescenza, cioè l’iniezione di anestetico, deve essere abbondante, così da ridurre dolore e sanguinamento.
Inoltre, a differenza della normale liposuzione, i volumi aspirati sono maggiori e possono essere necessari più interventi intervallati da un certo periodo di tempo.

Se la paziente è pbesa, prima di fare la liposuzione deve perdere peso. Particolare attenzione va fatta anche sotto l’aspetto vascolare, perchè le pazienti con lipedema hanno un maggior rischio di trombosi venosa profonda dopo l’intervento.

Conclusioni

Se hai gambe grosse, doloranti e gonfie potresti essere affetta da lipedema. Non stupirti se non hai mai sentito parlare di questa malattia, perché come hai potuto constatare leggendo l’articolo anche i medici non la conoscono.

Per concludere, vorrei sintetizzare dei consigli pratici che possano aiutarti a migliorare la situazione, riportandoti la mia esperienza.

Molte delle mie pazienti sono affette da lipedema, e qualcuna ha intrapreso un percorso terapeutico specifico presso centri dedicati alla cura di questa malattia.

Ho potuto constatare, però, che tutte hanno avuto un beneficio immediato con la carbossiterapia.
Si tratta di una terapia molto efficace per il microcircolo che consiste in piccole iniezioni di gas medicale, l’anidride carbonica. Lo scopo è quello di ossigenare il tessuto adiposo e il risultato è un immediato senso di benessere e leggerezza alle gambe(Figura 11).

La carbossietrapia aiuta a migliorare i sintomi del lipedema

Figura 11. La carbossiterapia consiste in piccole iniezioni sottocutanee di gas medicale ed è molto utile nel ridurre il dolore alle gambe

Naturalmente la carbossiterapia non è una cura del lipedema, e vanno tenuti presente i concetti base della terapia di cui ti ho parlato. Non essendoci studi in merito, sarebbe interessante verificare questo riscontro empirico ed è quello che mi piacerebbe fare.

Ti voglio dare anche degli altri consigli che riguardano ciò di cui mi occupo, cioè i problemi di circolazione alle gambe.

Nelle donne affette da lipedema è molto importante controllare come funzionano le vene delle gambe, perché molte hanno una sottostante insufficienza venosa. Inoltre, negli stadi avanzati della malattia e in presenza di obesità, aumenta il rischio di trombosi venosa profonda, altro problema vascolare da non sottovalutare.

Cosa fare quindi se hai problemi di vene e lipedema?
Qualora dovessi sottoporti a un intervento per le vene, va fatta molta attenzione a non danneggiare i vasi linfatici. Se possibile, quindi, meglio intervenire con la scleroterapia piuttosto che con incisioni sulla cute o metodiche laser.

Naturalmente, se le varici sono grosse e la vena safena è molto dilatata il laser è necessario. In quel caso bisogna fare particolare attenzione e abbondare con l’anestesia, cercando di lesionare il meno possibile i tessuti.

Come dico sempre, ecco un motivo in più per rivolgersi a uno specialista. Solo chi offre trattamenti a 360 gradi, infatti, può dare la soluzione migliore per ognui paziente.

Se sei affetta da lipedema e ti interessa imparare ad allenarti correttamente, ti suggerisco di dare un’occhiata al sito di Marzia Guerzoni, una personal trainer preparatissima e specializzata nel lipedema!

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8652358/pdf/10.1177_02683555211015887.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7465366/pdf/Dtsch_Arztebl_Int-117_0396.pdf

D. Corda: Linfedema e Lipedema, conoscerli, riconoscerli, curarli.
Hoepli 2017, Edizioni Minerva Medica

 

Ti è piaciuto questo articolo?

Leggi anche Ematomi spontanei su gambe e braccia: tutto quello che devi sapere e Intervento alla safena: perchè scegliere la tecnica laser?

 

Vuoi altre informazioni?

Dai un’occhiata al mio blog, puoi trovare risorse utili e gratuite!

 

Preferisci avere una guida completa a tutti i problemi di circolazione alle gambe?

Acquista il mio libro! Scoprirai come prevenire e curare al meglio capillari, vene varicose e cellulite e pesantezza alle gambe.

 

Usi i social?

Seguimi su Facebook o chiedimi il collegamento su Linkedin!

 

 

Le vene visibili sulle gambe sono un inestetismo che crea imbarazzo nell'indossare una gonna o un vestito corto. Ecco come si possono eliminare.

Vene visibili sulle gambe: cosa sono e come si eliminano efficacemente

La presenza di vene visibili sulle gambe è uno degli inestetismi maggiormente sentiti dalle donne. Il motivo della sua importanza è che provoca un forte imbarazzo nello scoprire le gambe.
Nelle persone affette, infatti, indossare una gonna o un vestito corto diventano causa di disagio e scarsa accettazione del proprio corpo.

Le vene visibili sulle gambe sono l’espressione di una patologia cronica e degenerativa, l’insufficienza venosa. Questo significa che con il tempo tendono a dilatarsi progressivamente e ad aumentare di numero.
Nonostante si tratti di un problema così diffuso, però, il trattamento delle vene visibili sulle gambe è problematico.

Come mai?

La risposta è che le terapie possono essere dannose se non sono conosciute adeguatamente ed effettuate con cautela. Infatti, per migliorare la situazione estetica delle gambe bisogna fare attenzione a non creare altri inestetismi.

Proprio per questo alcune pazienti hanno poca fiducia nel trattamento. Le convinzioni più diffuse sono che “chiusa una vena ne spunta poi un’altra” e che “dopo il trattamento la situazione spesso peggiora”.

Sono vere queste convinzioni? Ci sono dei metodi efficaci per eliminare le vene visibili sulle gambe?

In questo articolo cercherò di rispondere nel modo più esauriente possibile. L’obiettivo è di darti tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione sul trattamento dei tuoi inestetismi.

Vene visibili sulle gambe: cosa sono?

Le vene visibili sulle gambe sono delle vene particolarmente inestetiche che compaiono a livello degli arti inferiori. Si tratta di vasi sanguigni di colore blu scuro, più o meno dilatati e con decorso tortuoso. Proprio per queste loro caratteristiche saltano all’occhio e compromettono l’estetica delle gambe.

Dobbiamo ricordare, però, che avere delle vene visibili sulle gambe non sempre è patologico.
Vediamo allora quando la situazione è normale e quando invece è il caso di preoccuparsi e attivarsi per un trattamento.

Vene visibili sulle gambe: quando sono normali

Le vene sono dei vasi sanguigni che portano il sangue dai tessuti periferici al cuore. Il loro colore blu è del tutto fisiologico, perché il sangue che trasportano contiene poco ossigeno. Infatti, esse raccolgono le sostanze di scarto che provengono dai processi metabolici dei tessuti.

Le vene si formano nel circolo capillare sottocutaneo e diventano man mano più grosse confluendo tra di loro. Ne consegue che osservare in trasparenza delle vene visibili sulle gambe può essere del tutto normale, soprattutto in soggetti con la pelle chiara.

Quali caratteristiche hanno queste vene normali?
Sono appena visibili, hanno un colore blu-verde e non sono dilatate. Formano un reticolo appena percettibile sotto la cute della coscia e della gamba.
Si tratta di normali vie di drenaggio che solitamente non bisogna trattare.

Qualora venissero chiuse in maniera troppo aggressiva, infatti, la situazione potrebbe addirittura peggiorare. In questo caso spunterebbero in breve tempo dei capillari particolarmente sottili e inestetici, che prendono il nome di matting.

Lo strumento che toglie ogni dubbio sulla natura delle vene visibili sulle gambe è l’ecodoppler. In caso di normalità osserveremo un flusso di sangue diretto dal basso verso l’alto e dalla superficie alla profondità.

 

L'esame migliore per studiare le vene visibili sulle gambe è l'ecodoppler

L’esame di scelta per studiare le vene visibili sulle gambe è l’ecodoppler, che va eseguito in stazione eretta

 

Vene visibili sulle gambe: quando sono patologiche

Se le vene visibili sulle gambe diventano particolarmente scure, oppure si ingrossano e sporgono sulla cute, allora probabilmente sono patologiche.

A volte sono anche dolenti, soprattutto in alcune fasi del ciclo mestruale. Ancora, possono dare la sensazione di “scoppiare” improvvisamente, soprattutto nella stagione estiva.
Se invece assumono l’aspetto di un cordoncino duro e arrossato, allora il problema potrebbe essere una trombosi venosa superficiale.

Quando le vene visibili sulle gambe assumono queste caratteristiche siamo di fronte ad un problema estetico e vascolare ben preciso: si tratta delle cosiddette vene reticolari.

Vene visibili sulle gambe: caratteristiche

Cosa sono queste vene reticolari?
Il parametro che le definisce è la loro dimensione. Esse, infatti, non superano i 3 millimetri di diametro (per la precisione il loro diametro è compreso tra 1 e 3 millimetri). Quando invece superano i 3 millimetri si parla di vene varicose.

Le vene reticolari si trovano appena sotto il derma, quindi nel tessuto sottocutaneo superficiale. Sono generalmente piatte anche se a volte possono sporgere sulla cute. Questa sporgenza si osserva soprattutto nel cavo popliteo (la parte dietro il ginocchio).

 

Le vene reticolari compaiono negli stadi iniziali dell'insufficienza venosa

Le vene reticolari sono bluastre, non rilevate e spesso tortuose

 

In termini di frequenza, le vene reticolari compaiono più spesso nelle donne. Possono spuntare abbastanza rapidamente dopo una gravidanza o in seguito a una terapia ormonale, ma anche con l’avanzare dell’età. In alcune popolazioni si riscontrano addirittura nel 60% dei soggetti.
Si tratta, quindi, di un fenomeno piuttosto diffuso.

Spesso le vene reticolari si osservano in prossimità di altri piccoli vasi, più sottili e di colore rosso o violaceo. Si tratta dei ben noti capillari sulle gambe.

