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Ci sono tre rimedi efficaci per trattare i capillari rotti sulle gambe

Capillari rotti: come ottenere risultati con i trattamenti?

Capillari rotti sulle gambe: 3 rimedi per eliminarli efficacemente

 

Eliminare i capillari “rotti” sulle gambe è un target molto richiesto perché questi inestetismi provocano notevole disagio nelle donne. I trattamenti per eliminarli sono apparentemente banali, ma in realtà presentano delle criticità. Nella mia esperienza, infatti, ho notato che la maggior parte delle pazienti presenta due caratteristiche comuni.

La prima: molti trattamenti fatti in passato senza ottenere risultati, o addirittura peggiorando la situazione.

La seconda: tante convinzioni errate derivanti da luoghi comuni, come ad esempio: trattare i capillari “rotti” non serve a niente, perché tanto ritornano. Oppure: le vene varicose è meglio non toglierle finché non hai disturbi.
La conclusione generale è che bisogna rassegnarsi al disagio perché i trattamenti non funzionano.

Se stai leggendo questo articolo è probabile che tu abbia avuto un’esperienza simile. Per fortuna, però, le cose non stanno così. I trattamenti hanno una comprovata efficacia, certo con un margine molto basso di complicazioni come ogni terapia medica. Ci sono tuttavia degli aspetti che fanno la differenza e che ho cercato di sintetizzare in questo articolo.

Ecco quindi 3 rimedi efficaci per trattare i capillari “rotti” sulle gambe. Prima, però, una breve introduzione per capire meglio di cosa stiamo parlando.

Capillari rotti sulle gambe: cosa sono e perché si formano

I capillari “rotti” sulle gambe indicano una situazione di insufficienza venosa. Si tratta di una patologia molto diffusa nella quale le vene perdono la capacità di drenare il sangue. Secondo la principale classificazione di questa malattia, la comparsa dei capillari indica il primo stadio.

Ma i capillari sono davvero “rotti”?
In realtà no, sono semplicemente dilatati e per questo diventano visibili. Nel linguaggio comune vengono definiti “rotti” perché spesso si manifestano abbastanza rapidamente (nella stagione calda o dopo una gravidanza) o perché assumono l’aspetto di un livido.

La scleroterapia dei capillari permette di migliorare l'aspetto delle gambe

Un esempio di capillari “rotti” sulla coscia

Le cause che portano alla “rottura” dei capillari sono molteplici.
Le più importanti sono la familiarità e l’azione degli ormoni sessuali femminili, quindi fattori non modificabili. Infatti, è abbastanza tipico che i capillari si “rompano” in situazioni di cambiamento ormonale come la gravidanza e la menopausa. Anche alcune terapie come pillola anticoncezionale e fecondazione assistita possono influire.

Ma perché c’entrano gli ormoni?
Riducendo il tono venoso e capillare, gli ormoni sessuali femminili favoriscono il ristagno del sangue e dei liquidi nei tessuti. Per questo si associano spesso anche a gonfiore e ritenzione.

Ci sono anche dei fattori ambientali e comportamentali che incidono sulla comparsa dei capillari. Ad esempio, pomate al cortisone, massaggi intensi, mesoterapia non corretta, ma anche obesità, immobilità in piedi per molte ore (alcune attività lavorative come bariste, parrucchiere e addette alle pulizie sono particolarmente a rischio), eccesso di calore (saune, lampade), vestiti troppo stretti e cerette troppo traumatiche.
Come vedremo più avanti, è proprio su questi fattori modificabili che puoi intervenire per migliorare l’aspetto delle gambe.

Capillari rotti sulle gambe: perché dovresti trattarli?

Poiché sono una condizione cronica e degenerativa, i capillari tendono col tempo a peggiorare. D’altra parte hanno una forte componente genetica quindi non si possono eliminare alla radice.

Ma allora perché dovresti curarli?
Come abbiamo visto, si sentono tanti luoghi comuni su questa patologia e si potrebbe erroneamente concludere che trattarli sia inutile. Vedremo perché si tratta di una convinzione sbagliata.

Ora però rispondiamo alla domanda.
Essendo una patologia degenerativa, a maggior ragione dovresti tenerla sotto controllo. Non facendo trattamenti periodici, infatti, la situazione peggiorerà sicuramente più di quanto accadrebbe se te ne prendessi cura regolarmente.
E se la situazione peggiora cosa succede? Possono esserci tre tipi di problemi: uno estetico, uno funzionale e uno sintomatologico.

Da un punto di vista estetico questa patologia è molto impattante. Secondo alcuni studi, infatti, la presenza di capillari “rotti” sulle gambe rappresenta per le donne un disagio addirittura superiore a quello provocato dalle rughe del viso.
L’impatto psicologico è rilevante, le donne si sentono in imbarazzo nello scoprire le gambe e ricorrono ai pantaloni lunghi anche d’estate. Le pazienti più giovani possono manifestare addirittura quadri depressivi.

La presenza di capillari rotti provoca disagio nello scoprire le gambe

Ecco un esempio di come i capillari provocano disagio nell’indossare vestiti corti

Da un punto di vista funzionale, più questi capillari si dilatano e aumentano la loro estensione, più il sistema circolatorio superficiale si sovraccarica.
E quindi cosa succede? I capillari si trovano nel derma, subito sotto l’epidermide, e sono collegati con le vene sottocutanee che a loro volta confluiscono nelle safene. Questo significa che la dilatazione dei capillari può favorire un’evoluzione verso forme di insufficienza venosa più gravi.
Inoltre, il sistema venoso contribuisce alla termoregolazione del corpo. Se i capillari si dilatano allora il sangue non scorre come dovrebbe, con conseguenti problemi distrettuali della termoregolazione.

Trattare i capillari è utile anche perché possono provocare disturbi. Alcune pazienti, infatti, lamentano prurito, senso di calore o bruciore, formicolii e altri fastidi proprio nelle aree dove si “rompono” i capillari. Questo succede soprattutto in alcune fasi del ciclo mestruale a causa dei picchi ormonali. In questi casi il trattamento elimina solitamente i disturbi.

Capillari rotti sulle gambe: rimedi per eliminarli efficacemente

Quasi tutte le donne in età adulta hanno effettuato qualche trattamento per eliminare i capillari. Come abbiamo detto, però, spesso non si ottengono i risultati sperati e ci si demoralizza. Atre volte per la disperazione si ricorre a creme “miracolose” che purtroppo si rivelano un bluff.

Ma perché accade questo?
Non certo perché i trattamenti non funzionano. Se correttamente indicati, laser e scleroterapia sono infatti molto efficaci e non servono poi tante sedute per vedere un buon risultato.
Il problema, nella mia esperienza, è un altro. Poiché diversi medici effettuano questi trattamenti pur non essendo del settore, l’approccio è generalmente molto variabile o in qualche caso addirittura improvvisato. Questo può portare a risultati non buoni.

C’è bisogno, quindi, di fare chiarezza su cosa realmente funziona. Ecco quindi tre punti e rimedi secondo me utili che fanno la differenza.

1 Prevenzione

La prevenzione consente di agire sui fattori modificabili, cioè i fattori ambientali e lo stile di vita. Si tratta dell’unica arma che hai a disposizione per ridurre la possibilità che compaiano i capillari. Vediamone gli aspetti più importanti.

Dieta e controllo del peso

L’obesità è un fattore che aggrava l’insufficienza venosa. Se il tessuto adiposo delle gambe aumenta, il sistema venoso e linfatico faranno più fatica a drenare il sangue e i liquidi. Oltre a una aumentata comparsa di capillari, è facile che le gambe si gonfino e facciano male.

Oltretutto, una persona obesa si muove con più difficoltà ed è meno propensa a camminare. Come vedremo dopo, camminare è la base per far circolare bene il sangue. Per questo in presenza di obesità si crea un circolo vizioso che aggrava la situazione.

Per i motivi che abbiamo visto è molto importante controllare il peso e mantenerlo nel range di normalità per la propria costituzione. Ma che cosa puoi fare?
Ci sarebbe molto da scrivere su un argomento vasto come la nutrizione, quindi vediamo le cose più importanti.

Un primo consiglio apparentemente banale ma utile è di evitare l’assunzione di zuccheri raffinati e cibi iper-calorici. Gli zuccheri, infatti, si attaccano alle cellule adipose provocando un fenomeno chiamato lipodistrofia.
Cosa significa? Si tratta di una degenerazione delle cellule adipose caratterizzata da infiammazione e richiamo di liquidi, quindi sofferenza circolatoria.

Il fenomeno della lipodistrofia si collega anche a quello che accade nella cellulite, altra condizione che si associa spesso ai capillari “rotti”.
La cellulite è una malattia infiammatoria e degenerativa dei tessuti che provoca, tra l’altro, inestetismi cutanei sotto forma di “buchi” e “avvallamenti”. Essa può contribuire alla “rottura” dei capillari in zone abbastanza tipiche, come la parte esterna della coscia e l’interno del ginocchio.

Perché i capillari si “rompono” dove c’è la cellulite?
Se osserviamo da vicino queste zone, vedremo che i capillari tendono ad assumere l’aspetto di una raggiera o di un semicerchio, con al centro una piccola vena bluastra che scende. Questa forma indica che la dilatazione dei capillari avviene perché il sangue fa fatica a defluire.
La cellulite, infatti, provoca asfissia nelle cellule adipose, che andando in sofferenza si deformano e provocano un impedimento alla circolazione. I capillari a quel punto si dilatano e diventano visibili.

 

Sulla coscia i capillari assumono spesso l'aspetto di un albero

All’altezza della coscia i capillari formano spesso un semicerchio con una vena bluastra che scende, assumendo la forma di un albero

In queste zone è molto importante che i capillari vengano trattati in maniera delicata e graduale, senza utilizzare terapie troppo aggressive. Poiché la circolazione è ostacolata, bisogna dare il tempo al sistema di adattarsi e trovare altre vie di scarico, altrimenti si formeranno immediatamente nuovi capillari particolarmente rossi e sottili che prendono il nome di matting.

Esercizio fisico

L’esercizio fisico è un altro fattore importante per la circolazione e rappresenta un’ottima abitudine preventiva per contrastare i capillari.

Perché l’esercizio aiuta la circolazione?
Le vene che raccolgono il sangue dalle gambe devono spingerlo contro gravità verso il cuore, quindi hanno bisogno di un motore. Questa spinta è prodotta dalle pompe muscolari, strutture muscolari e tendinee delle gambe che funzionano come propulsori proprio perché, con la loro contrazione, spremono le vene favorendo il flusso del sangue.

Le pompe muscolari si trovano a livello del polpaccio e sulla pianta del piede, oltre che nel torace (in questa sede, grazie alla respirazione, ci crea una pressione negativa che “aspira” il sangue verso l’alto).

Ma che tipo di esercizio è meglio fare per evitare la comparsa dei capillari?
Sicuramente camminare è la cosa più utile, perché attiva tutte e tre le pompe (pianta del piede, polpaccio e torace). Bisogna al contempo respirare profondamente e concentrarsi nel sollevare bene i talloni, in modo che la spremitura delle vene sia ottimale.

Un altro esercizio molto utile è il nuoto, così come tutti gli sport acquatici (acquagym, idrobike, ecc). In acqua, infatti, l’azione della forza di gravità sul sangue è attutita e le vene fanno meno fatica a lavorare. Allo stesso tempo si può effettuare un esercizio muscolare, aiutando ancora di più il sistema. Avendo l’acqua una temperatura più bassa, infine, c’è un ulteriore aiuto alla circolazione.