Vene reticolari e capillari possono assumere diverse configurazioni intersecandosi tra di loro. Saper riconoscere e distinguere queste strutture è importante, perché l’approccio terapeutico cambia.
Capiremo meglio questo concetto nel prossimo paragrafo.

Vene visibili sulle gambe: tipologie

Perché si formano le vene reticolari?
I motivi sono due: un flusso di sangue ostacolato oppure un flusso invertito. Vediamo in cosa consistono questi due fenomeni.

Flusso ostacolato

Come abbiamo detto, il normale flusso del sangue (chiamato anche deflusso) avviene dal basso verso l’alto e dalla superficie alla profondità. Ciò è reso possibile dalla presenza di piccole valvole all’interno delle vene. Le valvole impediscono al sangue di tornare indietro, cosa che naturalmente avverrebbe poiché esso scorre contro gravità.

Quando questo normale flusso è ostacolato, per i motivi che vedremo fra poco, la vena si dilata a causa della congestione che si crea al suo interno. A questo punto si forma la vena reticolare.

In queste situazioni la forma che i capillari assumono rispetto alla vena reticolare diventa simile a quella di un albero. Infatti, sembrerà di osservare un tronco (la vena reticolare) con i rami (i capillari) disposti attorno ad esso. Questa conformazione prende proprio il nome di “pino marittimo” oppure di “albero dritto”.

 

Le vene visibili sulle gambe possono assumere, assieme ai capillari, una forma ad albero

Un esempio di configurazione “a pino marittimo”

 

In presenza di un “albero dritto” bisogna fare molta attenzione nel trattare la vena reticolare.
Anche se il flusso è ostacolato, infatti, questa vena è pur sempre una via di drenaggio funzionante. La sua chiusura, quindi, causerebbe un ulteriore impedimento alla circolazione del sangue con lo spiacevole risultato di veder spuntare nuovi capillari.

Ecco spiegato il perché a volte si peggiora rapidamente dopo il trattamento.

Flusso invertito

Se il flusso di sangue non va nella direzione fisiologica significa che le valvole all’interno delle vene reticolari non stanno funzionando. Si parla in questo caso di reflusso. Il sangue dalla profondità arriva al compartimento superficiale e le vene reticolari diventano visibili.

In questi casi la conformazione che osserviamo è solitamente quella di un “albero rovesciato”. I capillari, infatti, si trovano sotto la vena reticolare, proprio come se l’albero fosse capovolto.

Poiché il flusso di sangue è invertito, in questo caso è la vena reticolare che alimenta la dilatazione dei capillari. Chiudendo la vena, quindi, è lecito aspettarsi anche una scomparsa dei capillari.

Vene visibili sulle gambe: cause

Abbiamo visto le due principali tipologie di vene visibili sulle gambe. Ma quali sono le cause che ne provocano la comparsa?
Vediamone alcune.

Cellulite

La cellulite è un problema ben noto alle donne perché causa vistose alterazioni del tessuto adiposo e della cute. Quest’ultima, ad esempio, assume il tipico aspetto “a buccia d’arancia” o “a materasso”.

 

La cellulite si associa a cattiva circolazione e spesso alla comparsa di vene visibili sulle gambe

La cellulite si associa alla presenza di cute “a buccia d’arancia” o “a materasso”

 

La cellulite, però, non è propriamente un accumulo di grasso né un semplice inestetismo.
Si tratta, infatti, di una vera e propria patologia degenerativa dei tessuti sottocutanei. Essa inizia con un accumulo di liquidi nel tessuto adiposo ed evolve verso la fibrosi attraverso un processo infiammatorio.
Per questo motivo viene definita con l’acronimo PEFS (pannicolopatia edemato-fibro-sclerotica).

Cosa c’entra la cellulite con le vene visibili sulle gambe?
Le alterazioni che caratterizzano la cellulite provocano un danno alla circolazione. A causa delle modificazioni indotte dalla malattia, infatti, il flusso di sangue dalla superficie alla profondità è ostacolato e le vene reticolari diventano visibili.

In queste situazioni osserveremo più spesso una conformazione “ad albero dritto”, tipicamente sul lato esterno della coscia (un’area particolarmente colpita dalla cellulite).

Anomalie posturali

La postura è molto importante per la circolazione del sangue. In presenza adi anomalie posturali gli angoli tra le articolazioni sono alterati e il sangue fa fatica a defluire. Il risultato è che le vene tenderanno a dilatarsi a monte dell’ostacolo, diventando visibili.

Qualche esempio?
Le sedi più colpite da questo problema sono la caviglia e il ginocchio.

Nel primo caso si osserva tipicamente una corona di capillari attorno al malleolo mediale (l’osso che sporge sulla parte interna della caviglia). Spesso il problema si associa a pronazione del piede ed errato appoggio plantare.

Nel caso delle ginocchia, riscontriamo tipicamente una tendenza all’iperestensione con formazione di vene visibili sulle gambe nel cavo popliteo.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un deflusso ostacolato.

Insufficienza venosa

Questa malattia degenerativa colpisce fino al 30% della popolazione femminile. Essa si manifesta con la perdita della funzione drenante delle vene, che si dilatano e diventano visibili. Si formano così le vene varicose.

Nel suo stadio iniziale l’insufficienza venosa si caratterizza proprio per la presenza di vene reticolari. All’interno di queste vene le valvole non funzionano e il sangue tende quindi a refluire, facendo comparire spesso anche i capillari.

In queste situazioni osserveremo più spesso delle disposizioni “ad albero rovesciato”, soprattutto nelle parti più declivi delle gambe. Per gravità, infatti, il sangue tende ad accumularsi verso il basso.

Terapia ormonale

Gli ormoni sessuali femminili sono noti per ridurre l’attività propulsiva delle vene favorendone la dilatazione. Questo è il motivo per cui le donne sono più soggette a questo problema.

L’assunzione di contraccettivi orali e le terapie ormonali in corso di menopausa o fecondazione assistita potenziano gli effetti negativi sulle vene. In questi casi aumenta la probabilità che esse si dilatino e si rendano visibili, con o senza sintomi associati.

Fattori ambientali

Anche alcuni stili di vita possono influire sulla circolazione.
Il problema principale è la stazione eretta prolungata, perché riduce l’azione di pompa che i muscoli del polpaccio esercitano sulle vene.

Per questo motivo le vene visibili sulle gambe sono più facilmente presenti in persone che lavorano molto in piedi. I casi tipici sono parrucchiere, bariste, oppure donne che lavorano nell’ambito delle pulizie.

Anche stare seduti per molte ore provoca lo stesso problema. Tutte le persone che svolgono mansioni d’ufficio, quindi, sono potenzialmente soggette a cattiva circolazione.

 

Passare molte ore in ufficio può provocare problemi di circolazione.

Il lavoro d’ufficio si associa spesso a cattiva circolazione

 

Se oltre ai fattori visti finora aggiungiamo l’esposizione a fonti di calore, il problema peggiora ulteriormente. Ecco che i soggetti più a rischio diventano cuochi e operai che lavorano in fabbriche dove ci sono alte temperature.

Vene visibili sulle gambe: perché trattarle?

La principale indicazione al trattamento delle vene visibili sulle gambe è di tipo estetico.

Trattandosi di una patologia degenerativa, però, anche l’aspetto preventivo ha la sua importanza. Queste vene, infatti, tenderanno per natura a peggiorare diventando più visibili e potenzialmente anche fastidiose.
Secondo alcuni autori, inoltre, il trattamento serve anche ad alleggerire il circolo superficiale e a migliorare l’emodinamica venosa.

Quali sono i passi da seguire per il trattamento?
Prima di tutto è necessario sottoporsi ad una visita specialistica con ecodoppler. La valutazione deve confermare che all’interno di queste vene c’è un reflusso, escludendo che si tratti di vasi normalmente funzionanti.

Inoltre, è fondamentale studiare interamente la circolazione per verificare che non ci siano problemi più grossi, ad esempio a livello della vena safena.

Solo a questo punto si potrà iniziare il trattamento, dopo aver valutato i pro e i contro e deciso la strategia più adatta.

Vene visibili sulle gambe: come trattarle?

Il trattamento delle vene reticolari può essere effettuato principalmente in due modi: scleroterapia e laser.
Ciascuno di questi trattamenti ha dei pro e dei contro. Ogni caso, quindi, va valutato a sé. Spesso, inoltre, essi vengono associati tra di loro.

Ciò che è importante capire e che non c’è una terapia che in assoluto è meglio di un’altra.

Spesso le pazienti chiedono un trattamento specifico perché non hanno avuto un buon risultato con l’altro. L’approccio corretto, però, sarebbe quello di valutare il caso e capire perché il trattamento effettuato non è andato bene. Magari era stato correttamente indicato ma eseguito in modo sbagliato.

Quando decidiamo di trattare le vene visibili sulle gambe bisogna anche e soprattutto valutare alcuni parametri, come il diametro della vena, la sua eventuale sporgenza sulla cute, il colore, la profondità e le eventuali controindicazioni alle terapie.

Vediamo ora nel dettaglio i pro e contro dei trattamenti.

Scleroterapia

La scleroterapia consiste nell’iniezione di un farmaco all’interno delle vene reticolari con lo scopo, appunto, di “sclerotizzarle”. Ciò provoca una risposta infiammatoria e successivamente una fibrosi a livello della vena trattata. Il risultato è la progressiva scomparsa dell’inestetismo.

I farmaci sclerosanti si dividono in vari gruppi.
Quelli più comunemente usati sono i detergenti (ad esempio il Polidocanolo e il Sodio Tetradecil Solfato) e gli irritanti chimici (la Glicerina Cromata). Essi possono essere utilizzati in forma liquida oppure schiumosa, e in diverse concentrazioni.

Questi parametri determinano l’intensità dell’azione sclerosante e vanno quindi adattati alle caratteristiche del vaso che volgiamo trattare.