Calza elastica

Nonostante sia odiata da molte donne, la calza elastica è un ottimo strumento per prevenire la “rottura” dei capillari. Si tratta di un presidio terapeutico che esercita una pressione esterna sulle gambe, aiutando in questo modo la circolazione.

Molti studi mostrano che la calza elastica riduce i sintomi e migliora la qualità di vita delle donne con insufficienza venosa. Anche dopo la scleroterapia dei capillari, indossare una calza di almeno 18 mmHg determina un migliore risultato a distanza, se portata per 3 settimane.
La calza elastica andrebbe indossata soprattutto dalle persone più a rischio di sviluppare capillari e vene varicose, cioè chi lavora molte ore in piedi oppure vicino a fonti di calore.

Ma perché risulta così fastidiosa?
In alcune donne il senso di compressione o costrizione e la sudorazione eccessiva rendono la calza difficile da indossare. Altre pensano che le autoreggenti o i gambaletti blocchino la circolazione, quindi non li mettono. In estate, poi, quando sarebbe maggiormente necessaria, nessuna la indossa perché non risulterebbe adeguata all’abbigliamento (sandali e vestiti corti).

Tutto comprensibile e giustificato, ma devi cercare di dare spazio anche alla prevenzione! Ad esempio, se lavori in ambiente fresco o con una divisa, puoi tranquillamente indossare un gambaletto o una autoreggente. In questo modo aiuterai la circolazione nei momenti critici e sentirai alla sera un senso di sollievo. Se hai bisogno di un outfit per stare all’esterno, potrai stare senza calza per il tempo che ti serve.

Spesso i fastidi della calza elastica derivano anche da una prescrizione non corretta. Sono pochi, infatti, i medici che prescrivono la calza prendendo le misure e scegliendo i materiali più adatti. Se questa prassi non viene seguita, la sanitaria vende ciò che ha ma che magari non va bene.

2 Rivolgiti a uno specialista

Spesso non si ottengono buoni risultati nel trattamento dei capillari “rotti” perché manca una valutazione specialistica. Un cattivo risultato, infatti, deriva in molti casi da una diagnosi non corretta.

Ma come si fa a fare una diagnosi corretta? Bisogna prima di tutto fare un ecodoppler venoso, e bisogna saperlo fare bene (cosa non scontata). L’ecodoppler consente di studiare come funziona la circolazione e capire se i capillari sono alimentati da vasi più profondi.
Ma quindi i capillari non sono tutti uguali? No. I capillari della coscia (sopra il ginocchio) sono solitamente diversi da quelli della gamba (sotto il ginocchio).

Nella coscia abbiamo già visto che i capillari “rotti” si formano per un ostacolo alla circolazione.
Sotto il ginocchio, invece, molto spesso ci sono una o più vene non funzionanti che ne provocano la comparsa. Identificare queste vene con l’ecodoppler è fondamentale, perché se non le trattiamo per prime i capillari si riformeranno o addirittura peggioreranno a seguito dei trattamenti.

I capillari sotto il ginocchio assumono spesso l'aspetto di un albero rovesciato

Sotto il ginocchio i capillari “rotti” assumono spesso l’aspetto di un albero rovesciato

Per fare un esempio, non ha alcun senso trattare quelle macchie di capillari che ci sono sulla caviglia se sotto c’è una grossa vena che non funziona. In queste situazioni il sangue presenta un reflusso, cioè scende verso il basso e ristagna anziché andare verso l’alto. Proprio perché scende in basso per gravità, il sangue deve trovare delle vie di scarico e i capillari compaiono per questo.
Bisogna quindi trattare prima di tutto la grossa vena che non funziona e poi rifinire con il trattamento dei capillari. Eppure, mi è capitato spesso di vedere trattare le caviglie in pazienti con questo problema, ovviamente senza fare l’ecodoppler.

Un altro fattore importante è che un medico non specialista difficilmente potrà padroneggiare tutte le tecniche che ci sono a disposizione, scegliendo quindi la più adatta. Ad esempio, ci sono tanti medici estetici o addirittura medici di base che fanno solo la scleroterapia, oppure comprano il laser e lo fanno a tutti indistintamente.

Questo approccio non va bene perché ogni trattamento ha una specifica indicazione. A volte, poi, per ottenere un buon risultato è necessario un piccolo intervento. Si capisce quindi che una puntura non può sostituire un’altra tecnica che sarebbe in quel caso maggiormente indicata, e il risultato di conseguenza non sarà buono.

Lo specialista, invece, è in grado di riconoscere per primo il problema più importante e di trattarlo nel miglior modo (chirurgia, laser, colla o scleroterapia).

3 Trattamenti efficaci

Il terzo rimedio che ti suggerisco per eliminare i capillari “rotti” è di effettuare terapie di comprovata efficacia.
Sappiamo che i trattamenti principali sono la scleroterapia e il laser. Ce ne sono anche altri come ossigeno-ozono, carbossiterapia e diatermo-coagulazione, ma si usano meno frequentemente.

Quello che fa la differenza, però, è come vengono fatti.
Vediamoli un po’ più nel dettaglio.

Scleroterapia

La scleroterapia consiste nell’iniettare all’interno dei capillari “rotti” una sostanza che li chiude e li fa scomparire gradualmente.
I farmaci da utilizzare dovrebbero essere tra quelli approvati per la scleroterapia dalla farmacopea italiana. Eppure, capita di sentir parlare di scleroterapia con prodotti omeopatici oppure rinforzanti. Un esempio è la terapia TRAP, che da alcuni anni si propone come alternativa alla scleroterapia tradizionale.

Ma che cos’è la TRAP e come funziona realmente?
La TRAP non è altro che una scleroterapia a bassissime concentrazioni di farmaco, nella quale si utilizza una sostanza non annoverata come sclerosante nella farmacopea italiana. Viene proposta come terapia “rigenerativa” (il messaggio è che le altre terapie distruggono i capillari, la TRAP invece li rinforza) e per questo sembra molto accattivante.

Tuttavia, non c’è alcuno studio che dimostri questo effetto.
Essendo come una scleroterapia, l’iniezione della TRAP provoca una blanda infiammazione nel capillare e di conseguenza un modesto accartocciamento della sua parete. Questo può certamente determinare una minore visibilità dei capillari, mentre nelle vene più grosse l’effetto è molto più leggero e comunque non duraturo.

In ogni caso, non si tratta di “rinforzo” (il termine è fuorviante) ma di leggera infiammazione. Il principio di fondo della TRAP rimane dunque non corretto, perché si basa sul trattare indistintamente vene e capillari senza studiare da dove parte il reflusso.

Laser

Il laser non dovrebbe essere considerato un’alternativa alla scleroterapia (e viceversa). Spesso, però, c’è la convinzione che i due trattamenti siano intercambiabili e le pazienti vogliono “provare” il laser perché la scleroterapia non è andata bene.

Si tratta di un approccio sbagliato perché laser e scleroterapia hanno indicazioni specifiche. Se la scleroterapia non è andata bene, i motivi possono essere tanti (non è stato identificato un reflusso, concentrazione del farmaco non corretta, oppure la puntura ha interrotto una via di scarico).

E allora quando va usato il laser?
In linea generale, se i capillari sono molto piccoli (diametro inferiore a 0,5 mm) il laser è la soluzione migliore. Naturalmente bisogna essere sicuri che non ci siano vene sottostanti più grosse che li alimentano.

Se la dimensione è compresa tra 0,5 e 1 mm, sia la scleroterapia che il laser possono andare bene, in base all’esperienza e alla preferenza del medico. Naturalmente sarà più opportuno ricorrere al laser nelle pazienti allergiche allo sclerosante o fortemente spaventate dagli aghi. La scleroterapia, d’altra parte, sarebbe da preferire in zone particolarmente delicate come la parte esterna della coscia.

Anche il tipo di laser va considerato, a seconda di alcuni parametri del capillare come profondità, dimensione e colore.
Il NeodimioYAG è un laser che va molto bene per i capillari più grossi che hanno un colore blu-violaceo. Il motivo è che questi capillari sono un po’ più profondi e il laser a Neodimio ha la caratteristica di penetrare maggiormente. Anche il Diodo può andare bene, sebbene abbia una penetrazione leggermente inferiore.

Se i capillari “rotti” sono rossi e sottili, allora significa che sono più superficiali. In questi casi il laser più adatto è il KTP 532. Questo laser penetra di meno rispetto agli altri e ha un’alta affinità per i capillari, quindi va molto bene. Bisogna stare attenti però alla pelle, perché avendo affinità anche per la melanina potrebbe provocare perdita di pigmentazione.

Quando i capillari sono superiori al millimetro allora si parla di vene reticolari. La prima scelta in questo caso è la scleroterapia, ma il loro trattamento viene molto bene anche con il laser endo-perivenoso.
Questa particolare tecnica laser prevede l’introduzione di una sottile fibra sotto la cute, in anestesia locale, con il vantaggio di ovviare il problema della penetrazione. Poiché la fibra si avvicina di più alla vena, infatti, il laser potrà colpire il bersaglio molto efficacemente e senza danneggiare la pelle.

Conclusioni

Purtroppo non esiste un rimedio che faccia sparire i capillari in modo rapido, definitivo e senza possibili complicazioni. Come hai potuto leggere, le terapie sono efficaci ma sono piene di insidie.

Spesso le pazienti mi chiedono se qualcosa è cambiato rispetto al passato e se ci sono cure più efficaci. Quello che è cambiato è certamente l’approccio, che è diventato (o almeno dovrebbe esserlo) meno aggressivo e più confortevole per il paziente. Purtroppo però la cura innovativa che renda tutto più facile non esiste. Per questo credo che sia importante soffermarsi sui concetti che hai letto in questo articolo.

Penso anche che ci sia bisogno di maggiore cultura e consapevolezza su queste patologie. Noi medici per primi dobbiamo abbandonare la vecchia mentalità fatta di luoghi comuni, prepararci di più e specializzarci in queste problematiche con un approccio il più scientifico possibile.

Anche tu come paziente puoi consapevolizzarti di più ed essere cosi più preparata nella scelta del medico e nell’affrontare i trattamenti.
I rimedi più efficaci che ho voluto spiegarti non riguardano quindi una tecnica di trattamento speciale, ma piuttosto un insieme di fattori che sono utilissimi alleati per ottenere un buon risultato.

Fonti

Pier Antonio Bacci, Celluliti 2012-diagnosi e terapia della FEF, Officina editoriale oltrarno, FI

Ovidio Marangoni, Leonardo Longo, Lasers in Phlebology, Edizioni Goliardiche

Alessandro Frullini, Manuale di flebologia ambulatoriale, Officina editoriale Oltrarno, FI

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5846867/pdf/10.1177_0268355516689631.pdf

 

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Leggi anche Vene visibili sulle gambe: cosa sono e come si eliminano efficacemente e Capillari sulle gambe: scleroterapia o laser?

 

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Le vene visibili sulle gambe sono un inestetismo che crea imbarazzo nell'indossare una gonna o un vestito corto. Ecco come si possono eliminare.

Vene visibili sulle gambe: cosa sono e come si eliminano efficacemente

La presenza di vene visibili sulle gambe è uno degli inestetismi maggiormente sentiti dalle donne. Il motivo della sua importanza è che provoca un forte imbarazzo nello scoprire le gambe.
Nelle persone affette, infatti, indossare una gonna o un vestito corto diventano causa di disagio e scarsa accettazione del proprio corpo.

Le vene visibili sulle gambe sono l’espressione di una patologia cronica e degenerativa, l’insufficienza venosa. Questo significa che con il tempo tendono a dilatarsi progressivamente e ad aumentare di numero.
Nonostante si tratti di un problema così diffuso, però, il trattamento delle vene visibili sulle gambe è problematico.

Come mai?

La risposta è che le terapie possono essere dannose se non sono conosciute adeguatamente ed effettuate con cautela. Infatti, per migliorare la situazione estetica delle gambe bisogna fare attenzione a non creare altri inestetismi.

Proprio per questo alcune pazienti hanno poca fiducia nel trattamento. Le convinzioni più diffuse sono che “chiusa una vena ne spunta poi un’altra” e che “dopo il trattamento la situazione spesso peggiora”.

Sono vere queste convinzioni? Ci sono dei metodi efficaci per eliminare le vene visibili sulle gambe?

In questo articolo cercherò di rispondere nel modo più esauriente possibile. L’obiettivo è di darti tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione sul trattamento dei tuoi inestetismi.

Vene visibili sulle gambe: cosa sono?

Le vene visibili sulle gambe sono delle vene particolarmente inestetiche che compaiono a livello degli arti inferiori. Si tratta di vasi sanguigni di colore blu scuro, più o meno dilatati e con decorso tortuoso. Proprio per queste loro caratteristiche saltano all’occhio e compromettono l’estetica delle gambe.

Dobbiamo ricordare, però, che avere delle vene visibili sulle gambe non sempre è patologico.
Vediamo allora quando la situazione è normale e quando invece è il caso di preoccuparsi e attivarsi per un trattamento.

Vene visibili sulle gambe: quando sono normali

Le vene sono dei vasi sanguigni che portano il sangue dai tessuti periferici al cuore. Il loro colore blu è del tutto fisiologico, perché il sangue che trasportano contiene poco ossigeno. Infatti, esse raccolgono le sostanze di scarto che provengono dai processi metabolici dei tessuti.

Le vene si formano nel circolo capillare sottocutaneo e diventano man mano più grosse confluendo tra di loro. Ne consegue che osservare in trasparenza delle vene visibili sulle gambe può essere del tutto normale, soprattutto in soggetti con la pelle chiara.

Quali caratteristiche hanno queste vene normali?
Sono appena visibili, hanno un colore blu-verde e non sono dilatate. Formano un reticolo appena percettibile sotto la cute della coscia e della gamba.
Si tratta di normali vie di drenaggio che solitamente non bisogna trattare.

Qualora venissero chiuse in maniera troppo aggressiva, infatti, la situazione potrebbe addirittura peggiorare. In questo caso spunterebbero in breve tempo dei capillari particolarmente sottili e inestetici, che prendono il nome di matting.

Lo strumento che toglie ogni dubbio sulla natura delle vene visibili sulle gambe è l’ecodoppler. In caso di normalità osserveremo un flusso di sangue diretto dal basso verso l’alto e dalla superficie alla profondità.

 

L'esame migliore per studiare le vene visibili sulle gambe è l'ecodoppler

L’esame di scelta per studiare le vene visibili sulle gambe è l’ecodoppler, che va eseguito in stazione eretta

 

Vene visibili sulle gambe: quando sono patologiche

Se le vene visibili sulle gambe diventano particolarmente scure, oppure si ingrossano e sporgono sulla cute, allora probabilmente sono patologiche.

A volte sono anche dolenti, soprattutto in alcune fasi del ciclo mestruale. Ancora, possono dare la sensazione di “scoppiare” improvvisamente, soprattutto nella stagione estiva.
Se invece assumono l’aspetto di un cordoncino duro e arrossato, allora il problema potrebbe essere una trombosi venosa superficiale.

Quando le vene visibili sulle gambe assumono queste caratteristiche siamo di fronte ad un problema estetico e vascolare ben preciso: si tratta delle cosiddette vene reticolari.

Vene visibili sulle gambe: caratteristiche

Cosa sono queste vene reticolari?
Il parametro che le definisce è la loro dimensione. Esse, infatti, non superano i 3 millimetri di diametro (per la precisione il loro diametro è compreso tra 1 e 3 millimetri). Quando invece superano i 3 millimetri si parla di vene varicose.

Le vene reticolari si trovano appena sotto il derma, quindi nel tessuto sottocutaneo superficiale. Sono generalmente piatte anche se a volte possono sporgere sulla cute. Questa sporgenza si osserva soprattutto nel cavo popliteo (la parte dietro il ginocchio).

 

Le vene reticolari compaiono negli stadi iniziali dell'insufficienza venosa

Le vene reticolari sono bluastre, non rilevate e spesso tortuose

 

In termini di frequenza, le vene reticolari compaiono più spesso nelle donne. Possono spuntare abbastanza rapidamente dopo una gravidanza o in seguito a una terapia ormonale, ma anche con l’avanzare dell’età. In alcune popolazioni si riscontrano addirittura nel 60% dei soggetti.
Si tratta, quindi, di un fenomeno piuttosto diffuso.

Spesso le vene reticolari si osservano in prossimità di altri piccoli vasi, più sottili e di colore rosso o violaceo. Si tratta dei ben noti capillari sulle gambe.

Vene reticolari e capillari possono assumere diverse configurazioni intersecandosi tra di loro. Saper riconoscere e distinguere queste strutture è importante, perché l’approccio terapeutico cambia.
Capiremo meglio questo concetto nel prossimo paragrafo.

Vene visibili sulle gambe: tipologie

Perché si formano le vene reticolari?
I motivi sono due: un flusso di sangue ostacolato oppure un flusso invertito. Vediamo in cosa consistono questi due fenomeni.

Flusso ostacolato

Come abbiamo detto, il normale flusso del sangue (chiamato anche deflusso) avviene dal basso verso l’alto e dalla superficie alla profondità. Ciò è reso possibile dalla presenza di piccole valvole all’interno delle vene. Le valvole impediscono al sangue di tornare indietro, cosa che naturalmente avverrebbe poiché esso scorre contro gravità.

Quando questo normale flusso è ostacolato, per i motivi che vedremo fra poco, la vena si dilata a causa della congestione che si crea al suo interno. A questo punto si forma la vena reticolare.

In queste situazioni la forma che i capillari assumono rispetto alla vena reticolare diventa simile a quella di un albero. Infatti, sembrerà di osservare un tronco (la vena reticolare) con i rami (i capillari) disposti attorno ad esso. Questa conformazione prende proprio il nome di “pino marittimo” oppure di “albero dritto”.

 

Le vene visibili sulle gambe possono assumere, assieme ai capillari, una forma ad albero

Un esempio di configurazione “a pino marittimo”

 

In presenza di un “albero dritto” bisogna fare molta attenzione nel trattare la vena reticolare.
Anche se il flusso è ostacolato, infatti, questa vena è pur sempre una via di drenaggio funzionante. La sua chiusura, quindi, causerebbe un ulteriore impedimento alla circolazione del sangue con lo spiacevole risultato di veder spuntare nuovi capillari.

Ecco spiegato il perché a volte si peggiora rapidamente dopo il trattamento.

Flusso invertito

Se il flusso di sangue non va nella direzione fisiologica significa che le valvole all’interno delle vene reticolari non stanno funzionando. Si parla in questo caso di reflusso. Il sangue dalla profondità arriva al compartimento superficiale e le vene reticolari diventano visibili.

In questi casi la conformazione che osserviamo è solitamente quella di un “albero rovesciato”. I capillari, infatti, si trovano sotto la vena reticolare, proprio come se l’albero fosse capovolto.

Poiché il flusso di sangue è invertito, in questo caso è la vena reticolare che alimenta la dilatazione dei capillari. Chiudendo la vena, quindi, è lecito aspettarsi anche una scomparsa dei capillari.

Vene visibili sulle gambe: cause

Abbiamo visto le due principali tipologie di vene visibili sulle gambe. Ma quali sono le cause che ne provocano la comparsa?
Vediamone alcune.

Cellulite

La cellulite è un problema ben noto alle donne perché causa vistose alterazioni del tessuto adiposo e della cute. Quest’ultima, ad esempio, assume il tipico aspetto “a buccia d’arancia” o “a materasso”.

 

La cellulite si associa a cattiva circolazione e spesso alla comparsa di vene visibili sulle gambe

La cellulite si associa alla presenza di cute “a buccia d’arancia” o “a materasso”

 

La cellulite, però, non è propriamente un accumulo di grasso né un semplice inestetismo.
Si tratta, infatti, di una vera e propria patologia degenerativa dei tessuti sottocutanei. Essa inizia con un accumulo di liquidi nel tessuto adiposo ed evolve verso la fibrosi attraverso un processo infiammatorio.
Per questo motivo viene definita con l’acronimo PEFS (pannicolopatia edemato-fibro-sclerotica).

Cosa c’entra la cellulite con le vene visibili sulle gambe?
Le alterazioni che caratterizzano la cellulite provocano un danno alla circolazione. A causa delle modificazioni indotte dalla malattia, infatti, il flusso di sangue dalla superficie alla profondità è ostacolato e le vene reticolari diventano visibili.

In queste situazioni osserveremo più spesso una conformazione “ad albero dritto”, tipicamente sul lato esterno della coscia (un’area particolarmente colpita dalla cellulite).

Anomalie posturali

La postura è molto importante per la circolazione del sangue. In presenza adi anomalie posturali gli angoli tra le articolazioni sono alterati e il sangue fa fatica a defluire. Il risultato è che le vene tenderanno a dilatarsi a monte dell’ostacolo, diventando visibili.

Qualche esempio?
Le sedi più colpite da questo problema sono la caviglia e il ginocchio.

Nel primo caso si osserva tipicamente una corona di capillari attorno al malleolo mediale (l’osso che sporge sulla parte interna della caviglia). Spesso il problema si associa a pronazione del piede ed errato appoggio plantare.

Nel caso delle ginocchia, riscontriamo tipicamente una tendenza all’iperestensione con formazione di vene visibili sulle gambe nel cavo popliteo.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un deflusso ostacolato.

Insufficienza venosa

Questa malattia degenerativa colpisce fino al 30% della popolazione femminile. Essa si manifesta con la perdita della funzione drenante delle vene, che si dilatano e diventano visibili. Si formano così le vene varicose.

Nel suo stadio iniziale l’insufficienza venosa si caratterizza proprio per la presenza di vene reticolari. All’interno di queste vene le valvole non funzionano e il sangue tende quindi a refluire, facendo comparire spesso anche i capillari.

In queste situazioni osserveremo più spesso delle disposizioni “ad albero rovesciato”, soprattutto nelle parti più declivi delle gambe. Per gravità, infatti, il sangue tende ad accumularsi verso il basso.

Terapia ormonale

Gli ormoni sessuali femminili sono noti per ridurre l’attività propulsiva delle vene favorendone la dilatazione. Questo è il motivo per cui le donne sono più soggette a questo problema.

L’assunzione di contraccettivi orali e le terapie ormonali in corso di menopausa o fecondazione assistita potenziano gli effetti negativi sulle vene. In questi casi aumenta la probabilità che esse si dilatino e si rendano visibili, con o senza sintomi associati.

Fattori ambientali

Anche alcuni stili di vita possono influire sulla circolazione.
Il problema principale è la stazione eretta prolungata, perché riduce l’azione di pompa che i muscoli del polpaccio esercitano sulle vene.