 

La seduta di scleroterapia dei capillari non è dolorosa

Scleroterapia con schiuma sclerosante

Come si può intuire, la scleroterapia non è un trattamento banale perché ci sono tante variabili da considerare. Si tratta indubbiamente di una terapia vantaggiosa ma possono esserci anche dei potenziali problemi.
Cerchiamo di capire quando va bene e quando no.

Vantaggi

I vantaggi della scleroterapia sono molti.
Si tratta di un trattamento ambulatoriale, mini-invasivo e ripetibile a distanza di 3-4 settimane dalla precedente seduta. La paziente può tornare subito alle proprie attività dopo il trattamento, basterà evitare l’esposizione al sole e indossare una calza elastica.
I suoi costi, oltretutto, sono relativamente contenuti.

Inoltre, si tratta di una terapia non dolorosa. Al massimo si può sentire qualche minimo fastidio nella sede di puntura. Non è necessaria l’anestesia perché il trattamento è ben tollerato.

Per quanto riguarda le vene visibili sulle gambe, la scleroterapia è generalmente considerata il trattamento di scelta. Essendo vasi più grossi rispetto ai capillari, infatti, è più semplice pungerli che bruciarli dall’esterno, come avverrebbe nel caso del laser (lo vedremo più avanti).

Ci sono tuttavia da considerare anche alcuni potenziali rischi.

Svantaggi

Come abbiamo detto, nella scleroterapia l’infiammazione è necessaria per ottenere l’effetto desiderato. A volte, però, troppa infiammazione può rivelarsi uno svantaggio.

Perché?

Se una vena reticolare viene infiammata eccessivamente aumenta il rischio che compaiano delle macchie sulla pelle. Ciò è dovuto alla deposizione di sostanze liberate dal processo infiammatorio, che pigmentano la cute. Questo è vero soprattutto in zone delicate come il cavo popliteo e la caviglia, dove c’è meno tessuto sottocutaneo.

 

Macchie di pigmentazione dopo scleroterapia

Macchie di pigmentazione dopo scleroterapia

 

Questa complicanza può avvenire a causa di fattori individuali ma soprattutto quando si usano sclerosanti troppo potenti.

Le vene reticolari, peraltro, hanno una parete più grossa rispetto ai capillari. Questo significa che bisogna in linea teorica infiammarle di più per chiuderle e farle sparire.

Come possiamo notare, non è facile bilanciare la giusta infiammazione con il risultato desiderato. Per questo bisogna intervenire con più sedute di scleroterapia, partendo con concentrazioni molto basse per poi salire pian piano.

Quali sono gli altri svantaggi della scleroterapia?
Bisogna tenere presente possibili complicazioni, seppur rare. Si tratta di reazioni allergiche, necrosi, trombosi venose superficiali, ma anche comparsa di una fitta rete di capillari molto sottili (matting) in conseguenza di una infiammazione eccessiva o di un trattamento improprio.

Queste complicazioni, però, sono facilmente evitabili se si raccoglie una storia clinica accurata e si seguono le linee guida principali.

Laser

Il laser sfrutta l’emissione di energia sotto forma di luce per colpire e distruggere un tessuto biologico. L’obiettivo, naturalmente, è la scomparsa dell’inestetismo che vogliamo trattare.

Nel caso delle vene visibili sulle gambe, il bersaglio del laser è l’emoglobina del sangue. Quando essa viene colpita, l’energia termica si propaga fino a distruggere la parete del vaso, che è il vero obiettivo da raggiungere. Solo in questo modo, infatti, si otterrà la scomparsa della vena.

Il parametro più importante che caratterizza un laser è la lunghezza d’onda.
Si tratta di una grandezza specifica della luce che determina quanto in profondità il laser sarà in grado di arrivare e quale tessuto verrà colpito. A seconda dell’inestetismo che vogliamo trattare, quindi, dovremo scegliere una diversa lunghezza d’onda e quindi un diverso laser.

Ma quali sono le caratteristiche ideali che un laser dovrebbe avere per trattare le vene visibili sulle gambe?

Per prima cosa, la lunghezza d’onda dovrebbe essere sufficientemente selettiva per l’emoglobina del sangue. In questo modo l’energia luminosa verrebbe massimamente convertita in calore, surriscaldando il vaso e distruggendolo.

Secondo, il laser dovrebbe arrivare ad una profondità sufficiente per colpire il bersaglio.

Terzo, è importante che i tessuti che circondano il nostro target non vengano danneggiati.

Purtroppo, il laser ideale non esiste. Ognuno ha dei pro e dei contro e non è possibile soddisfare tutte e tre le caratteristiche in modo ottimale.
Vediamo quindi quali sono i laser che possiamo sfruttare per trattare le vene visibili sulle gambe.

NdYAG

Questo laser deve il suo acronimo alle iniziali degli elementi che lo compongono. Esso emette una luce che ha una lunghezza d’onda di 1064 nanometri.

Come funziona?
Il raggio laser fuoriesce da un manipolo esterno, che viene appoggiato sulla pelle. La luce deve quindi attraversare lo strato cutaneo per raggiungere la vena bersaglio e distruggerla.

Quali caratteristiche soddisfa questo laser?
La sua affinità per l’emoglobina del sangue è scarsa, mentre ha una sufficiente azione sulla mioglobina (una sostanza contenuta nella parete delle vene). Quindi, è potenzialmente in grado di distruggere efficacemente il bersaglio.

Anche la profondità che può raggiungere è buona. Può quindi arrivare fino alle vene reticolari, a patto che i parametri vengano impostati in un certo modo.
Tuttavia, non essendo selettivo per l’emoglobina, può danneggiare i tessuti circostanti. Infatti, la sua affinità per l’acqua è più alta rispetto ai laser con lunghezze d’onda minori, e l’acqua è contenuta in tutti i tessuti.

Il laser NdYAG, proprio per le caratteristiche che abbiamo visto, è un trattamento possibile per le vene visibili sulle gambe ma non ottimale. Inoltre, è doloroso e richiede un continuo raffreddamento della cute.

Esso, invece, è molto efficace nel trattamento di capillari particolarmente sottili (inferiori al millimetro), come nel caso del “matting”.
Ha un’ottima indicazione anche nei capillari resistenti alla scleroterapia, nei pazienti che hanno paura degli aghi e nel trattamento di aree particolarmente a rischio di pigmentazione.

Laser endo-perivenoso

Il laser endo-perivenoso ha una lunghezza d’onda di 808 nanometri e si chiama così proprio per le modalità con cui distrugge le vene reticolari. Il suo meccanismo d’azione, infatti, prevede che l’emissione avvenga posizionando la sorgente laser all’interno oppure attorno alla vena.
Capiremo tra poco come funziona questo innovativo trattamento.

Quali criteri soddisfa il laser endo-perivenoso?
La lunghezza d’onda di 808 nanometri è maggiormente assorbita dall’emoglobina rispetto a quanto avviene con il NdYAG. Inoltre, la sua specificità è ottima perché l’affinità per l’acqua è quattro volte inferiore rispetto a quella del suo rivale.
Il laser endo-perivenoso, quindi, non danneggia i tessuti circostanti.

 

Il laser endo-perivenoso disrtrugge le vene visibili sulle gambe

Il laser endo-perivenoso è un diodo con lunghezza d’onda di 808 nanometri

 

Il problema è piuttosto la profondità. Non potendo penetrare a sufficienza, infatti, questo laser non è in grado di raggiungere dall’esterno le vene visibili sulle gambe.

Come viene superato questo ostacolo?

Introducendo una sottile fibra sotto la cute e collegandola alla sorgente laser, sarà possibile avvicinarsi a sufficienza alla vena bersaglio e colpirla. A questo punto, sia che la fibra sia all’interno che attorno al vaso sanguigno, esso verrà distrutto senza intaccare minimamente gli altri tessuti.

Ma come funziona più nel dettaglio questo trattamento?
Vediamolo nello specifico.

Come funziona il laser endo-perivenoso

Per prima cosa di deve marcare la vena bersaglio con una penna rossa (un colore più scuro potrebbe essere assorbito dalla luce laser). Successivamente si effettuano piccole iniezioni di anestetico locale lungo il decorso del vaso.

A questo punto si può introdurre la fibra facendola passare attraverso la cute. Si tratta di uno strumento sottilissimo (0,2-0,3 millimetri di diametro) che non provoca alcun fastidio.

Impostati correttamente i parametri di emissione, la vena reticolare è pronta per essere trattata.

Cosa succede alla vena quando arriva il raggio laser?

Il primo effetto dell’impulso laser è una contrazione della vena reticolare. Ciò avviene perché questa lunghezza d’onda colpisce la mioglobina, una sostanza presente nelle cellule muscolari della parete venosa.
In una frazione di secondo, quindi, la vena si rimpicciolisce.

La contrazione della vena favorisce il secondo effetto del laser, che è anche il principale, ossia la coagulazione del sangue. Questo processo avviene più facilmente se la vena è piccola e se c’è uno scarso volume di sangue da vaporizzare.
Anche la velocità con cui l’operatore muove avanti e indietro la fibra influenza questa fase. Tale velocità dovrebbe essere di circa 3-5 millimetri al secondo con una potenza di circa 6 watt per 0,5-1 secondi.

In sintesi, maggiore è l’entità della coagulazione, più efficacemente la vena viene chiusa e scompare.

Terminato il trattamento sarà sufficiente applicare una crema lenitiva e una piccola medicazione per qualche giorno. Nei punti di ingresso della fibra sulla cute si formeranno delle piccole crosticine, destinate a sparire nell’arco di alcune settimane.

Dopo il trattamento bisogna naturalmente evitare l’esposizione al sole o a lampade abbronzanti, mentre non è necessario indossare la calza elastica.

Vantaggi

Quali sono, alla fine, i vantaggi di questo trattamento?