Per questo motivo le vene visibili sulle gambe sono più facilmente presenti in persone che lavorano molto in piedi. I casi tipici sono parrucchiere, bariste, oppure donne che lavorano nell’ambito delle pulizie.

Anche stare seduti per molte ore provoca lo stesso problema. Tutte le persone che svolgono mansioni d’ufficio, quindi, sono potenzialmente soggette a cattiva circolazione.

 

Passare molte ore in ufficio può provocare problemi di circolazione.

Il lavoro d’ufficio si associa spesso a cattiva circolazione

 

Se oltre ai fattori visti finora aggiungiamo l’esposizione a fonti di calore, il problema peggiora ulteriormente. Ecco che i soggetti più a rischio diventano cuochi e operai che lavorano in fabbriche dove ci sono alte temperature.

Vene visibili sulle gambe: perché trattarle?

La principale indicazione al trattamento delle vene visibili sulle gambe è di tipo estetico.

Trattandosi di una patologia degenerativa, però, anche l’aspetto preventivo ha la sua importanza. Queste vene, infatti, tenderanno per natura a peggiorare diventando più visibili e potenzialmente anche fastidiose.
Secondo alcuni autori, inoltre, il trattamento serve anche ad alleggerire il circolo superficiale e a migliorare l’emodinamica venosa.

Quali sono i passi da seguire per il trattamento?
Prima di tutto è necessario sottoporsi ad una visita specialistica con ecodoppler. La valutazione deve confermare che all’interno di queste vene c’è un reflusso, escludendo che si tratti di vasi normalmente funzionanti.

Inoltre, è fondamentale studiare interamente la circolazione per verificare che non ci siano problemi più grossi, ad esempio a livello della vena safena.

Solo a questo punto si potrà iniziare il trattamento, dopo aver valutato i pro e i contro e deciso la strategia più adatta.

Vene visibili sulle gambe: come trattarle?

Il trattamento delle vene reticolari può essere effettuato principalmente in due modi: scleroterapia e laser.
Ciascuno di questi trattamenti ha dei pro e dei contro. Ogni caso, quindi, va valutato a sé. Spesso, inoltre, essi vengono associati tra di loro.

Ciò che è importante capire e che non c’è una terapia che in assoluto è meglio di un’altra.

Spesso le pazienti chiedono un trattamento specifico perché non hanno avuto un buon risultato con l’altro. L’approccio corretto, però, sarebbe quello di valutare il caso e capire perché il trattamento effettuato non è andato bene. Magari era stato correttamente indicato ma eseguito in modo sbagliato.

Quando decidiamo di trattare le vene visibili sulle gambe bisogna anche e soprattutto valutare alcuni parametri, come il diametro della vena, la sua eventuale sporgenza sulla cute, il colore, la profondità e le eventuali controindicazioni alle terapie.

Vediamo ora nel dettaglio i pro e contro dei trattamenti.

Scleroterapia

La scleroterapia consiste nell’iniezione di un farmaco all’interno delle vene reticolari con lo scopo, appunto, di “sclerotizzarle”. Ciò provoca una risposta infiammatoria e successivamente una fibrosi a livello della vena trattata. Il risultato è la progressiva scomparsa dell’inestetismo.

I farmaci sclerosanti si dividono in vari gruppi.
Quelli più comunemente usati sono i detergenti (ad esempio il Polidocanolo e il Sodio Tetradecil Solfato) e gli irritanti chimici (la Glicerina Cromata). Essi possono essere utilizzati in forma liquida oppure schiumosa, e in diverse concentrazioni.

Questi parametri determinano l’intensità dell’azione sclerosante e vanno quindi adattati alle caratteristiche del vaso che volgiamo trattare.

 

La seduta di scleroterapia dei capillari non è dolorosa

Scleroterapia con schiuma sclerosante

Come si può intuire, la scleroterapia non è un trattamento banale perché ci sono tante variabili da considerare. Si tratta indubbiamente di una terapia vantaggiosa ma possono esserci anche dei potenziali problemi.
Cerchiamo di capire quando va bene e quando no.

Vantaggi

I vantaggi della scleroterapia sono molti.
Si tratta di un trattamento ambulatoriale, mini-invasivo e ripetibile a distanza di 3-4 settimane dalla precedente seduta. La paziente può tornare subito alle proprie attività dopo il trattamento, basterà evitare l’esposizione al sole e indossare una calza elastica.
I suoi costi, oltretutto, sono relativamente contenuti.

Inoltre, si tratta di una terapia non dolorosa. Al massimo si può sentire qualche minimo fastidio nella sede di puntura. Non è necessaria l’anestesia perché il trattamento è ben tollerato.

Per quanto riguarda le vene visibili sulle gambe, la scleroterapia è generalmente considerata il trattamento di scelta. Essendo vasi più grossi rispetto ai capillari, infatti, è più semplice pungerli che bruciarli dall’esterno, come avverrebbe nel caso del laser (lo vedremo più avanti).

Ci sono tuttavia da considerare anche alcuni potenziali rischi.

Svantaggi

Come abbiamo detto, nella scleroterapia l’infiammazione è necessaria per ottenere l’effetto desiderato. A volte, però, troppa infiammazione può rivelarsi uno svantaggio.

Perché?

Se una vena reticolare viene infiammata eccessivamente aumenta il rischio che compaiano delle macchie sulla pelle. Ciò è dovuto alla deposizione di sostanze liberate dal processo infiammatorio, che pigmentano la cute. Questo è vero soprattutto in zone delicate come il cavo popliteo e la caviglia, dove c’è meno tessuto sottocutaneo.

 

Macchie di pigmentazione dopo scleroterapia

Macchie di pigmentazione dopo scleroterapia

 

Questa complicanza può avvenire a causa di fattori individuali ma soprattutto quando si usano sclerosanti troppo potenti.

Le vene reticolari, peraltro, hanno una parete più grossa rispetto ai capillari. Questo significa che bisogna in linea teorica infiammarle di più per chiuderle e farle sparire.

Come possiamo notare, non è facile bilanciare la giusta infiammazione con il risultato desiderato. Per questo bisogna intervenire con più sedute di scleroterapia, partendo con concentrazioni molto basse per poi salire pian piano.

Quali sono gli altri svantaggi della scleroterapia?
Bisogna tenere presente possibili complicazioni, seppur rare. Si tratta di reazioni allergiche, necrosi, trombosi venose superficiali, ma anche comparsa di una fitta rete di capillari molto sottili (matting) in conseguenza di una infiammazione eccessiva o di un trattamento improprio.

Queste complicazioni, però, sono facilmente evitabili se si raccoglie una storia clinica accurata e si seguono le linee guida principali.

Laser

Il laser sfrutta l’emissione di energia sotto forma di luce per colpire e distruggere un tessuto biologico. L’obiettivo, naturalmente, è la scomparsa dell’inestetismo che vogliamo trattare.

Nel caso delle vene visibili sulle gambe, il bersaglio del laser è l’emoglobina del sangue. Quando essa viene colpita, l’energia termica si propaga fino a distruggere la parete del vaso, che è il vero obiettivo da raggiungere. Solo in questo modo, infatti, si otterrà la scomparsa della vena.

Il parametro più importante che caratterizza un laser è la lunghezza d’onda.
Si tratta di una grandezza specifica della luce che determina quanto in profondità il laser sarà in grado di arrivare e quale tessuto verrà colpito. A seconda dell’inestetismo che vogliamo trattare, quindi, dovremo scegliere una diversa lunghezza d’onda e quindi un diverso laser.

Ma quali sono le caratteristiche ideali che un laser dovrebbe avere per trattare le vene visibili sulle gambe?

Per prima cosa, la lunghezza d’onda dovrebbe essere sufficientemente selettiva per l’emoglobina del sangue. In questo modo l’energia luminosa verrebbe massimamente convertita in calore, surriscaldando il vaso e distruggendolo.

Secondo, il laser dovrebbe arrivare ad una profondità sufficiente per colpire il bersaglio.

Terzo, è importante che i tessuti che circondano il nostro target non vengano danneggiati.

Purtroppo, il laser ideale non esiste. Ognuno ha dei pro e dei contro e non è possibile soddisfare tutte e tre le caratteristiche in modo ottimale.
Vediamo quindi quali sono i laser che possiamo sfruttare per trattare le vene visibili sulle gambe.

NdYAG

Questo laser deve il suo acronimo alle iniziali degli elementi che lo compongono. Esso emette una luce che ha una lunghezza d’onda di 1064 nanometri.

Come funziona?
Il raggio laser fuoriesce da un manipolo esterno, che viene appoggiato sulla pelle. La luce deve quindi attraversare lo strato cutaneo per raggiungere la vena bersaglio e distruggerla.

Quali caratteristiche soddisfa questo laser?
La sua affinità per l’emoglobina del sangue è scarsa, mentre ha una sufficiente azione sulla mioglobina (una sostanza contenuta nella parete delle vene). Quindi, è potenzialmente in grado di distruggere efficacemente il bersaglio.

Anche la profondità che può raggiungere è buona. Può quindi arrivare fino alle vene reticolari, a patto che i parametri vengano impostati in un certo modo.
Tuttavia, non essendo selettivo per l’emoglobina, può danneggiare i tessuti circostanti. Infatti, la sua affinità per l’acqua è più alta rispetto ai laser con lunghezze d’onda minori, e l’acqua è contenuta in tutti i tessuti.

Il laser NdYAG, proprio per le caratteristiche che abbiamo visto, è un trattamento possibile per le vene visibili sulle gambe ma non ottimale. Inoltre, è doloroso e richiede un continuo raffreddamento della cute.

Esso, invece, è molto efficace nel trattamento di capillari particolarmente sottili (inferiori al millimetro), come nel caso del “matting”.
Ha un’ottima indicazione anche nei capillari resistenti alla scleroterapia, nei pazienti che hanno paura degli aghi e nel trattamento di aree particolarmente a rischio di pigmentazione.

Laser endo-perivenoso

Il laser endo-perivenoso ha una lunghezza d’onda di 808 nanometri e si chiama così proprio per le modalità con cui distrugge le vene reticolari. Il suo meccanismo d’azione, infatti, prevede che l’emissione avvenga posizionando la sorgente laser all’interno oppure attorno alla vena.
Capiremo tra poco come funziona questo innovativo trattamento.

Quali criteri soddisfa il laser endo-perivenoso?
La lunghezza d’onda di 808 nanometri è maggiormente assorbita dall’emoglobina rispetto a quanto avviene con il NdYAG. Inoltre, la sua specificità è ottima perché l’affinità per l’acqua è quattro volte inferiore rispetto a quella del suo rivale.
Il laser endo-perivenoso, quindi, non danneggia i tessuti circostanti.

 

Il laser endo-perivenoso disrtrugge le vene visibili sulle gambe

Il laser endo-perivenoso è un diodo con lunghezza d’onda di 808 nanometri

 

Il problema è piuttosto la profondità. Non potendo penetrare a sufficienza, infatti, questo laser non è in grado di raggiungere dall’esterno le vene visibili sulle gambe.

Come viene superato questo ostacolo?

Introducendo una sottile fibra sotto la cute e collegandola alla sorgente laser, sarà possibile avvicinarsi a sufficienza alla vena bersaglio e colpirla. A questo punto, sia che la fibra sia all’interno che attorno al vaso sanguigno, esso verrà distrutto senza intaccare minimamente gli altri tessuti.

Ma come funziona più nel dettaglio questo trattamento?
Vediamolo nello specifico.

Come funziona il laser endo-perivenoso

Per prima cosa di deve marcare la vena bersaglio con una penna rossa (un colore più scuro potrebbe essere assorbito dalla luce laser). Successivamente si effettuano piccole iniezioni di anestetico locale lungo il decorso del vaso.

A questo punto si può introdurre la fibra facendola passare attraverso la cute. Si tratta di uno strumento sottilissimo (0,2-0,3 millimetri di diametro) che non provoca alcun fastidio.

Impostati correttamente i parametri di emissione, la vena reticolare è pronta per essere trattata.

Cosa succede alla vena quando arriva il raggio laser?

Il primo effetto dell’impulso laser è una contrazione della vena reticolare. Ciò avviene perché questa lunghezza d’onda colpisce la mioglobina, una sostanza presente nelle cellule muscolari della parete venosa.
In una frazione di secondo, quindi, la vena si rimpicciolisce.

La contrazione della vena favorisce il secondo effetto del laser, che è anche il principale, ossia la coagulazione del sangue. Questo processo avviene più facilmente se la vena è piccola e se c’è uno scarso volume di sangue da vaporizzare.
Anche la velocità con cui l’operatore muove avanti e indietro la fibra influenza questa fase. Tale velocità dovrebbe essere di circa 3-5 millimetri al secondo con una potenza di circa 6 watt per 0,5-1 secondi.

In sintesi, maggiore è l’entità della coagulazione, più efficacemente la vena viene chiusa e scompare.

Terminato il trattamento sarà sufficiente applicare una crema lenitiva e una piccola medicazione per qualche giorno. Nei punti di ingresso della fibra sulla cute si formeranno delle piccole crosticine, destinate a sparire nell’arco di alcune settimane.

Dopo il trattamento bisogna naturalmente evitare l’esposizione al sole o a lampade abbronzanti, mentre non è necessario indossare la calza elastica.

Vantaggi

Quali sono, alla fine, i vantaggi di questo trattamento?

Il laser endo-perivenoso elimina il problema delle pigmentazioni cutanee che possiamo avere con la scleroterapia. Infatti, il suo meccanismo di distruzione basato sull’energia termica non provoca l’infiammazione e i coaguli che si osservano con gli sclerosanti.
Inoltre, la sua azione è istantanea e generalmente non richiede ulteriori sedute nella stessa zona.

L’altro vantaggio è che si possono trattare facilmente anche le vene reticolari molto tortuose. Non è necessario, infatti, che la fibra si trovi all’interno della vena perché questa venga distrutta. Anche dall’esterno, oppure perforando la vena dall’interno, il laser sarà ugualmente efficace.

 

La fibra laser inserita sotto la cute distrugge le vene visibili sulle gambe

La fibra laser inserita appena sotto la cute distrugge le vene reticolari sia dall’interno che dall’esterno

 

Il terzo vantaggio è che questo laser, come abbiamo visto, non intacca i tessuti circostanti.

Svantaggi

Il laser endo-perivenoso è particolarmente indicato se le vene visibili sulle gambe sono resistenti alla scleroterapia, oppure se c’è un maggior rischio di pigmentazione o se il paziente è allergico allo sclerosante.
Naturalmente, anche il laser può provocare delle complicazioni, ma se i parametri sono impostati correttamente si tratta di eventi eccezionali.

Quali sono gli svantaggi?

La selettività del laser endo-perivenoso per le vene reticolari di colore blu può rivelarsi svantaggiosa se abbiamo bisogno di trattare simultaneamente anche i capillari rossi.

Si tratta, inoltre, di un trattamento un po’ più costoso. Tuttavia, essendo efficace in una singola seduta il suo costo finale è equivalente a quello della scleroterapia, che richiede più sessioni di trattamento.

Conclusioni

Le vene visibili sulle gambe sono un problema estetico rilevante per le donne. Molte persone, pur cercando soluzioni a questo problema, hanno dubbi legati a ciò che si sente dire dire.

Questi sono i tre consigli finali che ritengo più importanti per risolvere questo inestetismo.

1 Non bisogna trascurare questa patologia per il solo fatto che è di tipo “estetico”.
Se è vero che i trattamenti hanno un costo, più si aspetta e più la situazione peggiora. Di conseguenza, saranno necessari più tempo e maggiori spese quando una migliore prevenzione avrebbe potuto essere efficace.

2 È meglio non ascoltare le esperienze delle amiche ma piuttosto informarsi adeguatamente.
Questo problema è complesso e si possono incontrare molti approcci differenti. Ci sono casi in cui i risultati non sono buoni, ma va capito il perché e non bisogna concludere che un trattamento sia in assoluto migliore di un altro.

3 Bisogna rivolgersi ad uno specialista, e dovrebbe essere la stessa persona ad effettuare la visita, l’ecodoppler e il trattamento.
Questa patologia non va gestita da figure diverse, perchè è sempre lo specialista che ha una visione d’insieme.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5817453/?report=printable

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6327418/pdf/etm-17-02-1106.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4301449/pdf/13063_2014_Article_2369.pdf

https://www.jvascsurg.org/action/showPdf?pii=S0741-5214%2805%2900331-9

O. Marangoni, L. Longo. Lasers in Phlebology. Vessel Photothermolysis – Photocoagulation – Photodynamic Detersion – Scanner Debridment Endo – Perivasal Laser Procedures, Edizioni Goliardiche.

 

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Leggi anche Scleroterapia dei capillari: come migliorare l’aspetto delle gambe e Capillari sulle gambe: scleroterapia o laser?

 

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Dopo l'intervento alla safena possono comparire varici recidive

Intervento alla safena e varici recidive

L’intervento alla safena è una procedura che serve a migliorare una situazione di insufficienza venosa. Questa patologia, che colpisce soprattutto le donne, si manifesta con una dilatazione delle vene superficiali delle gambe, che diventano visibili e fastidiose. Si tratta delle cosiddette varici o vene varicose.
Anche dolore, gonfiore e pesantezza alle gambe fanno parte del quadro clinico.

Nonostante si tratti una procedura efficace, dopo un intervento alla safena possono comparire nuove vene varicose. Questo fenomeno, che avviene di solito a distanza di tempo, viene chiamato recidiva.

Perché compaiono le recidive?
I motivi sono due. Il primo è che la malattia ha una componente genetica e non si può guarire alla radice. Il secondo è che ci sono fattori specifici che le causano.

Come bisogna comportarsi con le recidive dopo intervento alla safena? Ha senso trattarle se poi si riformano?
In questo articolo cercherò di rispondere in maniera semplice a queste domande, con lo scopo di darti delle linee guida per risolvere il problema.

Intervento alla safena: che cos’è?

L’intervento alla safena è una procedura chirurgica che si effettua in ambulatorio, in anestesia locale e senza incisioni sulla cute. Viene indicato dallo specialista quando si verificano al tempo stesso due situazioni.

La prima è la presenza di sintomi (dolore, gonfiore o pesantezza alle gambe), oppure episodi di trombosi venosa superficiale o emorragia. Ancora, quando le vene varicose sono particolarmente evidenti da compromettere l’estetica delle gambe.

La seconda è il riscontro di cattivo funzionamento della safena a livello delle sue principali valvole. Queste valvole si trovano all’altezza dell’inguine, nel punto in cui la safena confluisce nella vena più profonda. Si chiamano valvola terminale (quella più in alto) e valvola pre-terminale (quella più in basso).
Per capire meglio questa seconda situazione dobbiamo capire come funziona la safena e come si ammalano le vene.

La vena grande safena si trova sul lato interno della gamba e prosegue il suo decorso nella coscia, fino all’altezza della piega dell’inguine. Al suo interno il sangue scorre dal basso verso l’alto, contro la forza di gravità. Questo fenomeno è fisiologicamente possibile grazie all’azione sinergica di due componenti: la contrazione dei muscoli del polpaccio da una parte, la chiusura delle valvole venose dall’altra.
I muscoli del polpaccio pompano il sangue verso l’alto mentre camminiamo. Le valvole venose impediscono al sangue di tornare indietro quando stiamo in piedi. Esse sono presenti non solo all’inguine ma anche lungo il decorso della safena.

Decorso della vena grande safena

Decorso della vena grande safena

La vena piccola safena, invece, si trova sul lato posteriore della gamba e confluisce nella vena poplitea, generalmente dietro il ginocchio.
Per semplicità ci riferiremo sempre alla vena grande safena. Tieni però presente che quello che ti dirò sull’intervento alla safena si può benissimo riferire anche alla safena più “piccola”.

Quando si verificano le condizioni viste sopra significa che le vene non funzionano correttamente e il sangue non scorre nella giusta direzione.
Le valvole, che possiamo immaginare come delle dighe, non tengono più. Il sangue torna indietro verso il piede, ristagna e provoca disturbi. Le vene più superficiali si dilatano, diventando varicose.
I pericoli, in questo caso, sono le trombosi e le emorragie.

Possiamo capire meglio questa situazione immaginando un rubinetto aperto (la safena) che allaga un recipiente (la gamba e il piede) fino a farlo straripare (gonfiore alla gamba).
Come dobbiamo intervenire? Bisogna chiudere il rubinetto, ridurre il ristagno di sangue e far passare i disturbi.
L’intervento alla safena serve proprio a questo.

Intervento alla safena: in cosa consiste?

Al giorno d’oggi l’intervento alla safena può essere davvero poco invasivo. Ma come si svolge nello specifico?
Partiamo innanzitutto da ciò che bisogna fare prima dell’intervento: un esame ecocolordoppler.
Si tratta di un passaggio fondamentale, perché consente di studiare la circolazione venosa, individuare le valvole che non funzionano e marcare esattamente i punti dove le vene sono varicose.
Solo dopo questo inquadramento diagnostico si potrà procedere con l’intervento.

Prima di un intervento alla safena è fondamentale eseguire un ecodoppler

Non essendo necessario un ricovero, il paziente raggiunge l’ambulatorio e si accomoda sul lettino chirurgico. L’infermiere posiziona un catetere venoso alla piega del gomito, una semplice prassi per eseguire la procedura in sicurezza.

In anestesia locale, si introduce un sottile catetere all’interno della safena dopo una puntura nella parte bassa della coscia. Attraverso questo catetere verrà inserita la fibra laser e la si farà risalire fino all’inguine, seguendola con l’ecografia.
Dopo aver impostato correttamente i parametri, una breve emissione del laser consente di bruciare la safena in prossimità della sua confluenza con la vena profonda, sempre dopo anestesia locale.
La scarica del laser provocherà un danno termico alla parete venosa, che, implodendo, bloccherà il flusso retrogrado del sangue.
A questo punto il rubinetto è chiuso, ma bisogna completare il trattamento.

L’utilizzo di una sostanza chiamata schiuma sclerosante, associata al laser, è il massimo dell’efficacia per portare a termine la procedura in maniera ottimale. Si tratta di un farmaco in forma schiumosa che infiamma la parete della vena, favorendone la chiusura.

A questo punto, un ulteriore trattamento laser lungo il decorso della safena potrà assicurare una completa occlusione.
In questa fase l’anestesia locale viene iniettata attorno alla safena per proteggere i tessuti circostanti dall’emissione del laser. Questa tecnica si chiama tumescenza.

Nella fase finale di un intervento alla safena è preferibile rimuovere anche le vene varicose più superficiali. Praticando piccole punture sulla cute, queste vene vengono estratte con un uncino. Questa procedura si chiama flebectomia.