Il laser endo-perivenoso elimina il problema delle pigmentazioni cutanee che possiamo avere con la scleroterapia. Infatti, il suo meccanismo di distruzione basato sull’energia termica non provoca l’infiammazione e i coaguli che si osservano con gli sclerosanti.
Inoltre, la sua azione è istantanea e generalmente non richiede ulteriori sedute nella stessa zona.

L’altro vantaggio è che si possono trattare facilmente anche le vene reticolari molto tortuose. Non è necessario, infatti, che la fibra si trovi all’interno della vena perché questa venga distrutta. Anche dall’esterno, oppure perforando la vena dall’interno, il laser sarà ugualmente efficace.

 

La fibra laser inserita sotto la cute distrugge le vene visibili sulle gambe

La fibra laser inserita appena sotto la cute distrugge le vene reticolari sia dall’interno che dall’esterno

 

Il terzo vantaggio è che questo laser, come abbiamo visto, non intacca i tessuti circostanti.

Svantaggi

Il laser endo-perivenoso è particolarmente indicato se le vene visibili sulle gambe sono resistenti alla scleroterapia, oppure se c’è un maggior rischio di pigmentazione o se il paziente è allergico allo sclerosante.
Naturalmente, anche il laser può provocare delle complicazioni, ma se i parametri sono impostati correttamente si tratta di eventi eccezionali.

Quali sono gli svantaggi?

La selettività del laser endo-perivenoso per le vene reticolari di colore blu può rivelarsi svantaggiosa se abbiamo bisogno di trattare simultaneamente anche i capillari rossi.

Si tratta, inoltre, di un trattamento un po’ più costoso. Tuttavia, essendo efficace in una singola seduta il suo costo finale è equivalente a quello della scleroterapia, che richiede più sessioni di trattamento.

Conclusioni

Le vene visibili sulle gambe sono un problema estetico rilevante per le donne. Molte persone, pur cercando soluzioni a questo problema, hanno dubbi legati a ciò che si sente dire dire.

Questi sono i tre consigli finali che ritengo più importanti per risolvere questo inestetismo.

1 Non bisogna trascurare questa patologia per il solo fatto che è di tipo “estetico”.
Se è vero che i trattamenti hanno un costo, più si aspetta e più la situazione peggiora. Di conseguenza, saranno necessari più tempo e maggiori spese quando una migliore prevenzione avrebbe potuto essere efficace.

2 È meglio non ascoltare le esperienze delle amiche ma piuttosto informarsi adeguatamente.
Questo problema è complesso e si possono incontrare molti approcci differenti. Ci sono casi in cui i risultati non sono buoni, ma va capito il perché e non bisogna concludere che un trattamento sia in assoluto migliore di un altro.

3 Bisogna rivolgersi ad uno specialista, e dovrebbe essere la stessa persona ad effettuare la visita, l’ecodoppler e il trattamento.
Questa patologia non va gestita da figure diverse, perchè è sempre lo specialista che ha una visione d’insieme.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5817453/?report=printable

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6327418/pdf/etm-17-02-1106.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4301449/pdf/13063_2014_Article_2369.pdf

https://www.jvascsurg.org/action/showPdf?pii=S0741-5214%2805%2900331-9

O. Marangoni, L. Longo. Lasers in Phlebology. Vessel Photothermolysis – Photocoagulation – Photodynamic Detersion – Scanner Debridment Endo – Perivasal Laser Procedures, Edizioni Goliardiche.

 

Ti è piaciuto questo articolo?

Leggi anche Scleroterapia dei capillari: come migliorare l’aspetto delle gambe e Capillari sulle gambe: scleroterapia o laser?

 

Vuoi altre informazioni?

Dai un’occhiata al mio blog, puoi trovare risorse utili e gratuite!

 

Usi i social?

Seguimi su Facebook o chiedimi il collegamento su Linkedin!

Una calza elastica correttamente prescritta può dare molto sollievo

Come scegliere, indossare e utilizzare la calza elastica in modo efficace

La calza elastica è un dispositivo medico che si utilizza per migliorare stati di cattiva circolazione e ristagno di liquidi nelle gambe, oltre che per alleviare sintomi come dolore e pesantezza.

Spesso è difficile orientarsi nella scelta della calza elastica più corretta, sia per le tante e diverse tipologie di prodotto che si trovano in commercio sia per la scarsa cultura presente su questo tema tra i sanitari.

Infatti, la calza elastica rappresenta un insieme di prodotti molto diversi tra loro, che si usano per problematiche differenti.
Spesso prescritta erroneamente, la calza elastica provoca alle volte più fastidio che beneficio, contribuendo così alla sua scarsa diffusione tra le persone che avrebbero bisogno di usarla.

In questo articolo ti spiegherò le differenze tra i vari tipi di calza elastica e ti aiuterò ad orientarti nella scelta del prodotto più adatto al tuo problema.

Cos’è la calza elastica

La calza elastica è un tutore dalla forma variabile che si applica sugli arti inferiori per supportare il sistema venoso e linfatico.
La sua funzione è di esercitare una pressione esterna sulle gambe, con lo scopo di migliorare il flusso del sangue e il drenaggio dei liquidi.

Come si ottiene questa pressione?
La calza elastica deve questa proprietà alla sua particolare fabbricazione, nella quale il tessuto viene costruito intrecciando due fili diversi.
La maglia, che costituisce l’intelaiatura principale, fornisce spessore e rigidità alla calza, mentre il filo di trama determina la pressione che il tutore eserciterà sull’arto compresso.
La calza elastica, quindi, avrà caratteristiche diverse in base ai materiali che la compongono e alla tecnica di tessitura.

La calza elastica è fabbricata con maglia e filo di trama

Una volta indossata, la calza elastica si adatta all’arto grazie all’allungamento dei suoi filati. Questo allungamento crea sul tessuto una tensione, che per mantenersi costante determinerà pressioni diverse nei vari segmenti della gamba e della coscia (questo avviene in relazione ad un importante principio fisico).
Cosa significa? A parità di tensione, dove il diametro è minore, come ad esempio alla caviglia, la pressione sarà maggiore, mentre dove il diametro è maggiore, come alla coscia, la pressione diminuirà.

Come funziona la calza elastica

Il funzionamento della calza elastica si spiega in base a due parametri importanti, cioè il dosaggio e la rigidità (meglio conosciuta con il termine inglese “stiffness”).
Queste grandezze differenziano le calze tra loro e indicano qual è il prodotto più adatto per lo specifico problema che vogliamo risolvere.

Dosaggio

Il dosaggio indica quanta pressione la calza produce sull’arto in cui viene indossata.
Per convenzione, il dosaggio di una calza elastica si riferisce alla pressione esercitata alla caviglia, e si misura in millimetri di mercurio (mmHg, la stessa unità di misura della pressione del sangue).

Il dosaggio della calza deve mantenersi costante durante la giornata, soprattutto non calare verso sera quando le gambe tendono gonfiarsi o manifestano sintomi come dolore e pesantezza.
Inoltre, se l’uso della calza è continuativo, dopo circa sei mesi il dosaggio viene meno ed è opportuno sostituire il prodotto.
Come dobbiamo regolarci? Di solito è ora di cambiare la calza se iniziamo ad indossarla con troppa facilità, proprio perché l’azione compressiva dei filati si è esaurita.

Stiffness

La “stiffness” rappresenta la capacità della calza di resistere all’espansione della gamba, cioè a quella forza che agisce in direzione opposta a quella della calza stessa.

L’arto in cui indossiamo la calza elastica, infatti, si espande durante la giornata per il fisiologico aumento del gonfiore. Questo avviene per lo più a causa della contrazione muscolare, che si verifica con i cambi di postura oppure mentre camminiamo o facciamo esercizio fisico.

A cosa serve quindi la “stiffness”? Questa domanda ci permette di spiegare meglio come funziona la pressione della calza e cosa bisogna fare per trattare una gamba gonfia.

gamba gonfia

A riposo, una calza poco elastica e molto rigida esercita meno pressione (stiamo parlando di “stiffness e non di dosaggio), ma quando iniziamo a camminare e i muscoli della gamba si contraggono, la circonferenza diventa maggiore e la pressione verso l’esterno aumenta.
La calza, essendo rigida, oppone resistenza a questa forza espansiva, e si crea una differenza di pressione tra la situazione di riposo e quella di esercizio che si trasferisce alle vene profonde del polpaccio, aiutando il flusso del sangue.
Questa importante differenza di pressione aiuta la gamba a sgonfiarsi dai liquidi in eccesso.

Viceversa, se la calza è molto elastica e poco rigida, eserciterà più o meno la stessa pressione a riposo e in movimento, proprio per le caratteristiche dei materiali che la compongono.
Non venendosi a creare la differenza di pressione necessaria, una calza poco rigida non permetterà quindi di sgonfiare la gamba (ribadiamo che questo avviene indipendentemente da quanto la calza comprime, cioè dal dosaggio).

Ma cosa determina la rigidità di una calza elastica? La “stiffness” dipende dal tessuto che compone la calza e dal tipo di tessitura utilizzata per fabbricarla; vedremo meglio questi aspetti nei prossimi paragrafi.

A cosa serve la calza elastica

Lo scopo della calza elastica è di ridurre il diametro delle vene delle gambe producendo una pressione contraria a quella del sangue.
A cosa serve questa azione? Quando avvertiamo sintomi come dolore o pesantezza alle gambe, o quando le vene si sfiancano a causa dell’insufficienza venosa, il sangue tende a ristagnare e il sistema circolatorio ha bisogno di una spinta esterna.

Secondo un principio fisico, infatti, se il diametro di una vena si riduce, il sangue al suo interno scorrerà più velocemente e i problemi legati all’insufficienza venosa diminuiranno.

Quanto bisogna ridurre il diametro delle vene per avere un miglioramento?
L’effettiva azione della calza elastica dipende dalla posizione che assumiamo, perché la pressione del sangue cambia di molto tra la posizione distesa e quella eretta.

Se siamo sdraiati, ad esempio, serve una pressione di almeno 20 mmHg per restringere in maniera significativa le vene profonde della gamba; se siamo seduti il valore sale a 50 mmHg circa e se siamo in piedi addirittura a 70-80 mm Hg.
Queste pressioni sono decisamente troppo elevate per essere trasferite in una calza elastica, che risulterebbe impossibile da indossare.
Per avere una azione terapeutica sono sufficienti pressioni minori (da 18 a 24 mmHg circa); il risultato è che le valvole venose funzionano meglio e impediscono al sangue di tornare indietro verso la caviglia.

Per lo stesso motivo, la calza elastica previene l’insorgenza della trombosi venosa, una complicanza da tenere sempre presente in presenza di vene varicose.

Un’altra azione della calza elastica è quella di ottimizzare la funzione di pompa dei muscoli del polpaccio, che aiutano il sistema venoso e linfatico a drenare l’acqua proveniente dai tessuti delle gambe.
Per questo chi soffre di gonfiore, dolore o pesantezza alle gambe potrà trarre beneficio dall’uso di una calza, purché prescritta correttamente.

Come è fatta la calza elastica

La tecnica di fabbricazione della calza elastica, e in particolare il tipo di maglia con cui viene creata, conferisce al prodotto proprietà diverse.

Maglia circolare

I macchinari che producono questo tipo di calza elastica sono costituiti da tamburi di forma circolare con pile di aghi molto sottili.
Per questo i filati che si prestano a questa tessitura sono molto fini, e le calze elastiche prodotte sono di solito esteticamente gradevoli ed eleganti.

La maglia determina sulla calza il livello di flessibilità, traspirazione e nitidezza oppure opacità, mentre il filo di trama è responsabile della pressione esercitata.

Maglia circolare rigida

La tecnica di fabbricazione è la stessa della maglia circolare, ma la distribuzione del dosaggio lungo la calza è più uniforme.

Inoltre, la calza elastica fabbricata in questo modo ha una “stiffness” leggermente maggiore.
Questo effetto si ottiene grazie ad un pattern di intreccio diverso, nel quale c’è una maggiore densità di loop (asole) ad incastro, che danno alla calza più resistenza all’espansione.

Si tratta di una calza ibrida tra la trama circolare e la trama piatta, che spesso non raggiunge livelli di compressione certificabili come terapeutici (vedremo tra poco cosa significa).

Maglia piatta

Questo tipo di calza viene prodotta con macchine a base piatta in cui gli aghi hanno una disposizione lineare, sono più grossi e per questo possono tessere fili di trama più spessi.

Di conseguenza, i filati che si prestano a questa tessitura sono più grossolani rispetto a quelli lavorati a maglia circolare. La calza prodotta è maggiormente spessa e ha una “stiffness” massima.

Tipologie di calza elastica

La calza elastica può essere classificata in base al tipo di compressione esercitata oppure in base alla sua funzione, in particolare in base a quale problema intende prevenire o risolvere.

Tipo di compressione

Esistono la calza a compressione graduata e la calza a compressione progressiva.

Calza elastica a compressione graduata

Questo tipo di calza elastica è il più utilizzato, e come vedremo più avanti appartengono a questa categoria le calze certificate come terapeutiche.

In questa calza la pressione esercitata è massima alla caviglia e decresce man mano che si sale verso la coscia. Lo scopo, infatti, è di contrastare in modo equilibrato la pressione del sangue nelle vene, che in posizione eretta è maggiore in posizione declive a causa della forza di gravità.

La calza elastica a compressione graduata si realizza solitamente con una trama piatta, creando un maggiore “stretch” nel tessuto a livello della caviglia e riducendolo via via che si sale verso la coscia (sempre per il principio fisico che abbiamo visto prima).

Calza elastica a compressione progressiva

Questa calza elastica esercita una pressione maggiore al polpaccio rispetto alla caviglia.
Come mai? Lo scopo è quello di massimizzare l’efficienza della pompa muscolare, per favorire il flusso di sangue verso il cuore.

Secondo alcuni studi, infatti, questo tipo di calza è risultato più efficace nel migliorare il flusso di sangue a livello dalle gambe, con lo svantaggio però di provocare più facilmente gonfiore alla caviglia.

La compressione progressiva sembra anche migliore nel ridurre sintomi come dolore e pesantezza alle gambe, almeno nei soggetti con insufficienza venosa. Inoltre, questa calza è tendenzialmente più facile da indossare.
Ricordiamo tuttavia che, proprio per le sue caratteristiche di compressione, la calza a compressione progressiva non appartiene alla categoria delle calze terapeutiche (le vedremo tra poco).

Funzione della calza

In base alla sua funzione, la calza elastica può essere definita preventiva o terapeutica.

Calza elastica preventiva

La calza elastica preventiva è costituita solitamente dalla sola maglia, senza il filo di trama; per questo motivo non può esercitare pressioni tali da poterla definire terapeutica.

Se ne distinguono due tipi diversi, a seconda che lo scopo sia quello di prevenire l’insufficienza venosa oppure la trombosi.

Prevenzione dell’insufficienza venosa

Questa calza elastica esercita una pressione non terapeutica per alleviare sintomi come dolore o pesantezza alle gambe, soprattutto in individui che per abitudini lavorative passano molto tempo in piedi o seduti.

La calza elastica preventiva si misura di solito in denari, una grandezza che non ha nulla a che fare con la compressione esercitata ma che indica solamente il peso del filato della calza.
Una calza da 70 denari, ad esempio, può alleviare alcuni sintomi grazie al suo effetto compressivo, ma la pressione effettiva che esercita sarà diversa a seconda del materiale di cui è fatta (paradossalmente potrebbe comprimere di più rispetto ad una calza da 140 denari fatta di un materiale più leggero).

In generale, comunque, la pressione esercitata da una calza elastica di questo tipo non supera i 18 mmHg.

Prevenzione della trombosi

La trombosi venosa è una complicazione grave che avviene quando il sangue all’interno di una vena coagula improvvisamente. Il pericolo principale, in questi casi, è che si stacchi un frammento solido che, seguendo il flusso del sangue, provochi una embolia ai polmoni.
Per questo è importante prevenire la trombosi in situazioni a rischio come interventi chirurgici, gravidanza, fratture delle ossa oppure immobilizzazione prolungata a letto.

La calza elastica preventiva per la trombosi è tipicamente di colore bianco e si fa indossare in ospedale subito dopo un’operazione o dopo il parto.
Mentre siamo sdraiati a letto, essa esercita una blanda compressione che aiuta a far scorrere meglio il sangue, evitando che si coaguli.

La calza elastica preventiva per la trombosi funziona quando stiamo distesi

Bisogna tuttavia ricordare che questa azione terapeutica scompare completamente appena ci alziamo in piedi, proprio perché la pressione del sangue alla caviglia aumenta di molto. Di conseguenza, questa calza non serve a nulla se la indossiamo in posizione eretta, magari mentre camminiamo per il corridoio come spesso si vede fare nei reparti ospedalieri.

Calza elastica terapeutica

La calza elastica terapeutica possiede determinati standard qualitativi che la certificano come dispositivo medico terapeutico e non preventivo.
Le sue peculiarità sono la pressione ben definita che esercita nei vari punti della gamba e la precisa decrescita di questa stessa pressione dalla caviglia alla coscia.

La calza elastica migliora il risultato della scleroterapia dei capillari

Le caratteristiche che definiscono la calza elastica terapeutica fanno riferimento alle normative tedesca (RAL-GZ 387), francese (NFG 30-102B) e più recentemente europea.
Inoltre, i valori in mmHg che troviamo nella confezione della calza si riferiscono alla pressione esercitata alla caviglia, in particolare nel punto al di sopra dei malleoli.
Sulla base di questo valore, si distinguono calze di prima, seconda o terza classe, che vanno prescritte a seconda della gravità della patologia da trattare.

Prima classe

Secondo la normativa tedesca, questa calza elastica esercita pressioni alla caviglia comprese tra 18 e 21 mmHg.
Si utilizza in caso di pesantezza o dolore alle gambe, oppure per ottimizzare il risultato in corso di scleroterapia dei capillari o per il trattamento delle vene visibili sulle gambe.

Seconda classe

Questa calza è ideale per le persone che soffrono di insufficienza venosa; la pressione alla caviglia è compresa tra 22 e 32 mmHg.
Si utilizza in presenza di vene varicose, come terapia dopo una trombosi oppure dopo un intervento chirurgico di asportazione delle varici.

Terza classe

Si tratta di una calza particolare che esercita pressioni molto alte (34-46 mmHg) da prescrivere solo in caso di gravi linfedemi alla gamba, dopo una adeguata terapia decongestiva.

Come scegliere il prodotto più adatto

La calza elastica andrebbe sempre prescritta da un medico specialista in ambito flebologico. Tuttavia, è comunque utile avere alcune nozioni basilari nel caso non disponessimo di una prescrizione, se non altro per evitare di acquistare un prodotto che poi si riveli inutile.
I fattori da considerare riguardano in particolare il tipo di filato e la forma della calza.

Filato

La scelta del filato determina le diverse caratteristiche del filo di trama, e quindi le differenti proprietà compressive della calza.
Parliamo in questo caso di calza elastica terapeutica, proprio per la presenza del filo di trama.

Microfibra

La microfibra è un materiale molto sottile, addirittura più della seta.
PRO: Molto leggera e traspirabile, ben tollerata, è adatta a persone giovani che non vogliono rinunciare all’eleganza e al comfort pur indossando un presidio terapeutico.
CONTRO: Si tratta di un tessuto fragile e dal costo elevato, che mal si adatta alle variazioni di circonferenza degli arti; va evitata quindi nei soggetti obesi.