Dopo l'intervento alla safena vanno tolte le vene varicose superficiali
Le raccomandazioni finali sono di utilizzare una calza elastica correttamente prescritta e di evitare di stare fermi in piedi per troppo tempo. Si può tornare a lavorare, ma meglio tenere la gamba in alto quando si è seduti.

Intervento alla safena: ci sono alternative?

L’intervento alla safena con laser e schiuma sclerosante non è l’unica alternativa possibile, ma è certamente una delle soluzioni migliori. Questa procedura, infatti, è efficace e ben tollerata dai pazienti.
Vediamo in quali altri modi si può effettuare un intervento alla safena.

Stripping

Si tratta del classico intervento chirurgico alla safena. Si chiama così perché la safena viene letteralmente “strappata” ed estratta attraverso due piccole incisioni, una all’inguine e una più in basso.

Questa tecnica è un po’ superata, ma si pratica ancora spesso negli ospedali.
Gli svantaggi sono legati all’incisione inguinale, che può danneggiare i linfonodi sottostanti e dare problemi di cicatrizzazione, soprattutto nei soggetti obesi.
Bisogna fare attenzione anche alle possibili lesioni nervose.

Radiofrequenza

La radiofrequenza sfrutta una radiazione elettromagnetica per riscaldare la safena fino a bruciarla. Alla temperatura di 85 °C, infatti, le pareti della vena collassano e il vaso sanguigno si occlude.
Si tratta dello stesso concetto del laser. La scelta, in questo caso, dipende dall’esperienza dell’operatore.

Colla

Negli ultimi tempi la tecnologia ha consentito di creare delle speciali colle di cianoacrilato che tappano la safena. I risultati di queste procedure sono ottimi, anche se si tratta di un materiale piuttosto costoso.

Intervento alla safena o preservare la safena?

Molti pazienti si chiedono: dove andrà a finire il sangue se chiudiamo la safena?
La domanda è giustissima. La risposta è che, una volta chiusa la safena, il sangue trova altre vie per circolare e i sintomi dovuti al suo ristagno migliorano.

Tuttavia, quando possibile, è opportuno preservare la safena. I motivi sono due: si può recuperare la sua funzione di drenaggio e la si può utilizzare in futuro, ad esempio per un bypass al cuore.

Ci sono diverse situazioni in cui la safena può essere preservata e ci sono specifiche tecniche consentono di lasciarla in sede. Questo potrà essere l’argomento di un prossimo articolo!
Nel frattempo, è importante ricordare una cosa: in flebologia non esiste un unico metodo sempre corretto, ma ci sono tanti approcci diversi, ognuno con i suoi pro e contro.

Recidive dopo intervento alla safena: cosa sono?

Le recidive dopo intervento alla safena sono un fenomeno piuttosto frequente. In base agli studi presenti in letteratura, compaiono in una percentuale che varia dal 7% al 65% dei pazienti operati.

I pazienti, però, non sembrano dare molta importanza a questo problema, almeno in generale. L’opinione comune è che le recidive siano la dimostrazione che operarsi alle vene non serve, tanto le varici ritornano comunque.
Questa affermazione è facilmente eccepibile.

Innanzitutto, se non gestissimo questa malattia con interventi periodici e mirati avremmo una moltitudine di complicazioni. Pensiamo ad esempio a trombosi, emorragie, gonfiore alle gambe e ulcere alle caviglie; la natura degenerativa dell’insufficienza venosa esporrebbe a questi rischi.
Inoltre, gli inestetismi sarebbero pesanti e difficilmente rimediabili.

Per capire ancora meglio l’importanza del suo trattamento, è utile pensare all’insufficienza venosa come alle carie dentali. Se ne ho una o due posso aspettare e trattarle con calma. Se però passano gli anni, rischio di avere ascessi e dolore. Inoltre, se non curo i denti se ne formeranno delle altre.
Cosa succede alla fine? Credo che dovrò ricorrere ad una protesi dentaria perché i miei denti sarebbero irreversibilmente danneggiati.

Recidive dopo intervento alla safena: cause

In base alla letteratura scientifica possiamo identificarne quattro.

Errore tattico e tecnico

Queste due situazioni rappresentano insieme dal 55 al 70% dei casi di recidive. Di cosa si tratta?

L’errore tattico consiste in una errata pianificazione dell’intervento alla safena. Esso può verificarsi in due casi.
Il primo avviene quando non si identificano correttamente i punti dove le valvole non funzionano. Il secondo, invece, quando vengono lasciate in sede alcune vene varicose, perché non riconosciute come malate.

Questa seconda possibilità può essere anche voluta, se ad esempio ci sono troppe vene varicose da togliere. In questo caso si può decidere di lasciarne in sede alcune per poi trattarle in un secondo momento. Lo scopo è di non incidere troppo la cute del paziente.

L’errore tecnico avviene quando l’intervento è pianificato correttamente ma per qualche ragione non va a buon fine. In particolare, questo succede quando la safena non si chiude completamente.
Si parla in questo caso di ricanalizzazione.
La ricanalizzazione, quando è precoce, può avvenire se la vena è molto dilatata oppure se l’energia erogata non è sufficiente per bruciare la parete.

Progressione della malattia

Nel 20-25% dei casi le recidive si sviluppano su vene che precedentemente non erano varicose.
Questo accade perché l’insufficienza venosa ha una componente genetica e una natura evolutiva. Le vene sono “programmate” per dilatarsi, anche se devono intervenire fattori ambientali per innescare il processo. I più importanti sono la stazione eretta prolungata, l’esposizione a fonti di calore, le anomalie posturali e l’obesità. Tra i più importanti, però, ci sono gli ormoni sessuali femminili e la gravidanza.

Un esempio di questa recidiva si osserva quando si sviluppano varici nel sistema safenico non sottoposto ad intervento. Cosa significa? Se un paziente è stato operato alla vena grande safena, potremmo osservare nuove varici nel territorio della vena piccola safena.

Un altro caso di progressione della malattia si osserva quando le recidive sono collegate alle vene perforanti.
Le vene perforanti connettono le vene superficiali con quelle profonde attraversando i muscoli. Al loro interno il sangue scorre dalla superficie alla profondità. Anche qui ci sono delle valvole che assicurano la corretta direzione al flusso, altrimenti la spinta della contrazione muscolare farebbe andare il sangue in superficie.

Le recidive dopo intervento alla sadfena possono essere connesse alle vene perforanti

Dopo un intervento alla safena può svilupparsi un’inversione di flusso proprio a livello di alcune vene perforanti. In questo caso si parla di “incompetenza” di queste vene.
Uno studio dei primi anni 2000 ha mostrato, infatti, una maggiore frequenza di perforanti incompetenti nei pazienti con recidive. La conseguenza di ciò è una progressiva dilatazione delle vene superficiali che si collegano ad esse.

Neovascolarizzazione

Questo termine indica la crescita di nuove vene varicose in aree o tessuti dove prima non ce n’erano. Come si spiega questo fenomeno?
Nei tessuti dell’organismo ci sono cellule “primordiali” che possono moltiplicarsi e differenziarsi diventando vasi sanguigni, se opportunamente stimolate. L’input è dato da alcune sostanze chiamate “fattori di crescita”.
I fattori di crescita vengono prodotti da cellule specifiche in situazioni come traumi (pensiamo ad un intervento chirurgico), mancanza di ossigeno o infiammazioni.

Come nascono nuove vene dopo l’intervento alla safena?
La neovascolarizzazione sembra essere più frequente dopo lo “stripping” piuttosto che dopo l’intervento con laser e schiuma sclerosante. I nuovi vasi sanguigni si formano proprio all’interno della fascia muscolare che accoglie la safena strappata.
Infatti, il traumatismo legato al distaccamento di questa grossa vena sembra essere il fattore di stimolo principale. Anche i fili di sutura e le piccole trombosi, che sono conseguenti all’intervento, contribuirebbero a questo fenomeno.

Per quanto riguarda la frequenza della neovascolarizzazione, in base ad alcuni dati scientifici si tratterebbe della causa principale di recidive.
La percentuale con cui si manifesta però è variabile, con un range che va dall’ 8% al 60% di tutte le recidive secondo alcuni studi, dal 25% al 90% secondo altri.

Le vene recidive da neovascolarizzazione sono molto tortuose e per questo facilmente riconoscibili all’ecodoppler. Con il tempo tendono a crescere fino a connettere nuovamente la vena femorale con il segmento di safena residua della gamba. Anche i rami venosi più superficiali possono essere la sede finale del nuovo collegamento.

Recidive dopo intervento alla safena: tipologie

La classificazione delle recidive dopo intervento alla safena è stata oggetto di alcuni studi scientifici. Possiamo dividerle in tre gruppi, che si differenziano per le cause di insorgenza e le caratteristiche delle vene recidive.

TIPO 1
Sono vene varicose residue che non sono state tolte con l’intervento, per errore tattico o per trattarle in un secondo momento. Di solito sono presenti ad un mese di distanza dall’intervento.

TIPO 2
Si tratta di recidive che compaiono per neovascolarizzazione oppure per errore tecnico o tattico. Solitamente sono assenti ad un mese dall’intervento e si manifestano successivamente.

TIPO 3
In questo caso le recidive compaiono a distanza di tempo dall’intervento in aree precedentemente non trattate. La causa è l’evoluzione della malattia.

Recidive dopo intervento alla safena: trattamento

Anche se le recidive tendono per natura a manifestarsi, solo trattandole in maniera programmata e mirata si può controllare la patologia. Lo scopo è di evitare che queste vene si dilatino troppo e aumentino di distribuzione in maniera eccessiva.
Inoltre, è bene non sovraccaricare troppo il sistema venoso superficiale.

In caso di recidive poco visibili e che non danno disturbi, può essere opportuno tenerle momentaneamente in osservazione.
Se il paziente ha una esigenza estetica, però, il discorso è diverso. In questo caso bisogna valutare le caratteristiche delle recidive e scegliere il trattamento che dia un risultato visivamente migliore.

Vediamo le possibili terapie per ogni tipo di recidiva.

TIPO 1
Trattandosi di varici lasciate in sede in occasione dell’intervento, esse non sono vere recidive.

Se queste vene hanno un po’di tessuto che le ricopre, si possono trattare con la schiuma sclerosante per chiuderle o comunque renderle meno visibili.
Nel caso in cui siano molto sporgenti sulla cute, è meglio effettuare una piccola flebectomia chirurgica. In questo caso, la schiuma sclerosante infiammerebbe troppo la vena con il rischio di lasciare una macchia di pigmentazione.

Dopo intervento alla safena si può effettuare una flebectomia chirurgica

Fasi della flebectomia chirurgica

TIPO 2
Le recidive che si formano per neovascolarizzazione sono ideali per il trattamento con schiuma sclerosante.

Se si trovano nella fascia muscolare, dove prima c’era la safena, la schiuma ha un’indicazione ottimale. Questo per due motivi.
Il primo è che le vene hanno una certa profondità, il che protegge dalle pigmentazioni. Il secondo è che, essendo tortuose, sarebbe molto rischioso far passare al loro interno una fibra laser.
La cosa importante è trovare il punto dove c’è l’origine del flusso retrogrado di sangue, se presente.

Se le recidive da neovascolarizzaizone sono superficiali, vale lo stesso discorso visto nelle recidive di Tipo 1.

TIPO 3
In questo caso ci comporteremo come se si trattasse di vene varicose primitive.
Se le recidive si trovano nel sistema safenico non operato, l’approccio sarà lo stesso che abbiamo visto per l’intervento alla safena. In particolare, se non funziona la valvola terminale procederemo con l’intervento visto in precedenza (laser + schiuma sclerosante). Se a non funzionare è solo la valvola pre-terminale, sarebbe opportuno preservare la safena, se possibile.

In presenza di vene perforanti incompetenti bisogna valutarne il calibro, la profondità e il decorso (dritto o tortuoso). In base a queste caratteristiche si potrà decidere come chiudere il rubinetto. Le alternative possono essere schiuma sclerosante o colla.
Le vene varicose di superficie connesse alle perforanti possono essere trattate con le metodiche viste prima.

Consigli

In presenza di recidive dopo intervento alla safena è assolutamente opportuno sottoporsi a una visita specialistica. Questa serve ad avere una valutazione di partenza e pianificare il futuro iter, sia esso un trattamento specifico oppure il semplice follow-up.

Bisogna ricordare l’importanza di usare una calza elastica nei soggetti che presentano delle recidive. Essa ha la funzione di supportare il sistema venoso con la sua compressione esterna. L’altrà importante utilità di questo presidio è che aiuta a prevenire le trombosi venose superficiali.

In presenza di sintomi acuti come dolore o arrossamento lungo il decorso di una vena, è bene farsi vedere quanto prima. In questo caso potrebbe trattarsi di una trombosi. Se si accusano invece disturbi alle gambe come pesantezza, gonfiore e dolore, si possono assumere degli integratori ed effettuare cicli di carbossiterapia.

 

Fonti

https://www.jvascsurg.org/action/showPdf?pii=S0741-5214%2812%2902334-8

https://www.ejves.com/article/S1078-5884(01)91347-4/pdf

https://www.ejves.com/action/showPdf?pii=S1078-5884%2807%2900015-9

https://www.ejves.com/action/showPdf?pii=S1078-5884%2803%2900568-9

La scleroterapia dei capillari può migliorare l'aspetto delle gambe

Scleroterapia dei capillari: come migliorare l’aspetto delle gambe

La scleroterapia dei capillari sulle gambe è un trattamento estetico molto richiesto soprattutto dalle donne, che presentano più spesso questo problema a causa di fattori legati agli ormoni estrogeni.
Le donne, inoltre, sono più sensibili a questo inestetismo per le implicazioni che esso comporta.

Infatti, la comparsa di capillari e piccole vene visibili sulle gambe può provocare disagio e compromissione delle attività sociali. Perché?
Molte donne riferiscono di provare imbarazzo nello scoprire le gambe, rinunciano ad indossare una gonna o un vestito corto e si vergognano quando vanno al mare.

In sostanza, le donne che soffrono di capillari sulle gambe non si piacciono e vorrebbero migliorare la situazione, anche perché il problema è cronico e tende a peggiorare con il tempo.

Come risolvere questo problema?
Se è vero che capillari molto piccoli possono essere trattati con il laser, nella maggior parte dei casi la scleroterapia è il trattamento più efficace per rimuovere i vasi di maggiori dimensioni.

Ma in cosa consiste la scleroterapia e cosa dobbiamo aspettarci da questo trattamento? Quali strategie permettono di ottimizzare il risultato?
In questo articolo troverai risposta a queste e ad altre domande.

Cos’è la scleroterapia dei capillari

La scleroterapia dei capillari è un trattamento estetico-angiologico che sfrutta l’iniezione di un farmaco, in forma liquida o schiumosa, all’interno del capillare che si vuole trattare.

La scleroterapia dei capillari permette di migliorare l'aspetto delle gambe

Il bersaglio può essere proprio il capillare, spesso di colore rosso oppure bluastro, oppure la vena un po’ più grossa che lo alimenta, chiamata vena reticolare.
Lo scopo è quello di far scomparire questi piccoli vasi che causano l’inestetismo.

Come avviene la scomparsa del capillare?
I capillari sono dei minuscoli vasi sanguigni ed il farmaco sclerosante provoca una reazione infiammatoria a livello della loro parete. Questo processo, che dura alcuni giorni, può essere spiacevole, ma è necessario affinché il capillare sparisca attraverso lo sviluppo di una fibrosi.

Ma è tutto così semplice? Non proprio.
L’infiammazione, infatti, non dovrà essere eccessiva altrimenti potrebbero verificarsi delle conseguenze spiacevoli, come la comparsa di macchie di pigmentazione oppure di nuovi capillari (questo fenomeno si chiama matting, lo vedremo più avanti).

Quindi, come ci regoliamo per ottenere la giusta infiammazione? Dobbiamo agire sui fattori che la determinano: la concentrazione del farmaco sclerosante e la sua modalità di preparazione.

Concentrazione del farmaco

La concentrazione del farmaco indica quanto farmaco c’è in una fiala.
Come vedremo più avanti, le concentrazioni sono variabili dallo 0,25% fino al 3-5%, ma possiamo iniettarne ancora meno se facciamo una diluizione della concentrazione più bassa con soluzione fisiologica.

Il concetto fondamentale è che maggiore è la concentrazione di farmaco che iniettiamo, maggiore sarà l’azione sclerosante ma anche l’infiammazione che la sostanza provoca.
Poiché i capillari sulle gambe sono dei vasi molto superficiali, dobbiamo prestare particolare attenzione a non infiammare troppo.
Personalmente preferisco iniziare il trattamento con concentrazioni molto basse, anche perché la reazione infiammatoria è variabile da persona a persona; si fa sempre in tempo ad aumentare la concentrazione nelle sedute successive, mentre non è vero il contrario.

Preparazione del farmaco

Il farmaco sclerosante può essere iniettato in forma liquida oppure schiumosa.

Liquido

Il farmaco sclerosante in forma liquida si utilizza quando i vasi sono molto piccoli, ad esempio proprio nel caso dei capillari.
Esso, infatti, funziona poco nelle vene più grosse, perché appena iniettato viene inattivato dalle proteine del sangue. Per questo motivo, il farmaco in forma liquida ha un potere sclerosante piuttosto limitato.

Un vantaggio del farmaco in forma liquida è legato al suo dosaggio. Con questa metodica, infatti, possiamo utilizzare grandi quantità di sostanza, sempre in base alla sua concentrazione, senza incorrere in effetti collaterali.
Questo rappresenta anche uno svantaggio in termini di costi, perché per trattare una vasta rete di capillari dovremo consumare diverse fiale di prodotto.

Schiuma

La schiuma sclerosante si ottiene miscelando il farmaco liquido con l’aria. Questo processo è possibile grazie ad una procedura molto semplice, nella quale con due siringhe raccordate tra di loro si mescolano le due componenti, producendo la schiuma.

La scleroterapia dei capillari può avvalersi della schiuma sclerosante

La schiuma sclerosante è generalmente più potente del farmaco in forma liquida. Per quale motivo?
In presenza di schiuma il farmaco si deposita sulla superficie delle micro-bolle che la compongono, aumentando così di molto la superficie di contatto con la parete del vaso.
Inoltre, l’iniezione di un certo quantitativo di schiuma sposta velocemente il sangue all’interno del vaso che si vuole trattare, diminuendo l’inattivazione della schiuma stessa.

La schiuma sclerosante può avere caratteristiche variabili; maggiore è la quantità di aria rispetto al liquido, maggiore sarà la densità della schiuma e di conseguenza il suo potere sclerosante.
Questa miscela è certamente la scelta migliore quando vogliamo trattare vene di grosso calibro, ma se opportunamente diluita è molto efficace anche nel trattamento dei capillari.

Il limite della schiuma è rappresentato dal suo dosaggio. Generalmente, infatti, è bene non superare i 10 mL per ogni sessione di trattamento.

A chi è rivolta la scleroterapia dei capillari

La scleroterapia dei capillari è richiesta soprattutto dalle donne, sia perché sono più sensibili all’inestetismo, sia perché sono maggiormente soggette a questo problema a causa dell’assetto ormonale.
Estrogeni e progesterone, infatti, riducono il tono venoso, cioè la capacità propulsiva dei vasi che permette di far scorrere il sangue, favorendo così la dilatazione dei capillari.

Per lo stesso motivo, i capillari sulle gambe sono più frequenti dopo la gravidanza oppure con l’avanzare dell’età e la menopausa.
Anche in presenza di obesità questo problema è di solito maggiormente presente.

Gli uomini possono a loro volta presentare il problema dei capillari. Nel sesso maschile, però, è più probabile che ci sia una sottostante insufficienza venosa.

In cosa consiste la scleroterapia dei capillari

La scleroterapia dei capillari si svolge in brevi sedute ambulatoriali, intervallate da un periodo di circa 3-4 settimane.

Prima di iniziare la terapia è fondamentale effettuare una visita specialistica comprensiva di ecodoppler, preferibilmente dallo stesso medico che effettuerà il trattamento.
Questo serve ad escludere la presenza di reflussi nelle vene più grosse, che sono situate più in profondità rispetto ai capillari e che potrebbero alimentarne la formazione. In questo caso, infatti, avrà più senso trattare prima l’insufficienza venosa e solo successivamente i capillari, dopo averne verificato un eventuale miglioramento.
Inoltre, la visita serve a verificare la presenza di eventuali controindicazioni al trattamento di scleroterapia.

La seduta consiste nell’esecuzione di piccole iniezioni di farmaco sclerosante lungo i vasi che si vogliono trattare.
Gli aghi utilizzati sono molto sottili, si inoculano piccole quantità di sostanza e le iniezioni non sono particolarmente dolorose. A seconda della tipologia di capillare, essi si inoculano singolarmente oppure si ricerca la vena reticolare che li alimenta, utilizzando una luce che illumina in trasparenza.

La seduta di scleroterapia dei capillari non è dolorosa

Il vantaggio della scleroterapia è che, dopo la seduta, il paziente può tornare tranquillamente alle proprie attività lavorative e sociali.
Gli unici accorgimenti importanti sono di evitare l’esposizione al sole o a lampade abbronzanti, perché potrebbero favorire la comparsa di macchie di pigmentazione. Per lo stesso motivo è meglio non praticare bagni termali, saune o docce bollenti, e non bisogna fumare per evitare di aumentare il rischio di trombosi.

Per ottimizzare il risultato, come indicano numerosi studi scientifici, è opportuno indossare una calza elastica adeguata durante il periodo di trattamento.
Questo di solito preoccupa molte donne, che portano malvolentieri la calza sia perché la ritengono poco estetica, sia perché, a causa di esperienze negative passate, non la trovano confortevole.
Come vedremo più avanti, questi problemi possono essere facilmente risolti.

Infine, teniamo sempre presente che il problema dei capillari sulle gambe non si può eliminare alla radice e può ripresentarsi in futuro, sotto l’azione degli ormoni estrogeni oppure a causa di un’insufficienza venosa.
Lo scopo della terapia è di controllarne lo sviluppo sottoponendosi a periodiche sedute di mantenimento.

Quali farmaci si usano nella scleroterapia

Ci sono diversi farmaci sclerosanti che si possono usare e che sono cambiati nel corso degli anni.
Per comprenderne meglio le caratteristiche, possiamo dividerli in tre gruppi: i detergenti, gli irritanti chimici e gli agenti osmotici.

Detergenti

I detergenti distruggono le cellule del capillare attraverso il danneggiamento delle proteine che le compongono.