Materiale sintetico

Il materiale sintetico può essere di diverso tipo e i vari materiali si possono utilizzare anche in combinazione tra loro. I più usati sono il Nylon (derivato dalle poliammidi), e le fibre di poliuretano come l’Elastam.
PRO: Questa calza è più spessa della microfibra, ma è comunque sufficientemente leggera, elegante e vestibile. Inoltre, resiste maggiormente all’usura e si asciuga in fretta dopo il lavaggio. In assoluto è la calza più versatile e che personalmente prescrivo più spesso.
CONTRO: I materiali sintetici possono essere allergizzanti.

Cotone

Si tratta di un altro materiale molto usato; la calza in cotone può avere spessori variabili.
PRO: Molto traspirante, è l’ideale per le persone che soffrono di dermatiti o allergie cutanee.
CONTRO: Questa calza risulta un po’ meno estetica, a seconda comunque dello spessore del cotone. Ricordiamoci inoltre che può essere un po’ più difficile da indossare.

Caucciù

Il caucciù viene estratto dal lattice di alcune piante che producono gomme naturali; lo si trova per lo più in Asia e in Amazzonia.
PRO: Si tratta di un materiale molto elastico, che attutisce bene il gonfiore degli arti e mantiene un’ottima compressione durante la giornata, nonostante la grande estensibilità.
Ha anche una elevata “stiffness”, quindi è la calza ideale per ottenere compressioni importanti e pressioni più alte durante l’esercizio muscolare.
Per questo la calza in caucciù è ottima per mantenere la gamba sgonfia dopo un ciclo di bendaggi.
CONTRO: Essendo molto rigida, non è una calza versatile e va prescritta solo in casi specifici.

Forma del tutore

La forma del tutore dipende molto dalle abitudini personali. L’importante, tuttavia, è che la calza comprima almeno a livello del polpaccio, dove agisce la pompa muscolare.

Gambaletto

Il gambaletto è un tipo di calza molto diffusa; è comodo ed è del tutto simile ad un calzino lungo che arriva fino al ginocchio.
PRO: Ovviamente è l’ideale per l’uomo, ed è la tipologia di calza elastica più facile da indossare in assoluto.
Va molto bene come calza preventiva per chi soffre di pesantezza alle gambe, ma per lo stesso problema può tranquillamente essere usata una prima classe, se vogliamo avere un effetto un po’ più forte.

Il gambaletto è una tipologia di calza elastica ideale per l'uomo
CONTRO: Si limita a comprimere sul polpaccio quindi svolge la sua funzione fondamentale, ma può non essere sufficiente se sono presenti vene varicose sulla coscia o se c’è un reflusso lungo la vena safena.
In questi casi, una compressione completa previene l’insorgenza di trombosi e riduce il reflusso di sangue.
Ovviamente non è l’ideale per la donna, che preferisce indubbiamente prodotti più “femminili”.

Autoreggente

Si tratta di una calza adatta ovviamente alla donna.
PRO: Generalmente è più comoda rispetto al collant perché non stringe sulla pancia, ed è ideale da usare in corso di scleroterapia dei capillari.

La calza elastica autoreggente è ideale per la donna
CONTRO: Potrebbe scivolare verso il basso se la coscia è troppo sottile; si può evitare questo inconveniente bagnando la parte in silicone che assicura la tenuta.
Ricoriamoci che la stessa parte reggente in silicone può causare allergie.

Monocollant

Si tratta di una calza che comprime interamente un solo arto, e di solito ha una cinghia che permette di avvolgerla in vita.
PRO: Ideale per chi ha problemi di vene varicose su un solo arto, oppure da usare dopo un intervento alla safena.
Può essere usata all’occorrenza anche per l’altro arto, semplicemente rovesciandola.

Il monocollant è la calza elastica ideale dopo un intervento
CONTRO: Sicuramente meno apprezzata dalle donne, che preferiscono una calza che copra entrambi gli arti.

Collant

PRO: Ideale per la donna e sicuramente molto estetica e versatile, quelle in microfibra o materiale sintetico sembrano a tutti gli effetti delle calze normali.
Effettuano una compressione totale e ottimale su entrambi gli arti.
CONTRO: Possono risultare fastidiose soprattutto in chi è sovrappeso, perché stringono fino alla pancia; molto dipende comunque dalle preferenze personali.
Ovviamente sono più difficili da portare per l’uomo.

Punta chiusa o punta aperta?

Un ultimo aspetto su cui soffermarsi riguarda il tipo di copertura sul piede.

La punta chiusa è sicuramente più elegante, e per tale motivo si adatta meglio al gambaletto e al collant. Lo svantaggio della punta chiusa è che risulta un po’ più difficile da indossare.

La punta aperta è più facile da indossare e si adatta bene soprattutto al monocollant. Tuttavia, può dare fastidio perché lascia scoperta la parte anteriore del piede, soprattutto per un motivo legato alla sudorazione.

La calza elastica può essere a punta aperta

Come usare la calza elastica

Il corretto uso della calza elastica consente di evitare molti dei problemi comunemente riferiti dai pazienti che la indossando.
Questo aumenta l’efficacia del trattamento compressivo e il comfort per il paziente stesso.

Come abbiamo detto, la calza elastica andrebbe sempre prescritta da un medico competente in materia. La prescrizione dovrebbe comprendere la presa  misure e la scelta di materiale e tipologia del prodotto.
Ciò purtroppo non avviene di frequente, con il risultato che il paziente si reca nella sanitaria di riferimento senza una precisa indicazione; a volte è la sanitaria stessa a non suggerire il prodotto più idoneo.

Le misure andrebbero prese da distesi e non in piedi, preferibilmente al mattino, per essere più veritiere possibile (evitando quindi la presenza di contrazione muscolare o gonfiore).
I punti da misurare sono le circonferenze alla caviglia sopra i malleoli, al polpaccio e alla coscia, e le lunghezze di gamba e coscia.
Se le misure non rientrano tra quelle standard, come in caso di statura particolarmente alta, si procede con la prescrizione di una calza su misura.

Una volta acquistata, la calza elastica va indossata al mattino e tolta la sera, evitando di usarla di notte salvo particolari indicazioni (ad esempio dopo un intervento alle vene).
Essendo la calza elastica percepita come “stretta”, indossarla può risultare difficile soprattutto se ha una compressione elevata.

Come risolvere questo problema?
– se la punta è aperta, nel kit di solito è presente una ciabattina di tessuto sottile che, indossata prima della calza, ne agevola lo scorrimento per poi essere rimossa;
– se la punta è chiusa si indossa la calza rovesciandola fino al tallone, si fa passare prima il piede fino al tallone stesso, quindi si tira gradualmente verso l’alto il versante interno della calza, più stretto, intervallandolo con trazioni del versante esterno, più morbido;
– se si è in difficoltà ci si può aiutare con dei guanti da cucina; non bisogna tirare troppo per evitare di danneggiare il tessuto, soprattutto se la calza è fatta di microfibra.

Dopo aver indossato la calza per la prima volta, si controlla la correttezza delle misure provando a pinzare la calza con le dita a livello del tendine d’Achille (a questo livello non si dovrebbe riuscire a sollevare il tessuto), e a livello del polpaccio appena sotto il ginocchio (si dovrebbe riuscire minimamante a sollevarla).

Quando non usarla

In generale, in presenza di una gamba gonfia la calza elastica non ha alcuna utilità nel risolvere il problema, e se troppo stretta può addirittura fare dei danni creando un “effetto laccio”.
Questo avviene perché, come abbiamo visto, per sgonfiare una gamba con problemi venosi o linfatici bisogna applicare dei bendaggi più rigidi che creino una differenza di pressione tra il riposo e l‘esercizio.
Quando la gamba sarà sgonfia, una calza elastica correttamente prescritta potrà mantenere il risultato.

Ci sono delle eccezioni a questa regola, come la presenza di lieve edema che si osserva alla sera nelle persone anziane oppure ulcere venose poco secernenti con gamba sgonfia.
In assenza di gonfiore e infiammazione possiamo applicare una calza elastica, purché abbia caratteristiche di dosaggio e “stiffness” compatibili con il problema che vogliamo trattare.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5846867/pdf/10.1177_0268355516689631.pdf

https://www.magonlinelibrary.com/doi/pdfplus/10.12968/jowc.2019.28.Sup6a.S1

 

Ti è piaciuto questo articolo?

Leggi anche Scleroterapia dei capillari: come migliorare l’aspetto delle gambe e Vene visibili sulle gambe: cosa sono e come si eliminano efficacemente

 

Vuoi altre informazioni?

Dai un’occhiata al mio blog, puoi trovare risorse utili e gratuite!

 

Usi i social?

Seguimi su Facebook o chiedimi il collegamento su Linkedin!

 

La scleroterapia dei capillari può migliorare l'aspetto delle gambe

Scleroterapia dei capillari: come migliorare l’aspetto delle gambe

La scleroterapia dei capillari sulle gambe è un trattamento estetico molto richiesto soprattutto dalle donne, che presentano più spesso questo problema a causa di fattori legati agli ormoni estrogeni.
Le donne, inoltre, sono più sensibili a questo inestetismo per le implicazioni che esso comporta.

Infatti, la comparsa di capillari e piccole vene visibili sulle gambe può provocare disagio e compromissione delle attività sociali. Perché?
Molte donne riferiscono di provare imbarazzo nello scoprire le gambe, rinunciano ad indossare una gonna o un vestito corto e si vergognano quando vanno al mare.

In sostanza, le donne che soffrono di capillari sulle gambe non si piacciono e vorrebbero migliorare la situazione, anche perché il problema è cronico e tende a peggiorare con il tempo.

Come risolvere questo problema?
Se è vero che capillari molto piccoli possono essere trattati con il laser, nella maggior parte dei casi la scleroterapia è il trattamento più efficace per rimuovere i vasi di maggiori dimensioni.