Sodio tetradecil solfato

Si tratta di un detergente che rompe i legami tra le cellule del capillare, provocando una sorta di desquamazione; questo processo attiva le piastrine del sangue e di conseguenza una risposta infiammatoria.

Questo sclerosante è una potente tossina per le cellule dei vasi sanguigni, anche a basse concentrazioni. Per questo motivo si utilizza generalmente per sclerotizzare vene più grosse, in concentrazioni variabili tra lo 0,5% e il 3%.

Polidocanolo

Il Polidocanolo è il farmaco sclerosante più usato in Europa. Si tratta di un acido grasso sintetico che distrugge le cellule vascolari ed è disponibile in concentrazioni che vanno dallo 0,25% al 3%.
Questa sostanza è ideale da utilizzare nel trattamento dei capillari, mentre nelle vene più grosse ha un potere sclerosante leggermente inferiore.

Irritanti chimici

Questi farmaci distruggono le cellule del capillare attraverso un danno caustico diretto.
Il più conosciuto è la glicerina cromata, un debole agente sclerosante che si usa da molti anni per il trattamento dei capillari, ma che in Italia è reperibile sono come galenico.

Agenti osmotici

Gli agenti osmotici danneggiano le cellule del capillare richiamando l’acqua situata al loro interno, proprio attraverso un meccanismo osmotico. La disidratazione delle cellule vascolari è responsabile della loro distruzione, con conseguente scomparsa del capillare.

In questa categoria di farmaci rientrano le soluzioni saline ipertoniche di cloruro di sodio e il cloruro di sodio con destrosio. Hanno il vantaggio di non provocare tossicità perché sono sostanze del tutto naturali.

Cosa può succedere dopo la scleroterapia dei capillari

La scleroterapia è un trattamento sicuro ed efficace per ottenere la scomparsa del capillare.
Non si tratta, tuttavia, di una terapia banale, perché i farmaci che utilizziamo possono dare problemi se non vengono maneggiati con attenzione.
Cosa può succedere? I problemi estetici principali sono la pigmentazione della cute e il matting.

Pigmentazione della cute

Consiste nella comparsa di una macchia scura sulla pelle, che compare lungo il decorso del capillare o della vena che trattiamo.
La pigmentazione può essere transitoria o permanente.

La pigmentazione transitoria compare nel 10-30% delle persone trattate con scleroterapia. Inizia a manifestarsi gradualmente dopo la seduta e raggiunge un massimo di visibilità a circa 6-8 settimane di distanza; di solito dura per un certo periodo, ma nel 70% dei casi si risolve entro 6 mesi e nel 99% dei casi entro un anno.
La pigmentazione permanente è molto rara (1-2% dei casi).

Quali sono le cause della pigmentazione? Questa problematica è dovuta a deposito di melanina nell’epidermide e ad accumulo di emosiderina nel derma.
L’epidermide è lo strato più superficiale della pelle, mentre il derma è quello più profondo.

La melanina è la sostanza che conferisce il colore alla pelle. I meccanismi del suo coinvolgimento nella pigmentazione post scleroterapia non sono del tutto chiari, così come non è chiaro, dagli studi scientifici, se l’esposizione solare possa essere un fattore predisponente.

L’emosiderina, invece, è il prodotto finale della degradazione dell’emoglobina, la sostanza che trasporta l’ossigeno nei globuli rossi del sangue.
Come si spiega il suo coinvolgimento nelle macchie di pigmentazione?

La scleroterapia distrugge le cellule dei capillari attraverso l’infiammazione, e questo processo è avviato da una coagulazione del sangue che si verifica nella sede di iniezione del farmaco.
Quando il sangue coagula, l’emosiderina dei globuli rossi inizia ad accumularsi, spostandosi poi nel tessuto sottocutaneo in seguito alla maggiore permeabilità del capillare danneggiato.
Di conseguenza, l’emosiderina accumulata sotto la cute e non smaltita inizierà a creare una macchia scura.

Come possiamo evitare questo processo? L’evacuazione dei coaguli attraverso piccole punture permette di limitare questo accumulo e quindi di prevenire il rischio di pigmentazione.
Le punture, quando necessario, si possono effettuare anche a distanza di tempo dalla seduta. In questi casi è utile associare l’utilizzo di creme con azione chelante sul ferro, che è proprio un componente dell’emosiderina.

Matting

Il matting è una fitta rete di minuscoli capillari che può comparire in seguito ad un trattamento di scleroterapia, ma in alcuni casi anche spontaneamente.
I capillari del matting sono di colore rosso, generalmente più piccoli rispetto a quelli normali (hanno un diametro inferiore a 0,2 mm) e si dispongono in maniera disordinata formando una macchia irregolare.

Il matting è un parrticolare tipo di capillari sulle gambe

Il matting può comparire sporadicamente o in aree definite, non solo dopo un trattamento di scleroterapia ma anche dopo l’asportazione di una vena per via chirurgica o tramite ablazione laser.
Di solito si manifesta da 4 a 6 settimane dopo il trattamento e si risolve dopo 3-12 mesi; a volte, tuttavia, può essere permanente.
Per quanto riguarda la scleroterapia dei capillari, la comparsa di un matting avviene di solito nel 15-20% dei pazienti trattati, mentre secondo altri studi la percentuale varia dal 5% al 35%.

Le cause del matting non sono del tutto chiare.
Sappiamo che si verifica più spesso nelle donne, soprattutto in presenza di familiarità per capillari sulle gambe, obesità e assunzione di terapia ormonale; questo farebbe pensare ad una predisposizione legata agli estrogeni.

Questi ormoni, infatti, oltre a provocare rilassamento della muscolatura dei capillari e delle vene, e quindi la loro dilatazione, sono coinvolti anche nei processi di neo-angiogenesi.
Di cosa si tratta?
L’angiogenesi, come dice il termine stesso, è un processo nel quale nascono e si sviluppano nuovi vasi sanguigni, di solito in risposta a molecole che vengono prodotte in situazioni di danno cellulare o infiammazione, chiamate fattori di crescita.

Si ipotizza che alla base del matting ci sia una iniziale dilatazione di capillari già presenti ma non visibili, associata ad una neo-angiogenesi stimolata dall’infiammazione, a sua volta conseguente alla scleroterapia di un vaso.
Inoltre, un recente studio australiano ha riportato una associazione tra matting, tendenza al sanguinamento e fenomeni di ipersensibilità cutanea.

La terapia del matting, nei casi in cui sia permanente, si basa sull’utilizzo della stessa schiuma sclerosante, o meglio ancora del laser e della carbossiterapia.
Ma come possiamo ridurre il rischio di matting? I fattori chiave sono la tecnica usata, il tipo di farmaco sclerosante e la sua concentrazione, e l’approccio terapeutico che utilizziamo.

Tecnica

Si è osservato che una iniezione lenta di piccole quantità di sclerosante riduce il rischio di matting.

Farmaci sclerosanti e concentrazione

Alcuni studi “in vitro” hanno confermato che i farmaci detergenti provocano attivazione delle cellule capillari e rilascio di fattori di crescita favorenti l’angiogenesi; potenzialmente, quindi, possono causare il matting.

Tuttavia, l’azione infiammatoria è necessaria per ottenere la scomparsa del capillare, e bisogna puntare al miglior risultato con la minore concentrazione possibile.
Personalmente ritengo che un farmaco efficace, usato a basse concentrazioni, possa metterci al riparo da questo problema nella maggior parte dei casi.

Approccio al trattamento

Trattare i capillari sulle gambe senza aver prima indagato la presenza di una insufficienza venosa più grave può favorire la comparsa di un matting, in individui comunque predisposti.
Questo avviene perché il reflusso di sangue in una vena più grossa può alimentare la formazione di questi capillari; meglio quindi identificare ed eventualmente trattare prima il problema più importante.

Come migliorare il risultato della scleroterapia dei capillari

In questo articolo abbiamo sottolineato le criticità della scleroterapia e come prevenire eventuali problematiche che potrebbero verificarsi dopo il trattamento.

In particolare, i punti chiave sono:
– effettuare una visita specialistica prima della terapia, comprensiva di ecodoppler;
– partire con concentrazioni molto basse di farmaco, iniettandone piccole quantità volta per volta;
– evitare l’esposizione al sole e alle lampade, non fare bagni termali, non fumare.

Cosa manca? Naturalmente l’impiego di una calza elastica adeguata.

La calza elastica migliora il risultato della scleroterapia dei capillari

Numerosi studi scientifici mostrano che l’utilizzo di una calza elastica terapeutica, cioè con pressione alla caviglia di almeno 20 mmHg, migliora il risultato della scleroterapia.
Secondo uno studio eseguito in Svizzera, ci sarebbe addirittura un miglioramento oggettivo del risultato già dopo la prima seduta di trattamento, in termini di minore visibilità sia dei capillari che delle vene reticolari.

Ma come agisce la calza elastica?
Grazie alla sua azione compressiva, la calza riduce l’infiammazione nello spazio attorno al capillare, minimizzando così la possibilità di pigmentazione e angiogenesi.
Inoltre, esercitando una pressione esterna, riduce il reflusso nelle vene che alimentano i capillari.

Come va portata?
La calza elastica va indossata subito dopo il trattamento, ed è bene portarla per tre settimane dopo la seduta. Bisogna metterla al mattino, quando le gambe sono sgonfie grazie al riposo notturno, e toglierla alla sera prima di andare a letto.
Durante la giornata può essere tranquillamente usata durante il lavoro o l’attività fisica, ricordando di applicarla a contatto diretto con la cute senza l’interposizione di calzini o altre calze.

Perché le donne non vogliono portarla?
Il grosso problema della calza è che le pazienti non la indossano volentieri. Il motivo principale è legato a precedenti esperienze negative, in occasione delle quali hanno provato sensazioni di discomfort o compressione eccessiva.
Inoltre, molte donne sono convinte che la calza elastica sia poco estetica e quindi non gradevole da indossare.
Questi problemi in realtà possono essere risolti facilmente.

Innanzitutto, se la calza elastica dà fastidio molto probabilmente non è stata prescritta correttamente.
Il problema della prescrizione errata può essere dovuto a scelta sbagliata delle misure, tipologia di prodotto non adeguata (ad esempio, è difficile che una persona obesa possa trovare confortevole un collant, mentre userà con più facilità una autoreggente) oppure materiali non consoni (chi soffre di dermatite o allergie cutanee starà meglio con un prodotto in puro cotone anziché in materiale sintetico, per fare un esempio).

Per non incorrere in questi problemi, sconsiglio alle pazienti di recarsi nei negozi di prodotti sanitari senza una prescrizione medica comprensiva delle misure, che vanno prese a paziente disteso valutando circonferenze e lunghezza dell’arto.
Per quanto riguarda l’aspetto estetico, al giorno d’oggi le aziende produttrici di calze hanno in catalogo prodotti non solo di alta qualità, ma anche esteticamente molto belli, con una vasta gamma di tessuti e colori.
A onor del vero, spesso è davvero difficile distinguere le calze terapeutiche da quelle cosmetiche.

In sintesi, la calza elastica migliora il risultato della scleroterapia, anche se le pazienti spesso non se ne accorgono; questo avviene perché molto spesso è difficile oggettivare il risultato e ricondurlo all’uso della calza.

Fonti

https://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/0268355516682885

https://www.ejves.com/action/showPdf?pii=S1078-5884%2813%2900076-2

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4870057/pdf/10-1055-s-0035-1558646.pdf