Ma in cosa consiste la scleroterapia e cosa dobbiamo aspettarci da questo trattamento? Quali strategie permettono di ottimizzare il risultato?
In questo articolo troverai risposta a queste e ad altre domande.

Cos’è la scleroterapia dei capillari

La scleroterapia dei capillari è un trattamento estetico-angiologico che sfrutta l’iniezione di un farmaco, in forma liquida o schiumosa, all’interno del capillare che si vuole trattare.

La scleroterapia dei capillari permette di migliorare l'aspetto delle gambe

Il bersaglio può essere proprio il capillare, spesso di colore rosso oppure bluastro, oppure la vena un po’ più grossa che lo alimenta, chiamata vena reticolare.
Lo scopo è quello di far scomparire questi piccoli vasi che causano l’inestetismo.

Come avviene la scomparsa del capillare?
I capillari sono dei minuscoli vasi sanguigni ed il farmaco sclerosante provoca una reazione infiammatoria a livello della loro parete. Questo processo, che dura alcuni giorni, può essere spiacevole, ma è necessario affinché il capillare sparisca attraverso lo sviluppo di una fibrosi.

Ma è tutto così semplice? Non proprio.
L’infiammazione, infatti, non dovrà essere eccessiva altrimenti potrebbero verificarsi delle conseguenze spiacevoli, come la comparsa di macchie di pigmentazione oppure di nuovi capillari (questo fenomeno si chiama matting, lo vedremo più avanti).

Quindi, come ci regoliamo per ottenere la giusta infiammazione? Dobbiamo agire sui fattori che la determinano: la concentrazione del farmaco sclerosante e la sua modalità di preparazione.

Concentrazione del farmaco

La concentrazione del farmaco indica quanto farmaco c’è in una fiala.
Come vedremo più avanti, le concentrazioni sono variabili dallo 0,25% fino al 3-5%, ma possiamo iniettarne ancora meno se facciamo una diluizione della concentrazione più bassa con soluzione fisiologica.

Il concetto fondamentale è che maggiore è la concentrazione di farmaco che iniettiamo, maggiore sarà l’azione sclerosante ma anche l’infiammazione che la sostanza provoca.
Poiché i capillari sulle gambe sono dei vasi molto superficiali, dobbiamo prestare particolare attenzione a non infiammare troppo.
Personalmente preferisco iniziare il trattamento con concentrazioni molto basse, anche perché la reazione infiammatoria è variabile da persona a persona; si fa sempre in tempo ad aumentare la concentrazione nelle sedute successive, mentre non è vero il contrario.

Preparazione del farmaco

Il farmaco sclerosante può essere iniettato in forma liquida oppure schiumosa.

Liquido

Il farmaco sclerosante in forma liquida si utilizza quando i vasi sono molto piccoli, ad esempio proprio nel caso dei capillari.
Esso, infatti, funziona poco nelle vene più grosse, perché appena iniettato viene inattivato dalle proteine del sangue. Per questo motivo, il farmaco in forma liquida ha un potere sclerosante piuttosto limitato.

Un vantaggio del farmaco in forma liquida è legato al suo dosaggio. Con questa metodica, infatti, possiamo utilizzare grandi quantità di sostanza, sempre in base alla sua concentrazione, senza incorrere in effetti collaterali.
Questo rappresenta anche uno svantaggio in termini di costi, perché per trattare una vasta rete di capillari dovremo consumare diverse fiale di prodotto.

Schiuma

La schiuma sclerosante si ottiene miscelando il farmaco liquido con l’aria. Questo processo è possibile grazie ad una procedura molto semplice, nella quale con due siringhe raccordate tra di loro si mescolano le due componenti, producendo la schiuma.

La scleroterapia dei capillari può avvalersi della schiuma sclerosante

La schiuma sclerosante è generalmente più potente del farmaco in forma liquida. Per quale motivo?
In presenza di schiuma il farmaco si deposita sulla superficie delle micro-bolle che la compongono, aumentando così di molto la superficie di contatto con la parete del vaso.
Inoltre, l’iniezione di un certo quantitativo di schiuma sposta velocemente il sangue all’interno del vaso che si vuole trattare, diminuendo l’inattivazione della schiuma stessa.

La schiuma sclerosante può avere caratteristiche variabili; maggiore è la quantità di aria rispetto al liquido, maggiore sarà la densità della schiuma e di conseguenza il suo potere sclerosante.
Questa miscela è certamente la scelta migliore quando vogliamo trattare vene di grosso calibro, ma se opportunamente diluita è molto efficace anche nel trattamento dei capillari.

Il limite della schiuma è rappresentato dal suo dosaggio. Generalmente, infatti, è bene non superare i 10 mL per ogni sessione di trattamento.

A chi è rivolta la scleroterapia dei capillari

La scleroterapia dei capillari è richiesta soprattutto dalle donne, sia perché sono più sensibili all’inestetismo, sia perché sono maggiormente soggette a questo problema a causa dell’assetto ormonale.
Estrogeni e progesterone, infatti, riducono il tono venoso, cioè la capacità propulsiva dei vasi che permette di far scorrere il sangue, favorendo così la dilatazione dei capillari.

Per lo stesso motivo, i capillari sulle gambe sono più frequenti dopo la gravidanza oppure con l’avanzare dell’età e la menopausa.
Anche in presenza di obesità questo problema è di solito maggiormente presente.

Gli uomini possono a loro volta presentare il problema dei capillari. Nel sesso maschile, però, è più probabile che ci sia una sottostante insufficienza venosa.

In cosa consiste la scleroterapia dei capillari

La scleroterapia dei capillari si svolge in brevi sedute ambulatoriali, intervallate da un periodo di circa 3-4 settimane.

Prima di iniziare la terapia è fondamentale effettuare una visita specialistica comprensiva di ecodoppler, preferibilmente dallo stesso medico che effettuerà il trattamento.
Questo serve ad escludere la presenza di reflussi nelle vene più grosse, che sono situate più in profondità rispetto ai capillari e che potrebbero alimentarne la formazione. In questo caso, infatti, avrà più senso trattare prima l’insufficienza venosa e solo successivamente i capillari, dopo averne verificato un eventuale miglioramento.
Inoltre, la visita serve a verificare la presenza di eventuali controindicazioni al trattamento di scleroterapia.

La seduta consiste nell’esecuzione di piccole iniezioni di farmaco sclerosante lungo i vasi che si vogliono trattare.
Gli aghi utilizzati sono molto sottili, si inoculano piccole quantità di sostanza e le iniezioni non sono particolarmente dolorose. A seconda della tipologia di capillare, essi si inoculano singolarmente oppure si ricerca la vena reticolare che li alimenta, utilizzando una luce che illumina in trasparenza.

La seduta di scleroterapia dei capillari non è dolorosa

Il vantaggio della scleroterapia è che, dopo la seduta, il paziente può tornare tranquillamente alle proprie attività lavorative e sociali.
Gli unici accorgimenti importanti sono di evitare l’esposizione al sole o a lampade abbronzanti, perché potrebbero favorire la comparsa di macchie di pigmentazione. Per lo stesso motivo è meglio non praticare bagni termali, saune o docce bollenti, e non bisogna fumare per evitare di aumentare il rischio di trombosi.

Per ottimizzare il risultato, come indicano numerosi studi scientifici, è opportuno indossare una calza elastica adeguata durante il periodo di trattamento.
Questo di solito preoccupa molte donne, che portano malvolentieri la calza sia perché la ritengono poco estetica, sia perché, a causa di esperienze negative passate, non la trovano confortevole.
Come vedremo più avanti, questi problemi possono essere facilmente risolti.

Infine, teniamo sempre presente che il problema dei capillari sulle gambe non si può eliminare alla radice e può ripresentarsi in futuro, sotto l’azione degli ormoni estrogeni oppure a causa di un’insufficienza venosa.
Lo scopo della terapia è di controllarne lo sviluppo sottoponendosi a periodiche sedute di mantenimento.

Quali farmaci si usano nella scleroterapia

Ci sono diversi farmaci sclerosanti che si possono usare e che sono cambiati nel corso degli anni.
Per comprenderne meglio le caratteristiche, possiamo dividerli in tre gruppi: i detergenti, gli irritanti chimici e gli agenti osmotici.

Detergenti

I detergenti distruggono le cellule del capillare attraverso il danneggiamento delle proteine che le compongono.

Sodio tetradecil solfato

Si tratta di un detergente che rompe i legami tra le cellule del capillare, provocando una sorta di desquamazione; questo processo attiva le piastrine del sangue e di conseguenza una risposta infiammatoria.

Questo sclerosante è una potente tossina per le cellule dei vasi sanguigni, anche a basse concentrazioni. Per questo motivo si utilizza generalmente per sclerotizzare vene più grosse, in concentrazioni variabili tra lo 0,5% e il 3%.

Polidocanolo

Il Polidocanolo è il farmaco sclerosante più usato in Europa. Si tratta di un acido grasso sintetico che distrugge le cellule vascolari ed è disponibile in concentrazioni che vanno dallo 0,25% al 3%.
Questa sostanza è ideale da utilizzare nel trattamento dei capillari, mentre nelle vene più grosse ha un potere sclerosante leggermente inferiore.

Irritanti chimici

Questi farmaci distruggono le cellule del capillare attraverso un danno caustico diretto.
Il più conosciuto è la glicerina cromata, un debole agente sclerosante che si usa da molti anni per il trattamento dei capillari, ma che in Italia è reperibile sono come galenico.

Agenti osmotici

Gli agenti osmotici danneggiano le cellule del capillare richiamando l’acqua situata al loro interno, proprio attraverso un meccanismo osmotico. La disidratazione delle cellule vascolari è responsabile della loro distruzione, con conseguente scomparsa del capillare.

In questa categoria di farmaci rientrano le soluzioni saline ipertoniche di cloruro di sodio e il cloruro di sodio con destrosio. Hanno il vantaggio di non provocare tossicità perché sono sostanze del tutto naturali.

Cosa può succedere dopo la scleroterapia dei capillari

La scleroterapia è un trattamento sicuro ed efficace per ottenere la scomparsa del capillare.
Non si tratta, tuttavia, di una terapia banale, perché i farmaci che utilizziamo possono dare problemi se non vengono maneggiati con attenzione.
Cosa può succedere? I problemi estetici principali sono la pigmentazione della cute e il matting.

Pigmentazione della cute

Consiste nella comparsa di una macchia scura sulla pelle, che compare lungo il decorso del capillare o della vena che trattiamo.
La pigmentazione può essere transitoria o permanente.

La pigmentazione transitoria compare nel 10-30% delle persone trattate con scleroterapia. Inizia a manifestarsi gradualmente dopo la seduta e raggiunge un massimo di visibilità a circa 6-8 settimane di distanza; di solito dura per un certo periodo, ma nel 70% dei casi si risolve entro 6 mesi e nel 99% dei casi entro un anno.
La pigmentazione permanente è molto rara (1-2% dei casi).

Quali sono le cause della pigmentazione? Questa problematica è dovuta a deposito di melanina nell’epidermide e ad accumulo di emosiderina nel derma.
L’epidermide è lo strato più superficiale della pelle, mentre il derma è quello più profondo.

La melanina è la sostanza che conferisce il colore alla pelle. I meccanismi del suo coinvolgimento nella pigmentazione post scleroterapia non sono del tutto chiari, così come non è chiaro, dagli studi scientifici, se l’esposizione solare possa essere un fattore predisponente.

L’emosiderina, invece, è il prodotto finale della degradazione dell’emoglobina, la sostanza che trasporta l’ossigeno nei globuli rossi del sangue.
Come si spiega il suo coinvolgimento nelle macchie di pigmentazione?

La scleroterapia distrugge le cellule dei capillari attraverso l’infiammazione, e questo processo è avviato da una coagulazione del sangue che si verifica nella sede di iniezione del farmaco.
Quando il sangue coagula, l’emosiderina dei globuli rossi inizia ad accumularsi, spostandosi poi nel tessuto sottocutaneo in seguito alla maggiore permeabilità del capillare danneggiato.
Di conseguenza, l’emosiderina accumulata sotto la cute e non smaltita inizierà a creare una macchia scura.

Come possiamo evitare questo processo? L’evacuazione dei coaguli attraverso piccole punture permette di limitare questo accumulo e quindi di prevenire il rischio di pigmentazione.
Le punture, quando necessario, si possono effettuare anche a distanza di tempo dalla seduta. In questi casi è utile associare l’utilizzo di creme con azione chelante sul ferro, che è proprio un componente dell’emosiderina.

Matting

Il matting è una fitta rete di minuscoli capillari che può comparire in seguito ad un trattamento di scleroterapia, ma in alcuni casi anche spontaneamente.
I capillari del matting sono di colore rosso, generalmente più piccoli rispetto a quelli normali (hanno un diametro inferiore a 0,2 mm) e si dispongono in maniera disordinata formando una macchia irregolare.

Il matting è un parrticolare tipo di capillari sulle gambe

Il matting può comparire sporadicamente o in aree definite, non solo dopo un trattamento di scleroterapia ma anche dopo l’asportazione di una vena per via chirurgica o tramite ablazione laser.
Di solito si manifesta da 4 a 6 settimane dopo il trattamento e si risolve dopo 3-12 mesi; a volte, tuttavia, può essere permanente.
Per quanto riguarda la scleroterapia dei capillari, la comparsa di un matting avviene di solito nel 15-20% dei pazienti trattati, mentre secondo altri studi la percentuale varia dal 5% al 35%.

Le cause del matting non sono del tutto chiare.
Sappiamo che si verifica più spesso nelle donne, soprattutto in presenza di familiarità per capillari sulle gambe, obesità e assunzione di terapia ormonale; questo farebbe pensare ad una predisposizione legata agli estrogeni.

Questi ormoni, infatti, oltre a provocare rilassamento della muscolatura dei capillari e delle vene, e quindi la loro dilatazione, sono coinvolti anche nei processi di neo-angiogenesi.
Di cosa si tratta?
L’angiogenesi, come dice il termine stesso, è un processo nel quale nascono e si sviluppano nuovi vasi sanguigni, di solito in risposta a molecole che vengono prodotte in situazioni di danno cellulare o infiammazione, chiamate fattori di crescita.

Si ipotizza che alla base del matting ci sia una iniziale dilatazione di capillari già presenti ma non visibili, associata ad una neo-angiogenesi stimolata dall’infiammazione, a sua volta conseguente alla scleroterapia di un vaso.
Inoltre, un recente studio australiano ha riportato una associazione tra matting, tendenza al sanguinamento e fenomeni di ipersensibilità cutanea.

La terapia del matting, nei casi in cui sia permanente, si basa sull’utilizzo della stessa schiuma sclerosante, o meglio ancora del laser e della carbossiterapia.
Ma come possiamo ridurre il rischio di matting? I fattori chiave sono la tecnica usata, il tipo di farmaco sclerosante e la sua concentrazione, e l’approccio terapeutico che utilizziamo.

Tecnica

Si è osservato che una iniezione lenta di piccole quantità di sclerosante riduce il rischio di matting.

Farmaci sclerosanti e concentrazione

Alcuni studi “in vitro” hanno confermato che i farmaci detergenti provocano attivazione delle cellule capillari e rilascio di fattori di crescita favorenti l’angiogenesi; potenzialmente, quindi, possono causare il matting.

Tuttavia, l’azione infiammatoria è necessaria per ottenere la scomparsa del capillare, e bisogna puntare al miglior risultato con la minore concentrazione possibile.
Personalmente ritengo che un farmaco efficace, usato a basse concentrazioni, possa metterci al riparo da questo problema nella maggior parte dei casi.

Approccio al trattamento

Trattare i capillari sulle gambe senza aver prima indagato la presenza di una insufficienza venosa più grave può favorire la comparsa di un matting, in individui comunque predisposti.
Questo avviene perché il reflusso di sangue in una vena più grossa può alimentare la formazione di questi capillari; meglio quindi identificare ed eventualmente trattare prima il problema più importante.

Come migliorare il risultato della scleroterapia dei capillari

In questo articolo abbiamo sottolineato le criticità della scleroterapia e come prevenire eventuali problematiche che potrebbero verificarsi dopo il trattamento.

In particolare, i punti chiave sono:
– effettuare una visita specialistica prima della terapia, comprensiva di ecodoppler;
– partire con concentrazioni molto basse di farmaco, iniettandone piccole quantità volta per volta;
– evitare l’esposizione al sole e alle lampade, non fare bagni termali, non fumare.

Cosa manca? Naturalmente l’impiego di una calza elastica adeguata.

La calza elastica migliora il risultato della scleroterapia dei capillari

Numerosi studi scientifici mostrano che l’utilizzo di una calza elastica terapeutica, cioè con pressione alla caviglia di almeno 20 mmHg, migliora il risultato della scleroterapia.
Secondo uno studio eseguito in Svizzera, ci sarebbe addirittura un miglioramento oggettivo del risultato già dopo la prima seduta di trattamento, in termini di minore visibilità sia dei capillari che delle vene reticolari.

Ma come agisce la calza elastica?
Grazie alla sua azione compressiva, la calza riduce l’infiammazione nello spazio attorno al capillare, minimizzando così la possibilità di pigmentazione e angiogenesi.
Inoltre, esercitando una pressione esterna, riduce il reflusso nelle vene che alimentano i capillari.

Come va portata?
La calza elastica va indossata subito dopo il trattamento, ed è bene portarla per tre settimane dopo la seduta. Bisogna metterla al mattino, quando le gambe sono sgonfie grazie al riposo notturno, e toglierla alla sera prima di andare a letto.
Durante la giornata può essere tranquillamente usata durante il lavoro o l’attività fisica, ricordando di applicarla a contatto diretto con la cute senza l’interposizione di calzini o altre calze.

Perché le donne non vogliono portarla?
Il grosso problema della calza è che le pazienti non la indossano volentieri. Il motivo principale è legato a precedenti esperienze negative, in occasione delle quali hanno provato sensazioni di discomfort o compressione eccessiva.
Inoltre, molte donne sono convinte che la calza elastica sia poco estetica e quindi non gradevole da indossare.
Questi problemi in realtà possono essere risolti facilmente.

Innanzitutto, se la calza elastica dà fastidio molto probabilmente non è stata prescritta correttamente.
Il problema della prescrizione errata può essere dovuto a scelta sbagliata delle misure, tipologia di prodotto non adeguata (ad esempio, è difficile che una persona obesa possa trovare confortevole un collant, mentre userà con più facilità una autoreggente) oppure materiali non consoni (chi soffre di dermatite o allergie cutanee starà meglio con un prodotto in puro cotone anziché in materiale sintetico, per fare un esempio).

Per non incorrere in questi problemi, sconsiglio alle pazienti di recarsi nei negozi di prodotti sanitari senza una prescrizione medica comprensiva delle misure, che vanno prese a paziente disteso valutando circonferenze e lunghezza dell’arto.
Per quanto riguarda l’aspetto estetico, al giorno d’oggi le aziende produttrici di calze hanno in catalogo prodotti non solo di alta qualità, ma anche esteticamente molto belli, con una vasta gamma di tessuti e colori.
A onor del vero, spesso è davvero difficile distinguere le calze terapeutiche da quelle cosmetiche.

In sintesi, la calza elastica migliora il risultato della scleroterapia, anche se le pazienti spesso non se ne accorgono; questo avviene perché molto spesso è difficile oggettivare il risultato e ricondurlo all’uso della calza.

Fonti

https://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/0268355516682885

https://www.ejves.com/action/showPdf?pii=S1078-5884%2813%2900076-2

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4870057/pdf/10-1055-s-0035-1558646.pdf